Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
il trono che non c'è

Dopo Vittorio Emanuele resta la contesa sul capo dei Savoia

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Emanuele Filiberto eredita dal padre anche una controversia sulla guida del casato che divide i monarchici tra lui e il cugino Aimone. E insieme alla disputa periodicamente riemerge una profezia attribuita a padre Pio. 

Attualità 09_02_2024
© ROBERTO MONALDO/LAPRESSE

Con la morte di Vittorio Emanuele di Savoia (le cui esequie si svolgeranno domani a Torino) torna sotto i riflettori il casato che ha cinto la corona d’Italia dal 1861 al 1946, ma – insieme alle non poche controversie che lo hanno coinvolto in vita –anche l’annosa questione di chi sia il “vero” capo di casa Savoia, dopo la morte di Umberto II, l’ultimo re d’Italia deceduto in esilio nel 1983. In sintesi: prosegue il ramo Savoia-Carignano, con Vittorio Emanuele e ora suo figlio Emanuele Filiberto? Oppure, come altri sostengono, sarebbero subentrati i cugini del ramo Savoia-Aosta, con Amedeo (morto nel 2021) e ora suo figlio Aimone? E perché? La questione è apparentemente “di nicchia”, ma tutt’altro che priva di interesse, essendo legata alla storia del nostro Paese e – perché no? – a un ipotetico futuro sovrano, in caso di improbabile ma non impossibile ritorno della monarchia, cui si intreccia anche una profezia attribuita a san Pio da Pietrelcina.

Il “nocciolo” della disputa risale al 1970 per via del matrimonio tra Vittorio Emanuele e Marina Ricolfi Doria: non essendo la sposa di famiglia reale, in mancanza di assenso di Umberto II, lo sposo sarebbe stato escluso dalla successione. Assenso necessario secondo le norme di casa Savoia per ogni matrimonio (diseguale o meno), ma se «contratto con persona di condizione e stato inferiore (...), tanto i contraenti, che i discendenti da tale matrimonio, si intenderanno senz'altro decaduti dal possesso dei beni e dei diritti provenienti dalla Corona e dalla ragione di succedere nei medesimi». Salvo «qualche singolare circostanza» che spingesse il sovrano a dare il beneplacito, come stabilito nel 1780 dalle Regie Patenti di Vittorio Amedeo III, re di Sardegna.

Norme che Umberto II, non più re ma pur sempre capo di casa Savoia, ribadiva in una lettera del 25 gennaio 1960 al figlio, all’epoca fidanzato con l’attrice Dominique Claudel, «in modo che tu sappia con esattezza in quale situazione verresti a trovarti», richiamandosi «alla legge della nostra Casa, vigente da ben 29 generazioni e rispettata dai 43 Capi Famiglia, miei predecessori, succedutisi secondo la legge Salica attraverso matrimoni contratti con famiglie di Sovrani. Tale legge, io 44mo Capo Famiglia, non intendo e non ho diritto di mutare, nonostante l’affetto per te». Umberto era netto sulle conseguenze: «la tua decadenza da qualsiasi diritto di successione come Capo della Casa di Savoia e di pretensione al trono d’Italia, perdendo i tuoi titoli e il tuo rango e riducendoti alla situazione di privato cittadino. Perciò tutti i diritti passerebbero immediatamente a mio nipote Amedeo, Duca d’Aosta». Vittorio Emanuele il 25 aprile 1960 riconosceva «la situazione nella quale verrei a trovarmi se decidessi di rinunciare alle mie prerogative e mi sposassi con una donna – qualunque essa fosse – non di sangue reale» e la relativa situazione anche «sotto l’aspetto strettamente dinastico».

L’ammonimento si ripeté il 18 luglio 1963, quando l’ex sovrano riprese carta e penna dopo aver letto un’intervista al figlio circa le possibili nozze (poi di fatto avvenute) con Marina Doria, vedendosi costretto a «ripeterti, parola per parola, quanto ebbi a scriverti il 23 [sic] gennaio 1960, in una simile circostanza». «L’intervista non rispecchia il mio pensiero», rispose Vittorio Emanuele il 25 agosto in calce alla lettera paterna. Fatto sta che qualche anno dopo quel matrimonio che “non s’aveva da fare” si fece nel 1970 a Las Vegas, con rito civile, all'insaputa del padre. Quello religioso seguì l'anno dopo a Teheran. 

A dirimere la questione nel frattempo insorta fra i due rami fu chiamata nel 2001 la Consulta dei Senatori del Regno, fondata nel 1955 da ex senatori attivi durante la monarchia e poi man mano rinnovatasi per le evidenti necessità anagrafiche. Il risultato, in breve, fu che invece di sciogliere il nodo si spaccò in due anche la Consulta. Da allora di Consulte ce ne sono due: una, presieduta dal medico Pier Luigi Duvina, che riconosce la successione di Vittorio Emanuele (e di Emanuele Filiberto), l’altra, presieduta dallo storico Aldo Alessandro Mola, che invece riconosce i Savoia-Aosta (Amedeo e Aimone) quali legittimi successori di Umberto II. Il picco di tensione tra i due rami si raggiunse però nel 2004 alle nozze reali di Felipe VI di Spagna quando lo scontro divenne anche fisico e Marina Doria dovette andare a scusarsi con Amedeo che aveva appena rimediato un pugno dal cugino Vittorio Emanuele.

Anche prescindendo dalla querelle matrimoniale relativa a Vittorio Emanuele, un altro elemento avrebbe nel tempo giocato a favore del ramo Savoia-Aosta: la legge salica – che attribuisce il trono solo agli eredi maschi – anch’essa richiamata nella lettera di Umberto II del 1960. Emanuele Filiberto non ha fratelli e ha due figlie femmine che pertanto non sarebbero entrate nella linea di successione se il nonno Vittorio Emanuele all’inizio del 2020 non avesse dichiarato abolita la legge salica, legiferando a tutti gli effetti come capo di Casa Savoia e pertanto considerandosi tale. Decisione che ha suscitato malumori tra i rami del casato, dichiarata da Amedeo «nulla, tanto più perché proveniente da persona esclusa dalla successione dinastica», attraverso un comunicato, rilanciato poi su Facebook da Emanuele Filiberto con il commento: «Quando il ramo cadetto vuol prendere il posto del tronco…può solo rompersi».

Intervistato dal Corriere della Sera all’indomani della morte del padre circa la  «grossa, enorme responsabilità» Emanuele Filiberto parla da «nuovo capofamiglia». E da capofamiglia si presenta a sua volta Aimone, che invia le condoglianze ai parenti dal sito intitolato Casa Reale di Savoia. E c’è chi vede in Aimone l’uomo della profezia sul crollo della monarchia e sul suo ritorno per mano di un ramo collaterale, attribuita a san Pio da Pietrelcina, che negli anni ’30 avrebbe predetto – il condizionale è d’obbligo – alla futura regina Maria José: «Un ramo della pianta seccherà, ma un altro ramo germoglierà portando copiosi frutti». Un tempo la morte di un sovrano e l'immediata successione dell'erede erano proclamate con la formula: "Il re è morto, viva il re!". Già, ma quale dei due?



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