Cristiani in Iraq: l'Isis ci invase così, ma non abiurammo
Il documentario "Guardiani della Fede" ricostruisce quanto avvenuto dal 10 giugno del 2014 attraverso i testimoni diretti della persecuzione. Perché raccontare tutto questo? Perché portare la pellicola nei cinema? I cristiani intervistati mostrano una fede che risveglia il desiderio di radicalità e di comunione con la Chiesa dei martiri.
«Chiamavano tutti i giorni a casa nostra minacciandoci. Dovevamo scegliere: convertirci all’Islam o abbandonare il paese». Comincia così il documentario “Guardiani della Fede” (qui il trailer) girato da alcuni giovani spagnoli dopo il loro viaggio in Iraq nell’agosto del 2015 mostrando la forza di chi per Cristo è disposto a perdere tutto. Il documentario ricostruisce senza ideologie quanto avvenuto il 10 giugno del 2014, quando l’Isis invase il paese cominciando con l’occupazione di Mosul, facendo parlare i testimoni diretti della tragedia e dell’esodo dei cristiani. Quando, spiega un superstite, «tutto cambiò in 12 ore» e furono sterminati centinaia di migliaia di cristiani.
Sullo sfondo del documentario compaiono le immagini degli attacchi delle Femen, delle chiese profanate in Occidente, delle discoteche piene di giovanissimi che si sballano, mentre una voce spiega come «in un'Europa che ha perso la fede risulta difficile credere alla testimonianza di uomini disposti a rinunciare a tutto per Cristo. Per questo siamo andati in Iraq per conoscere se queste storie sono reali e se i loro protagonisti sono sani di mente o sono dei fanatici».
Gabriel Alqosh, abate del monastero della vergine Maria, spiega la storia dei cristiani in questa terra dove da sempre sono perseguitati. Douglas Bazi, sacerdote di Erbil, racconta che “negli ultimo 100 anni la mia gente è stata attaccata 8 volte…ecco perché questa chiesa “si dovrebbe chiamare Chiesa dei Martiri”. Si capisce poi che quanto sta accadendo oggi ha origine nei primi anni Novanta: Safaa Khanro, capitano milizia cristiana Ninive Palin Forces, conferma che «siamo sempre stati perseguitati». Ma la vera svolta fu dopo l’11 settembre 2001, con l’occupazione americana dell’Iraq, fino all’arrivo dell’Isis. Bashar Warda, vescovo di Erbil, ricorda quando «iniziarono a bombardare le chiese, a sequestrare cristiani, preti». Con lui altri testimoni rammentano le atrocità subite.
Ma com'è possibile che l’Isis abbia occupato Mosul (2 milioni di abitanti) con solo 400 soldati? Come si spiega il fatto che pochi uomini abbiano messo in fuga oltre 60 mila soldati iracheni? Qualcosa doveva essere già stato organizzato prima. A chiarire come mai è l’ambasciatore spagnolo a Bagdad, José Maria Farré. Anche Behnam Benoka Bartella, responsabile del dispensario medico Ashti, è colpito dal crollo velocissimo dell’Iraq «per mano di qualche barbaro».
La pellicola ricorda la popolazione musulmana scesa in strada per rifocillare le milizia dell’Isis, mentre Emmanuel, responsabile di un centro rifugiati descrive «quando l’esercito decise di abbandonare la città», quando i cristiani furono costretti a convertirsi, a pagare una tassa o a fuggire. In realtà anche se «scappavano, l’Isis attaccava», spiega il capo delle milizie cristiane.
Una donna yazida, racconta la morte di 4 cugini, dello zio, della zia e altro ancora. Suor Sanna Haha, superiora generale delle Figlie del Sacro Cuore, spiega: «Abbiamo perso tutto». Un insegnate ricorda quando dopo la fuga «ci dissero che la nostra casa era stata saccheggiata». In centinaia di migliaia scappano nella piana di Ninive in cerca di città in cui rifugiarsi, ma le milizie islamiste occuparono altri territori grazie all’aiuto di alcune nazioni occidentali come spiega Javier Menendez, di Acs Spagna. Basti pensare che l’America di Obama dichiarò Assad un nemico appoggiando i ribelli, fra cui c’erano anche i membri dell’Isis. Menendez illustra la strategia dell’Isis, mentre il vescovo di Erbil indica il problema interno all’Islam.
Altri testimoni della successiva occupazione di Sinjar e Qaraqosh raccontano il dramma dei rapimenti delle bambine, le violenze bestiali dell’Isis, gli omicidi, lo sterminio di intere famiglie. Khalid Alyas, fuggito da Qaraqosh, papà di David morto martire a 6 anni parla di quanti rassicuravano sul fatto che i cristiani della sua città potevano stare tranquilli, invece il «6 agosto i bambini giocavano davanti a casa, verso le 9:30 esplose una bomba sulla nostra casa. Capimmo che Daesh era arrivato. Tutta la mia famiglia era ferita, mia madre le mie sorelle, mio nipote Milad era straziato con la testa aperta e…».
Ma dice un testimone «non ho mai perso la fede», e un altro «la mia fede in Dio è totale, confido in Dio». E se distruggono una croce «ne innalzeremo tre al suo posto. Se distruggono una chiesa ne costruiremo cinque». Mentre una delle donne che ha subito violenze atroci, confessa: «Ora il mio amore per Dio è più forte che mai». Nel documentario c'è molto altro ancora.
Ma perché raccontare tutto questo? Perché portare il documentario nei cinema (qui la possibilità di richiederlo)? Sicuramente attraverso la ricostruzione di quanto avvenuto in Iraq emergono delle dinamiche che rivelano la responsabilità di chi condanna le guerre e nello stesso tempo le permette. Ma sopratutto, attraverso i testimoni diretti del martirio, si riscopre una fede impressionate che colpisce al cuore il borghesismo medio del cristianesimo occidentale. Risvegliando il desiderio di radicalità e di comunione con la Chiesa dei martiri.