Attacco a Benedetto XVI
Se c’è qualcosa di positivo nella vicenda che ha avuto per protagonista monsignor Dario Viganò è che ha fatto emergere con chiarezza che i più accesi sostenitori di papa Francesco perseguono una discontinuità con i pontificati precedenti e con la Tradizione.
Se c’è qualcosa di positivo nella vicenda che ha avuto per protagonista monsignor Dario Edoardo Viganò è che ha fatto emergere con chiarezza ciò che si è sempre voluto nascondere dietro dichiarazioni formali. Gli esegeti e i sostenitori più accesi di questo pontificato si pongono in chiara discontinuità non solo con i Papi precedenti, ma con tutta la Tradizione. Per questo l’obiettivo è diventato cancellare Benedetto XVI. Per quanto viva ritirato, la sua è una presenza ingombrante; fallito il tentativo meschino di arruolarlo tra gli ammiratori della teologia di Francesco (vedi al proposito la ricostruzione di Sandro Magister), è cominciato il tiro al bersaglio nei suoi confronti per quel giudizio negativo riguardo al teologo tedesco Peter Hünermann, uno degli autori degli undici volumetti in questione.
C’è chi ha dipinto Ratzinger come un vecchio rancoroso che non perdona un teologo che è sempre stato suo avversario; chi vuole ridurre la questione a una vecchia diatriba tra teologi ormai superata dal magistero attuale; c’è chi gli rimprovera l’eccessivo interventismo quando invece sarebbe dovuto “sparire”. Tanto astio nei confronti di Benedetto XVI si spiega con il fatto che ci sono in gioco dei pilastri della fede cattolica - la visione della Chiesa e la morale anzitutto – che la corrente progressista post-conciliare ha cercato di abbattere. Ratzinger, prima come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (dal 1981) e poi come Papa, è stato un baluardo a difesa della Tradizione e della continuità nel Magistero.
Hünermann fu allora uno dei più attivi a guidare la ribellione contro il Magistero di Giovanni Paolo II, che si avvaleva del contributo teologico di Ratzinger. È semplicemente vergognoso che oggi a dipingere il furioso scontro degli anni ’80 e ’90 del XX secolo come un educato dibattito fra teologi siano gli stessi che si stracciano le vesti per i Dubia dei quattro cardinali, gridando al tradimento. In realtà, mentre i Dubia sono uno strumento più che legittimo, che non mette affatto in discussione l’autorità del Papa, ciò che accadde negli anni ’80 fu una vera e propria ribellione al Pontefice.
Tutto ruota attorno alla Dichiarazione di Colonia (1989), che prese spunto dalla contestata elezione ad arcivescovo di Colonia del compianto Joachim Meisner (poi nominato cardinale e quindi uno dei firmatari dei Dubia). Ma partendo dal caso singolo la Dichiarazione di Colonia contestava quella che vedeva come indebita estensione della competenza magisteriale del Papa, e intendeva tra l’altro ridimensionare il valore dell’insegnamento dell’enciclica di Paolo VI “Humanae Vitae”. Guarda caso oggi, a 50 anni da quell’enciclica, in Vaticano si sta lavorando per revisionarla in modo da rendere possibile l’uso dei contraccettivi, come si voleva allora. Più in generale comunque si faceva largo l’idea che in nome del rinnovamento e del progresso tutto nella Chiesa si potesse mettere in discussione, inclusa la Professione di Fede.
La questione è più che mai attuale se la Società Europea di Teologia, fondata allora da Hünermann, si è fatta subito sentire per contestare le affermazioni di Benedetto XVI, peraltro dimenticando che si trattava di una lettera riservata e non di un messaggio pubblico. È importante notare come oggi sia presidente della Società Europea di Teologia quella Marie-Jo Thiel che, guarda caso, è stata nominata da Papa Francesco quale nuovo membro della Pontificia Accademia per la Vita.
E non sorprende che a dare grande risalto alla posizione anti-Ratzinger della Thiel sia Repubblica che, con Paolo Rodari, ricorda lo scontro sull’enciclica Veritatis Splendor (1993). Questo documento, che sintetizzava e armonizzava tutti gli insegnamenti tradizionali in fatto di teologia morale, era una risposta alla Dichiarazione di Colonia e alle altre, e riproponeva i fondamenti della morale cattolica che non è sottoposta alle tendenze del momento. È esattamente ciò che oggi viene riproposto nei Dubia, contro le interpretazioni dell’Amoris Laetitia che creano un’etica della situazione. Per la Veritatis Splendor (in linea con quanto la Chiesa ha sempre creduto) esistono gli “intrinsece mala”, ovvero azioni che sono intrinsecamente cattive: ad esempio, l’adulterio è sempre un male. Affermazione che però gli interpreti ufficiali della Amoris Laetitia (che non a caso mai cita la Veritatis Splendor) tendono a sfumare con il pretesto del discernimento, per cui tutto dipende dalle situazioni, dalla coscienza personale e così via.
Quello che era in discussione quaranta anni fa dunque, è ancora il nodo attorno a cui si gioca il futuro della Chiesa. Le parti però si sono invertite e chi oggi ha il potere cerca anche di sviare dal vero tema, dipingendo i progressisti come delle vittime dei passati pontificati. Il già citato articolo di Repubblica infatti presenta lo scontro di allora in modo fuorviante. Scrive Rodari che la Veritatis Splendor era «un testo che sostanzialmente estendeva l’infallibilità papale ai pronunciamenti sui temi etici. Hünermann giudicò questo allargamento improprio e in discontinuità con la tradizione della Chiesa. Una critica teologica che evidentemente Ratzinger non ha gradito». In pratica Giovanni Paolo II – con la complicità di Ratzinger – avrebbe commesso un abuso e il bravo Hünermann difeso la tradizione della Chiesa; Ratzinger se la sarebbe legata al dito, cosa che spiegherebbe la nota anti-Hünermann nella lettera a Viganò.
Niente di più falso: è la Veritatis Splendor che difende ciò in cui la Chiesa ha sempre creduto, e l’infallibilità sui temi morali non c’entra nulla. Non è una novità dell’enciclica di Giovanni Paolo II, anche questa fa parte della tradizione. Come dimostra questo passaggio della Costituzione dogmatica Pastor Aeternus di Pio IX (1870): «Perciò Noi, mantenendoci fedeli alla tradizione ricevuta dai primordi della fede cristiana, per la gloria di Dio nostro Salvatore, per l’esaltazione della religione Cattolica e per la salvezza dei popoli cristiani, con l’approvazione del sacro Concilio proclamiamo e definiamo dogma rivelato da Dio che il Romano Pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quando esercita il suo supremo ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani, e in forza del suo supremo potere Apostolico definisce una dottrina circa la fede e i costumi, vincola tutta la Chiesa, per la divina assistenza a lui promessa nella persona del beato Pietro, gode di quell’infallibilità con cui il divino Redentore volle fosse corredata la sua Chiesa nel definire la dottrina intorno alla fede e ai costumi: pertanto tali definizioni del Romano Pontefice sono immutabili per se stesse, e non per il consenso della Chiesa».
Se non fosse chiaro: i ribelli di allora sono oggi al comando e stanno cercando di realizzare quella rivoluzione che Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno sempre impedito. E lo fanno imbrogliando, cambiando le carte in tavola, mistificando. E ora anche dando l’assalto a Benedetto XVI, una presenza evidentemente fastidiosa.