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Ora di dottrina / 110 – Il supplemento

Il conciliarismo

Al Concilio di Costanza fu approvato il decreto Hæc sancta con un paragrafo molto controverso, perché sosterrebbe un’idea eretica, cioè la superiorità dei concili sul papa. Una posizione, il conciliarismo, con sfumature diverse, che affondava le sue radici nei secoli precedenti.

Catechismo 07_04_2024

Il Concilio ecumenico di Costanza (1414) ha fatto la sua parte nel risolvere lo scisma che perdurava da quarant'anni. Infamato e “deposto” il cardinale Baldassarre Cossa (Giovanni XXIII), incassata l'abdicazione di Gregorio XII, il papa legittimo, isolato, deposto e scomunicato Benedetto XIII, l'11 novembre 1417 venne eletto, finalmente come “unico papa”, il cardinale Oddo Colonna, che prese il nome di Martino V (1369-1431).

Ma questo Concilio fu tutt'altro che esente da problemi. Il 6 aprile 1415, venne approvato dai Padri conciliari il decreto Hæc sancta, che conteneva un paragrafo in cui si avvertiva un certo sapore di conciliarismo: «[Questo santo Sinodo di Costanza] in primo luogo dichiara che esso, legittimamente riunito nello Spirito Santo, essendo concilio generale e rappresentando la chiesa cattolica militante, riceve il proprio potere direttamente dal Cristo e che chiunque, di qualunque condizione e dignità, compresa quella papale, è tenuto ad obbedirle in ciò che riguarda la fede e l'estirpazione dello scisma e la riforma generale nel capo e nelle membra della chiesa di Dio».

Questo paragrafo sembra dare l'approvazione di un concilio ecumenico ad un'affermazione eretica, in quanto vi si sosterrebbe la superiorità dei concili sul papa. Era questa un'idea che tornava e ritornava, con toni, sfumature e accentuazioni differenti, sulla penna di alcuni importanti teologi da almeno un secolo, sebbene si ritenga che il “progenitore” del conciliarismo sarebbe un testo giuridico presente nella raccolta del XII secolo, Concordia discordantium canonum ac primum de iure nature et constitutionis, più comunemente nota come Decretum Gratiani; secondo questo testo il papa potrebbe venire giudicato dalla Chiesa in caso di eresia. Il testo sembra attribuibile al cardinale Umberto di Silva Candida (+1061), compagno di lotte di San Pier Damiani.

La posizione conciliarista conobbe un primo sostanzioso sviluppo quando si acuì lo scontro tra il papato e il potere secolare, che trovarono protagonisti Bonifacio VIII (1230ca-1303) e Giovanni XXII (1244ca-1334). Di fronte a pontefici che, con il loro comportamento, hanno rischiato di provocare divisioni all'interno della Chiesa, o di fatto queste scissioni le hanno provocate, la reazione di taluni fu proprio quella di limitare il potere primaziale e supremo del successore di Pietro, o almeno di sostenere la possibilità di un controllo sul suo operato da parte “della Chiesa” (per alcuni un concilio, per altri il corpo cardinalizio, per altri la Chiesa nel suo insieme), che potesse giungere fino alla deposizione del pontefice.

In questo contesto, personaggi di spicco come il teologo domenicano dell'Università di Parigi, Jean Quidort (1255ca-1306), il filosofo Marsilio da Padova (1275-1342), i francescani Michele da Cesena (1270ca-1342), che fu anche ministro generale dell'ordine per dodici anni, e Bonagrazia da Bergamo (+1340), presero carta e penna per sostenere la superiorità del concilio sul papa e frenare, in questo modo, il malgoverno dei pontefici. Discusso invece se un altro nome famoso sostenesse una teoria propriamente conciliarista; si tratta del francescano Guglielmo di Ockham (1288-1347), anch'egli sostenitore, come Marsilio e i due confratelli, di Ludovico il Bavaro (1282-1347) nello scontro con i papi avignonesi.

