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EST EUROPA

Polonia e Ungheria, così si resiste allo strapotere UE

La manifestazione nazionalista in Polonia di sabato scorso è stata il pretesto per riproporre l'immagine di paesi dell'Est dominati da forze reazionarie. Ma le cose stanno diversamente: i governi di destra godono del favore popolare sia per la difesa dell'identità nazionale sia per le politiche economiche che stanno dando buoni risultati.

Esteri 15_11_2017

La manifestazione che ha riunito a Varsavia gruppi di estrema destra da tutta Europa in occasione delle celebrazioni per l’indipendenza della Polonia di sabato scorso è diventata l’ennesimo pretesto per riproporre il cliché di un’Europa orientale dominata da forze sovraniste, come quelle che esprimono l’attuale governo polacco, determinate ad alimentare un clima di razzismo, ultranazionalismo e islamofobia funzionale a consolidare l’autoritarismo che esse hanno iniettato nel sistema politico.

Ha scritto il Financial Times: «Non ci devono essere dubbi su quello che il governo polacco sta facendo. Seguendo l’esempio di Trump negli Stati Uniti e di Viktor Orban in Ungheria, sta aprendo uno spazio per la politica di estrema destra mentre finge neutralità, spingendo in questo modo il centro di gravità politica decisamente verso destra». L’unico argine all’autoritarismo degli Orban e dei Kaczynski (l’uomo forte del partito Giustizia e Diritto al potere in Polonia) sarebbero gli standard politici e giuridici fissati dall’Unione Europea, non a caso bersaglio di molte tirate polemiche dei due leader appena citati, ed ecco allora che a Bruxelles, come ci informa un altro recente articolo del Financial Times, si stanno studiando nuovi meccanismi per tagliare le unghie ai governanti di Budapest, Varsavia e altre capitali che volessero imitarli.

Alti funzionari dei paesi della Ue, Germania in testa, vorrebbero istituire forme di condizionalità dei fondi comunitari di coesione destinati ai paesi dell’Est più efficaci e di più rapida applicazione di quelle implicite nell’articolo 7 del Trattato, che prevede la non meglio precisata “sospensione di alcuni diritti”, compreso quello di voto, dei paesi che il Consiglio europeo delibera all’unanimità che abbiano violato i valori democratici europei. A partire dal 2021 dovrebbe diventare più facile sospendere il versamento dei fondi strutturali ai paesi che violano lo Stato di diritto, fattispecie di infrazione che, ammette il quotidiano finanziario londinese, non sarà facile da definire precisamente.

Non c’è dubbio che nell’Europa dell’Est alcuni governi stiano cercando di garantirsi un elevato livello di controllo sui media pubblici e privati e sui livelli più alti della magistratura. Non c’è ugualmente dubbio che in molti paesi in passato comunisti, a cominciare dalla ex Germania Est, le forze di estrema destra siano in ascesa. Ma questi fenomeni non rappresentano come si vuol far credere la sfida portata da forze retrive e antidemocratiche ai valori progressisti dell’Unione Europea, quanto piuttosto la conseguenza delle politiche perseguite in passato da locali governi di centro-sinistra e incoraggiate da Bruxelles, come pure di un’egemonia tedesca sulle decisioni prese a livello di Unione Europea che a molti nell’Est ricorda la sovranità limitata di sovietica memoria.

La nomina di giudici politicamente affini, spesso con modalità controverse, non è una novità introdotta dai governi di Viktor Orban in Ungheria e di Beata Szydlo in Polonia: era stata già praticata dai loro predecessori, ed è per eliminare magistrati legati agli esecutivi del passato che gli attuali governanti stanno introducendo nuove normative.   

Ma la questione decisiva riguarda le politiche economiche: i governi di centro e centro-sinistra hanno applicato le politiche liberiste favorite da Bruxelles, che hanno sì rilanciato la crescita economica, ma al prezzo di forti diseguaglianze sociali, della formazione di una classe di privilegiati che hanno beneficiato delle privatizzazioni, e di una penetrazione sproporzionata degli interessi tedeschi. I governi sovranisti e populisti di Orban e della Szydlo, bisogna riconoscerlo, stanno operando per la redistribuzione della ricchezza nazionale, e grazie a un mix di alta spesa pubblica, stimoli fiscali e bassi tassi di interesse le loro politiche economiche stanno funzionando egregiamente. È questa la ragione per cui i sondaggi di opinione accreditano Fidesz (il partito di Orban) in Ungheria e Diritto e Giustizia in Polonia di alti tassi di consenso: il partito della Szydlo e di Kaczynski è dato al 45 per cento, contro il 17 per cento dell’opposizione di centro di Piattaforma Civica; in Ungheria Fidesz è quotata al 55 per cento delle preferenze; segue staccato di oltre venti punti Jobbik, partito di estrema destra. I socialisti, al governo fino al 2010, sono accreditati del 9 per cento dei voti appena.

Sono i risultati in campo economico e non il controllo crescente dei media che consentono ai partiti di governo questi risultati: polacchi e ungheresi sono abituati a fare la tara alla propaganda di regime dai tempi del comunismo, ma c’è un argomento al quale sono estremamente sensibili, ed è quello della sovranità nazionale. Diversamente da molte nazionalità dell’Europa occidentale, polacchi e ungheresi non vogliono partecipare all’Unione Europea per fondersi in un’entità più ampia, ma per godere della sovranità nazionale di cui non hanno potuto usufruire al tempo degli imperi e a quello dei regimi comunisti eterodiretti da Mosca. I provvedimenti punitivi che Bruxelles minaccia contro le decisioni sovrane dei loro paesi e l’obbligo di accogliere quote, ancorché limitate, di richiedenti asilo sono stati occasioni ghiottissime per un’efficace propaganda politica da parte dei partiti al governo. Che questa propaganda abbia finito per spostare sempre più a destra il baricentro della rappresentanza politica è fuor di dubbio, ma non sono stati polacchi e ungheresi a scegliere questo terreno di scontro. Glielo hanno imposto le élites di Bruxelles e di Berlino, le stesse che adesso gridano al pericolo fascista.