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IL CASO AI RAGGI X

Okkupazione in porpora, la carità irragionevole

L'okkupazione del cardinal Krajevski è ingiustificabile sotto tutti i principi della Dottrina sociale della Chiesa ed è un esempio che ai vertici della Chiesa si tende a pensare che la carità non abbia bisogno della ragione. Perché non c’è bene comune senza giustizia.

Ecclesia 14_05_2019

Il fatto che ha avuto per protagonista il cardinale Krajevski, Elemosiniere del Papa, non è solo una spiacevole divagazione, ma un nuovo esempio che ai vertici della Chiesa si tende a pensare che la carità non abbia bisogno della ragione. Ma una carità irragionevole e qualunquista non è carità e produce danni e non benefici. I principi della Dottrina sociale della Chiesa aiutano a praticare la carità, che è il vertice della vita cristiana, in modo ragionevole, intendendola come Caritas in veritate. Può essere allora utile considerare il bizzarro intervento del cardinale alla luce dei principi della Dottrina sociale.

La scelta dei mezzi, in questo caso la rottura dei sigilli di un contatore di proprietà altrui e l’uso illegale (furto) di energia elettrica, deve essere sempre valutata in ordine al fine, che consiste nel bene comune. Prima di tutto il bene comune comprende la giustizia, che consiste nel dare a ciascuno il suo. In questo caso a nessuno è stato dato il suo: alla proprietà non è stato restituito lo stabile occupato, all’ente per l’energia elettrica non è stato saldato il debito per l’erogazione, agli occupanti abusivi non è stato dato quanto la trasgressione della legge merita, ad altri cittadini italiani in difficoltà, ma che non occupano abusivamente appartamenti altrui e che pagano le bollette con grande fatica, è stata data una presa in giro. Anche allo “Stato di diritto” – ricordato, anche se con particolari accenti, dal magistero sociale recente - non è stato dato il suo: esso si fonda sulla legge, ma qui la legge non è stata rispettata. Non c’è bene comune senza giustizia: l’intervento del cardinale ha prodotto ingiustizia, confermando e aggravando le ingiustizie precedenti.

Si può essere dispensati dall’applicazione di una legge giuridica o morale quando tale legge è contraria al bene comune o alla legge divina: non è questo il caso. La legge che stabilisce la tutela della proprietà privata dagli abusi delle occupazioni proletarie o vaticane non è né contro il bene comune né contro la legge divina. Così pure la legge che stabilisce che l’acquisto di un bene – in questo caso l’elettricità - va fatto secondo la giustizia commutativa, ossia con regolare contratto da rispettarsi. Eventuali clausole di solidarietà sociale e redistributive vanno stabilite socialmente o politicamente. In ogni caso, i precetti del decalogo non ammettono dispensa. Rubare – compresa l’energia elettrica - non è lecito.

Un altro caso in cui la legge morale e giuridica può essere sospesa è la cosiddetta epikeia: quando le circostanze sono tali da stravolgere il fine per cui il legislatore ha emanato quella legge. Ma ancora una volta non è questo il caso. L’analisi affrettata fatta dal cardinale che dice di aver aiutato i “deboli” è tutta da verificare – la realtà dei 450 abitanti abusivi dello stabile è molto varia – e in ogni caso ciò non stravolgerebbe il fine delle leggi che l’azione del cardinale ha contraddetto e che non sono contrarie al bene comune.

I principi del bene comune e della giustizia non sono stati quindi rispettati. Come non è stato rispettato il principio del diritto naturale alla proprietà privata. É vero che questo diritto riguarda il possesso dei beni e non l’uso, che deve essere “sociale”, ma la socializzazione del principio della proprietà privata non può essere spinto fino al furto, che metterebbe in discussione il principio stesso, né può essere affidato alla stravaganza di un atto avventato, bensì deve essere rimesso alle leggi, alle politiche, ai sistemi di solidarietà della società civile, alla carità sociale e politica. Il principio del diritto naturale alla proprietà privata va messo insieme con quello della destinazione universale dei beni.

L’intervento del cardinale potrebbe ispirarsi a quest’ultimo principio, il quale però deve essere realizzato tramite l’estensione della proprietà privata mediante il lavoro e non con la sua soppressione. L’anima collettivista delle espropriazioni intende il principio della destinazione universale dei beni come una torta da dividere in parti uguali e quando sembra che le leggi e la politica non siano in grado di farlo, lo fanno gli occupanti/espropriatori, passando sopra alle leggi e alla politica e togliendo arbitrariamente agli uni per dare agli altri. A ben vedere, però, non abbiamo bisogno di altri Comitati di Salute Pubblica, né di nuovi Mably e Morelly. In ogni caso, la realizzazione della destinazione universale dei beni, seppure fatta in questo modo improprio, dovrebbe almeno riguardare tutti e non solo alcuni selezionati. Non è che gli amici della rivoluzione meritino più attenzioni degli altri, come è sempre accaduto, purtroppo, in tutte le rivoluzioni?

Un tempo non figurava tra i principi della Dottrina sociale della Chiesa quello della scelta preferenziale per i poveri, che è stato in seguito annoverato tra essi su pressione degli episcopati latinoamericani. Tale principio ha però sempre suscitato perplessità, data la facilità con cui si presta ad essere inteso sociologicamente e, quindi, ideologicamente. Sebbene Dio abbia una predilezione particolare per i poveri, non è lecito equiparare i poveri in senso sociologico con i poveri in senso evangelico. Può darsi che il cardinale abbia fatto questo errore. La povertà sociologica non è segno di per sé sola di nobiltà d’animo, né di virtù morali, né di ingiustizie subite. Così è anche per gli abitanti del palazzo occupato, l’analisi delle cui situazioni richiedeva una riflessione particolareggiata e non l’applicazione dell’etichetta evangelica di “poveri”. 

Ho cercato di esaminare questo strano atteggiamento del porporato sotto cinque principi della Dottrina sociale della Chiesa: bene comune, giustizia, proprietà privata, destinazione universale dei beni, scelta preferenziale per i poveri. Nessuno di questi principi sembra giustificarlo.