Quando sulla Sede romana salì l'ingestibile Urbano VI (1318-1389), al quale venne contrapposto l'antipapa Clemente VII (1342-1394) (vedi qui), si verificò una seconda ondata di riflessioni favorevoli alla superiorità del concilio sul papa, con il tentativo di giustificare il ricorso appunto ad un sinodo, non convocato dal papa, almeno per giudicare la controversia su quale sia il papa legittimo. Argomenti importanti, ma non per questo esenti da risvolti problematici, vennero sostenuti da due teologi tedeschi di spicco, Konrad von Gelnhausen (1320ca-1390), con l'Epistola concordiæ, e Heinrich von Langenstein (1325-1397), con l'Epistola Pacis.

Già dai titoli delle lettere si comprende che si è trattato di uno sforzo sincero di risolvere una situazione puntuale profondamente lacerante per la Chiesa, e non di teorie generali sulla restrizione (o l'azzeramento, come nel caso di Marsilio) della plenitudo potestatis del papa. Eppure, era chiaro che la ricerca di una soluzione applicabile nella circostanza del Grande Scisma non poteva non sconfinare in principi più generali. Si pensi, per esempio, al fatto della convocazione stessa di un concilio che avrebbe dovuto portare alla rinuncia dei “tre papi” per poter eleggere un nuovo papa, e che pertanto non poteva essere indetto dal papa stesso: è possibile convocare un concilio ecumenico, con decisioni vincolanti per la Chiesa universale, senza che sia il papa a riunirlo e senza che il papa vi partecipi, se non come “imputato”?

I due teologi tedeschi giustificarono l'indizione di un concilio senza papa rifacendosi a due principi: la necessità communis et generalis della Chiesa e il principio di epicheia. Lo stato di necessità consentirebbe di violare una legge ordinaria, altrimenti vincolante, mentre l'epicheia permetterebbe di andare contro la lettera della legge, per seguire invece la mens del legislatore, in situazioni eccezionali, imprevedibili da parte del legislatore.

Il punto decisivo doveva però trovare ancora una risposta: chi ha l'autorità di convocare un concilio ecumenico, e dunque validarne i decreti, se non il papa? Detta diversamente: a chi Dio avrebbe conferito quella plenitudo potestatis, che sappiamo essere prerogativa del primato, che appartiene al solo successore di Pietro? Konrad von Gelnhausen e Heinrich von Langenstein, dovendo mettere da parte, in quella situazione, il papa, avevano una sola soluzione “obbligata”: questa potestà suprema apparteneva alla Chiesa universale, riunita in concilio, e tale potestà veniva data al concilio direttamente da Gesù Cristo, Capo invisibile della Chiesa, saltando la mediazione del romano pontefice, Capo visibile della Chiesa. I due teologi tedeschi ritennero che la Chiesa in situazione di scisma sarebbe paragonabile alla Chiesa in situazione di sede vacante, in attesa dell'elezione di un nuovo pontefice: come nel secondo caso la Chiesa continua a sussistere anche senza il Capo visibile, sostenuta dal Capo invisibile, così, nella situazione di dubbio sul papa legittimo, sarebbe Cristo stesso a supplire alla mancanza del papa.

Restano seri dubbi sugli argomenti: anzitutto perché necessità ed epicheia si applicano alle leggi ecclesiastiche o umane, non alle leggi divine positive. In altri termini, la Chiesa non ha il potere di attribuire ad un concilio quello che Dio ha concesso al solo papa; né si può presumere che Cristo stesso conceda questa potestas al concilio. Poi l'analogia tra scisma per la presenza di “più papi” e sede vacante non regge: nel primo caso il papa esiste, ma non è chiaro chi sia; nel secondo caso, il papa non c'è affatto.

Tuttavia, i due autori restrinsero di molto il proprio conciliarismo, precisando che questo concilio senza papa non doveva essere pensato come organo permanente di supplenza del papa, ma come organo straordinario per dirimere solamente la questione della legittimità del papa. Gli atti di quel concilio straordinario avrebbero poi dovuto essere approvati, come di consueto, dal papa legittimo per avere valore su tutta l'ecumene; una volta eletto il nuovo papa o eventualmente riconosciuto quello legittimo, questi avrebbe quindi dovuto accedere al concilio e presiederlo.

Sembra che sia soprattutto questa posizione ad aver trovato concretizzazione nel decreto Hæc sancta, o meglio, nell'interpretazione data a quel decreto. Ma non sono mancate interpretazioni decisamente più allargate. Avremo modo di ritornarci.



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