Müller, il Papa e il precedente di Antiochia
Per comprendere il Manifesto della Fede del cardinale Müller e prima ancora i Dubia, bisogna tornare ad Antiochia quando San Paolo affronta San Pietro su un tema vitale per la comunità cristiana. Altra cosa rispetto alla lettura "politica" dei principali giornali italiani, compreso quello della Cei.
Tutti conosciamo il famoso “incidente di Antiochia” in cui San Paolo prende una netta posizione contro San Pietro a proposito dei costumi giudei che il vicario di Cristo voleva imporre ai pagani. È lo stesso San Paolo che lo racconta nella Lettera ai Galati, affermando che «mi opposi a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto» (Gal 2, 11). Non era cosa di poco conto perché, come dice sempre San Paolo, c’era in ballo «la verità del vangelo». Né San Paolo ci andò leggero, visto che a Pietro rimprovera addirittura di essere ipocrita.
Pensiamo a come un vaticanista medio odierno – di quelli che bivaccano nei principali giornali laici italiani - avrebbe dato conto di questo incidente: «Paolo attacca Pietro» sarebbe certamente il titolo, e giù commenti contro Paolo che osa mettere in discussione l’autorità del Papa. A seguire, approfondimenti sulla cospirazione contro Pietro di cui Paolo farebbe parte insieme ai ricchi capitalisti di Antiochia, diffidenti nei confronti di un "pescatore con l’odore dei pesci". E grande spazio a Giacomo, bersaglio delle frecciate di Paolo, un altro modo per delegittimare Pietro di cui Giacomo è stretto collaboratore. Per l’opinione pubblica dunque Paolo sarebbe stato additato come un nemico del Papa, un apostolo che con la sua ostilità avrebbe lavorato per le dimissioni di Pietro, magari ambendo a prendere il suo posto.
Fortunatamente all’epoca non c’erano né Repubblica né Vatican Insider, e anche La Civiltà Cattolica era di là da venire. E così abbiamo imparato che tra i discepoli di Gesù ci possono essere anche confronti duri, ma avendo a cuore la verità e non proprie posizioni ideologiche. Si può anche chiedere conto al Papa di certe sue decisioni senza minimamente mettere in dubbio la sua legittimità e la sua posizione.
È perciò più che comprensibile il fastidio e il dolore di cardinali che hanno a cuore l’unità della Chiesa, come Gerhard Müller e prima di lui i cardinali dei Dubia – Caffarra, Meisner, Burke e Brandmüller –, a essere dipinti come nemici del Papa soltanto per aver posto delle domande chiarificatrici o aver ricordato la dottrina cattolica. Cioè molto meno di nquanto abbia fatto San Paolo. A questo proposito è però interessante notare come Vatican Insider nel titolo sul Manifesto della Fede del cardinale Müller afferma che esso corregge «la dottrina del Papa», avallando l’idea – certamente non cattolica – che sia il Papa a fare la dottrina. A volte i titoli tradiscono il retropensiero di chi controlla i media.
Fortunatamente ai tempi degli apostoli non c’era neanche Avvenire altrimenti, per non mettere in subbuglio l’animo dei cristiani, la notizia sarebbe stata che «Tra San Paolo e San Pietro si conferma piena identità di vedute». Basti vedere i due articoli dedicati al Manifesto della Fede del cardinale Müller: nel primo un vaticanista deduce che il Papa non c’entri niente perché non viene neanche nominato; nel secondo un docente di teologia fondamentale ci spiega che quanto scrive Müller è esattamente quanto sempre sostenuto da papa Francesco. E il lettore avrebbe a questo punto tutto le ragioni per chiedersi che necessità avesse il cardinale Müller di scrivere il Manifesto della Fede, domanda a cui Avvenire ovviamente non risponde.
Ora è chiaro che il problema della crescente «confusione nell’insegnamento della fede» che fa da prologo al documento di Müller non è da imputare semplicemente a Papa Francesco: è un processo che viene da lontano e che in questo pontificato sta dando i suoi frutti tanto maturi quanto avvelenati, ma sostenere che il cardinale Müller affronti la questione allo stesso modo del Papa significa prendere i lettori per deficienti. Da «prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede 2012-2017» (interessante che si firmi così e non ex prefetto o prefetto emerito) egli esprime con chiarezza e decisione il pensiero della Chiesa sui temi oggi maggiormente controversi laddove papa Francesco ha sempre risposto picche a chi tale chiarezza chiedeva (vedi i Dubia).
Per questo l’appello finale si rivolge soprattutto ai vescovi e ai sacerdoti perché escano allo scoperto per confermare esplicitamente la fedeltà alla dottrina della Chiesa (non di un Papa o di un altro): non è una chiamata alla ribellione ma a mantenere la Chiesa unita intorno alla verità rivelata da Gesù. Ed è questo il migliore aiuto al Papa che si possa dare in questo momento.