Rembrandt, le mani del Padre racchiudono il mistero
Il Ritorno del figliol prodigo è uno dei dipinti più noti di Rembrandt. Della celebre parabola narrata da Luca nel Vangelo, l’artista, diversamente da quanto fatto negli anni giovanili, scelse il momento finale, quello del “ritorno”. E quindi del perdono. Investiti di luce ci sono, innanzitutto, un figlio inginocchiato davanti a un padre. L’attenzione si concentra poi sulle mani! Che ci dicono che Dio Padre è tutto…
Rembrandt, Ritorno del figliol prodigo, San Pietroburgo - Museo dell’Ermitage
Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato” (Lc 15, 31-32).
All’indomani della morte di Rembrandt, scomparso in condizioni d’indigenza e profonda solitudine dopo una vita di grandi successi e alterne fortune, nell’inventario dei beni rinvenuti nella sua casa, tra i pochissimi dipinti elencati c’è il Ritorno del figliol prodigo, ora all’Ermitage di San Pietroburgo. La tela, dalle notevoli dimensioni (misura più di due metri per lato), appartiene all’ultima produzione dell’artista che probabilmente la realizzò senza avere un committente specifico al di fuori di se stesso.
Della celebre parabola narrata da Luca nel Vangelo, altrimenti nota come “parabola del Padre Misericordioso”, Rembrandt scelse il momento finale, quello del “ritorno” - e quindi del perdono - come evidenzia anche il titolo dell’opera. Non era stato sempre così: altrove, nel periodo giovanile, il pittore aveva affrontato il medesimo soggetto identificandosi spavaldamente nel figlio lussureggiante che sperpera i beni del padre. È lecito pensare, dunque, che questa straordinaria invenzione iconografica sia frutto di una riflessione sulla propria esistenza.
Investiti di luce ci sono, innanzitutto, un figlio inginocchiato davanti a un padre. Sugli altri astanti, in cui si riconosce il fratello maggiore nell’uomo in piedi sulla destra e alcune persone sullo sfondo, non meglio identificate, la luce invece scivola, lasciandoli in penombra.
Il figlio: la sua testa è rasata come quella di un servo, schiavo, in questo caso, del vizio e del peccato. Nell’Antico Testamento, però, l’assenza dei capelli è, insieme, segno di penitenza e di purezza. Le sue vesti sono logore e strappate, i sandali consunti, il piede sinistro lacerato per la lunga strada percorsa. Il suo è stato senz’altro un faticoso cammino materiale ma, allo stesso tempo, anche spirituale. È finalmente tornato a casa, ovvero tra le braccia del genitore. Ha perso tutto e proprio per questo può davvero ricominciare.
Il padre: un uomo anziano, presumibilmente ricco - considerata la lunga tunica ricamata in oro - e cieco, a giudicare dallo sguardo che immaginiamo essersi consumato per lo sforzo di vedere riapparire in lontananza la sua creatura tanto amata e sempre attesa. Un padre, la cui figura e postura parlano solo di un grande amore; il manto, da sempre simbolo di protezione, è avvolgente, il suo corpo accogliente, alla stregua di un grembo materno. Le braccia stringono con fermezza il prezioso dono del figlio ritrovato, mentre, allo stesso tempo, dolcemente egli lo accarezza e rassicura.
E le mani! Ecco il fulcro di tutta la composizione su cui si concentra la nostra attenzione e quella dei personaggi qui rappresentati. La destra, affusolata, femminile; la sinistra, robusta, maschile. Ci dicono semplicemente che Dio Padre è tutto, che in Lui convivono maternità e paternità. E che solo da qui, da questa divina congiunzione, può nascere una creatura nuova.