Irlanda, il Popolo della Vita non si arrende
Tra una settimana esatta un referendum potrebbe introdurre l'aborto in Irlanda: tutti i partiti lo vogliono, tutti i media sono a favore. E l'opposizione della gerarchia ecclesiastica è debole. Solo un piccolo popolo resiste e lotta per sovvertire il pronostico. Sono anche quelli che fanno rivivere l'antico spirito irlandese.
Manca ormai solo una settimana al 25 maggio, la data in cui tre milioni di irlandesi saranno chiamati a votare sull'ottavo emendamento della Costituzione, un provvedimento legislativo che fu emanato nel 1983 per garantire il diritto alla vita del bambino concepito. Una legge esemplare dal punto di vista del Diritto che faceva dell’Irlanda un Paese che protegge il diritto alla vita del nascituro, equiparando la sua salute a quella della madre.
Ora il quesito referendario chiederà agli elettori di pronunciarsi su questo ottavo emendamento della Costituzione irlandese, che a suo tempo era stato sottoposto ad un referendum confermativo, tenuto nello stesso 1983, e che aveva visto una vittoria schiacciante del Sì alla vita, con il 67% dei consensi.
Era - quella del 1983 - un’Irlanda molto diversa dall’attuale: era un Paese ancora pienamente consapevole della propria identità cattolica, che aveva accolto quattro anni prima il viaggio Apostolico di Giovanni Paolo II, il primo papa a giungere pellegrino in una terra che per la propria fedeltà alla Chiesa di Roma aveva subìto un martirio lungo tre secoli. Un Giovanni Paolo II che aveva commosso profondamente l’isola nei luoghi che aveva toccato, così come era stato altrettanto toccante il suo tentativo di salvare la vita a Bobby Sands e ai prigionieri indipendentisti detenuti nel carcere di massima sicurezza di Long Kesh, inviando il suo segretario personale con in dono un crocifisso per quel Bobby Sands che la stampa britannica bollava come “terrorista”.
Quell’Irlanda votò in stragrande maggioranza contro l’aborto, proprio mentre il resto d’Europa - Italia compresa - scivolava nella secolarizzazione e legittimava divorzio e aborto. Ora quell’Irlanda eroica non c’è più. C’è un Paese che il recente benessere ha cambiato, e dove la globalizzazione dei radicalismi ha introdotto una mentalità sempre più laicista. Negli ultimi anni l’attacco alla famiglia - l’istituzione base per secoli della civiltà irlandese, fin dai tempi degli antichi Celti - ha portato all’introduzione del divorzio e poi del same-sex marriage. Ora resta questo ultimo bastione da difendere, quello della inviolabilità della vita umana.
È una battaglia difficilissima, perché il Popolo della Vita irlandese ha contro tutto e tutti. A cominciare dalla politica, dove praticamente tutti i partiti si sono pronunciati per l’abrogazione dell’emendamento, a cominciare dal capo del Governo, l’esponente del Fine Gael (un partito di centrodestra) Leo Varadkar, di origine indiana e gay dichiarato. Varadkar ha fortemente voluto questo referendum, con l’intenzione di “modernizzare” il Paese. Il principale partito di opposizione, il Fianna Fail, vede il suo leader schierato per l’abrogazione, ma non sono pochi i suoi esponenti ad esprimere il proprio dissenso. Poi ci sono gli indipendentisti dello Sinn Fein che vogliono un’abrogazione seguita poi da una immediata legge che limiti la possibilità di abortire.
In effetti, come ha documentato un articolo del professor Angelo Bottone sul sito del prestigioso think thank Iona Istitute, la nuova legislazione abortista irlandese che uscirebbe dal referendum sarebbe addirittura peggiore di quella britannica, che in quanto a permissività non scherza. Per il resto, come si è detto, un consenso pressochè unanime alla linea dello Yes.
Il fronte pro-choice ha ricevuto anche il supporto di esponenti del mondo dello spettacolo, come Liam Neeson o la vecchia band degli U2. Per quanto riguarda i media, tutte le grandi testate sono per l’abrogazione, con varie sfumature, appellandosi a tutta la consueta retorica dei casi-limite, delle donne che sono “costrette” ad andare ad abortire in Inghilterra, e della sempre presente esigenza di modernizzare il Paese nonché di emanciparlo dalla lunga “sudditanza” nei confronti della Chiesa Cattolica, rimestando per l’occasione nel torbido dei problemi e degli scandali della pedofilia che hanno afflitto negli ultimi anni la Chiesa irlandese.
Questa - da parte sua - forse intimidita da tale fuoco di sbarramento, non sta certo vivendo questa circostanza con lo spirito battagliero che dovrebbe essere proprio degli irlandesi. Con una precisazione: la timidezza è della Chiesa intesa come gerarchia, che anche in assenza di quegli input che un tempo venivano da Roma - come nel referendum del 1983 - tiene la voce bassa.
Ben diverso è l’atteggiamento del popolo, dei movimenti pro-life, dei gruppi, dei centri studi come il già citato Iona Institute. Da loro sta venendo una azione capillare e intelligente. Niente retorica scontata sui valori della vecchia Irlanda, niente veglie fuori dagli ospedali, che è quello che gli avversari si aspettavano (“tenete i vostri Rosari lontani dalle nostre ovaie” recita uno slogan dei militanti abortisti) ma con l’uso dei social media, dei contatti personali, della testimonianza pubblica coraggiosa, delle mail, delle denunce delle scorrettezze degli avversari, stanno conducendo una battaglia difficilissima, il cui esito sembrerebbe segnato, ma che i Pro Life dell’Isola del Destino sono determinati a ribaltare. Sono loro i veri, ultimi irlandesi: quelli che non si arrendono mai.