Weigel smonta i giudici che hanno condannato Pell
Dopo il voto di 2-1 che ha confermato, malgrado la mancanza di prove, la condanna per abusi per il cardinale Pell, lo scrittore Weigel mette a nudo i pregiudizi della giustizia australiana. Che ha definito «memoria incerta» la testimonianza di decine di persone a favore del porporato, dando credito alle accuse strampalate dell’unico denunciante. Un po' come nell’Urss di Stalin.
L’incredibile vicenda giudiziaria del cardinale George Pell, condannato due volte in base alla semplice denuncia di una presunta vittima per una singola presunta aggressione compiuta 23 anni fa, senza alcuna prova o testimonianza in appoggio, e a dispetto dell’implausibilità della situazione, del gesto e del momento, ha provocato e sta provocando reazioni sdegnate da parte di molti cattolici.
L’ipotesi che il porporato sia in realtà il capro espiatorio di un clima anti-cattolico fomentato dalla realtà degli abusi del clero in Australia è tutt’altro che irreale. Ma oltre a questo, se nel recente passato molti episodi hanno incrinato il mito dell’attendibilità del giornalismo anglosassone, ora è il sistema giudiziario dell’Anglosfera che viene chiamato pesantemente in causa.
E di questo scrive lo storico e letterato cattolico George Weigel su First Things, commentando in maniera durissima il risultato dell’appello di Pell. «Ci sarà molto altro da dire nelle prossime settimane e mesi sul rigetto dell’appello del cardinale George Pell alla sua condanna per “abusi sessuali storici”, con il voto di 2-1 di una giuria di tre giudici della Corte Suprema di Victoria. Per il momento, questa decisione sorprendente, davvero incomprensibile, mette in dubbio molto gravemente la qualità della giustizia in Australia e la possibilità di qualsiasi religioso cattolico accusato di abusi sessuali di ottenere un giusto processo o una giusta considerazione dell’equità del suo processo».
Il noto uomo di cultura ricorda che durante la seduta della Corte d’Appello trasmessa in streaming la mattina del 21 agosto (ora di Melbourne), il giudice della Corte Suprema di Victoria, Anne Ferguson, leggendo la decisione, ha fatto un persistente riferimento a «tutte le prove». E questo è il problema: Weigel molto opportunamente grida: «Ma non c’è mai stata alcuna “prova” che il cardinale Pell abbia fatto ciò di cui è stato accusato. C’era solo la parola del denunciante e non vi era assolutamente alcuna conferma delle sue accuse, che - nei mesi, fin dall’inizio dei processi al cardinale - si sono dimostrate in maniera allarmante simili a un falso castello di accuse mosse contro un prete in una storia pubblicata anni fa da Rolling Stone».
Bisogna ricordare che decine di persone hanno voluto testimoniare a favore del cardinale, per far vedere come fosse impossibile che avesse compiuto quel gesto, dal momento che dopo la Messa Pell era solito incontrare i fedeli alla porta occidentale della cattedrale. Anne Ferguson ha trattato queste testimonianze come «memoria incerta». Ma è necessario ricordare che il denunciante si è presentato alla Polizia nel 2015 (il fatto risaliva al 1996!) e dopo la morte dell’altra presunta vittima, che non aveva mai fatto cenno dell’evento.
I testimoni, ricorda Weigel, «sostenevano che gli atti di abuso sessuale che si presumeva fossero stati commessi semplicemente non potevano essere accaduti, date le circostanze di una cattedrale piena di persone, il breve lasso di tempo delle presunte azioni e la veste del cardinale. Ma che dire, si deve chiedere, della memoria potenzialmente “incerta” del denunciante? Perché si suppone solamente, sulla base della sua testimonianza filmata, che il denunciante abbia un chiaro ricordo di ciò che ha affermato di essere accaduto, specialmente quando l’intero scenario del presunto abuso è estremamente implausibile?».
Sarà interessante leggere le oltre trecento pagine della sentenza. Ma il nodo della questione, non risolto, eluso e dato per scontato dalla singolare magistratura australiana, riguarda le evidenze. «Nel giustificare il suo giudizio e quello del collega che si è unito a lei nel respingere l’appello del cardinale, il giudice Ferguson ha detto che “due di noi” - lei e il giudice Chris Maxwell - avevano una “diversa visione dei fatti” rispetto al dissenziente giudice Mark Weinberg. Ma quali fatti? La semplice asserzione di un presunto atto di abuso sessuale, non importa quanto sia plausibile la natura dell’atto o le circostanze in cui si presume sia stato commesso, costituiscono un “fatto” legale in grado di distruggere la vita e la reputazione di uno dei cittadini più illustri dell’Australia? Se è così, allora c’è qualcosa di gravemente sbagliato nel diritto penale nello stato di Victoria, dove il processo legale ora assomiglia a ciò che prevaleva nell’Unione Sovietica sotto Stalin. Anche in quel caso, le accuse erano ritenute plausibili esclusivamente su affermazioni non confermate», scrive ancora l’autore statunitense.
Weigel ricorda che nel primo processo la giuria si era espressa in maniera schiacciante (10 voti contro 2) per l’innocenza di Pell. E che nel secondo processo questo è mutato radicalmente, senza che nessun elemento nuovo sia giunto. «Ciò non suggerisce la possibilità di un profondo pregiudizio della giuria, soprattutto vista la mancanza di sfide di difesa per i giurati nello stato di Victoria? E questo non mette in discussione la probità del verdetto di colpevolezza?».
«Dopo la condanna di Pell, alcuni amici ben inseriti negli ambienti legali australiani hanno affermato che la seria comunità legale in Australia, diversa dagli ideologi, stava diventando profondamente preoccupata per la reputazione della giustizia australiana; così, si diceva, molte di quelle serie personalità giuridiche speravano che l’appello del cardinale potesse avere successo. Le loro preoccupazioni dovrebbero ora essere più intense, e di parecchi ordini di grandezza. Perché, sulla base delle prove di questo caso squallido e di questa decisione di appello spaventosa e assolutamente non convincente, le persone ragionevoli si chiederanno cosa significhi “stato di diritto” in Australia, e specialmente nello stato di Victoria. Le persone ragionevoli si chiederanno se è sicuro viaggiare o fare affari, in un clima sociale e politico in cui l’isteria della folla - simile a quella che ha inviato Alfred Dreyfus all’Isola del Diavolo - può influenzare manifestamente le giurie».
Infine, lo scrittore americano ricorda che «negli ultimi mesi il cardinale Pell ha detto agli amici di sapere di essere innocente e che “l’unico Giudizio che temo è l’ultimo”. I giudici che hanno concorso in una grottesca decisione d’appello, che ha confermato il risultato di una grottesca farsa legale, possono o meno credere in un giudizio finale. Ma hanno sicuramente altri giudizi di cui preoccuparsi. Perché hanno confermato che una parte una volta ammirevole dell’Anglosfera, nota per il pensiero indipendente, è diventata qualcosa di abbastanza ignobile, persino sinistro».