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San Saba Archimandrita

Prima Padre del deserto e poi fondatore di particolari tipi di monasteri, detti «laure», san Saba Archimandrita (439-532) ha giocato un ruolo rilevante nella diffusione del monachesimo orientale

Santo del giorno 05_12_2018

Prima Padre del deserto e poi fondatore di particolari tipi di monasteri, detti «laure», san Saba Archimandrita (439-532) ha giocato un ruolo rilevante nella diffusione del monachesimo orientale. Nato da un’agiata famiglia cristiana della Cappadocia, nell’attuale Turchia, aveva studiato in un monastero, dove oltre a ricevere l’istruzione era rimasto attratto dalla vita che vi si conduceva maturando il desiderio di farsi monaco, nonostante la volontà del padre di avviarlo alla carriera militare.

Verso i 18 anni decise perciò di andare in pellegrinaggio in Terrasanta, dove sperimentò sia la vita in comune nei cenobi sia quella solitaria. Trovò una guida preziosa in sant’Eutimio il Grande (377-473), che viveva da anacoreta nei deserti della Palestina e vi aveva fondato diverse laure, cioè insediamenti monastici con una forma di vita mista tra la cenobitica e l’eremitica: la laura indicava originariamente un insieme di grotte o celle (con una chiesa nel mezzo), dove i monaci passavano gran parte del loro tempo in solitudine nella preghiera e nel lavoro, riunendosi il sabato e la domenica per celebrare l’Eucaristia. La loro guida era un sacerdote che svolgeva funzioni simili a quelle dell’abate e curava i rapporti con il mondo, specialmente per procurare le modeste provviste alimentari.

Dopo la morte del maestro Eutimio, Saba si trasferì nella zona di Betlemme e vi fondò una laura, in seguito chiamata Grande Laura di Mar Saba per le dimensioni e il gran numero di monaci che negli anni vi andarono ad abitare (in alto, una foto del monastero di Mar Saba nel 1900), rendendola una delle comunità monastiche più celebri dell’antichità e dove circa due secoli più tardi avrebbe vissuto anche san Giovanni Damasceno. Saba, nel frattempo divenuto sacerdote e  nominato archimandrita dal patriarca di Gerusalemme, guidò i monaci con pazienza e autorità, seguendo la regola di vita comunitaria fissata da san Pacomio nel IV secolo, allontanandosi per un certo periodo a causa di contrasti con alcuni confratelli e andando a fondare un’altra laura a Gadara, in Giordania.

Fu poi richiamato a Gerusalemme perché serviva la sua energia e sapienza, non solo per la disciplina dei monaci ma anche nel contrasto alle eresie cristologiche. Aiutò a difendere la dottrina cattolica sulla coesistenza della natura umana e divina nell’unica persona del Cristo, affermata solennemente nel concilio di Calcedonia del 451. A tal fine combatté il nestorianesimo e fu incaricato di guidare una delegazione palestinese a Costantinopoli nel tentativo - rivelatosi vano - di convincere l’imperatore bizantino Anastasio ad abbandonare il monofisismo (l’eresia elaborata dal monaco orientale Eutiche, il quale negava l’umanità di Gesù, attribuendogli cioè la sola natura divina e così negandone le sofferenze nella carne) e accettare i canoni calcedoniani.