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BENE VS MALE

Verona segna il ritorno dei principi non negoziabili

I temi trattati al Congresso mondiale delle Famiglie ribadiscono, pur in assenza di un richiamo diretto, l’importanza dei principi non negoziabili. L’evento veronese ha sfatato l’illusione di certo cattolicesimo “dialogante” che pretende di essere solo “per” e non “contro”: impossibile, perché chi è “per” la famiglia deve dire inevitabilmente no a tutto ciò che va “contro” di essa.

Editoriali 01_04_2019

Il Congresso mondiale delle Famiglie di Verona si è occupato direttamente di Dottrina sociale della Chiesa, anche se non l’ha chiamata direttamente in causa. I temi del Congresso sono centrali per la Dottrina sociale della Chiesa, nonostante oggi vengano spesso e volentieri messi da parte: a Verona, in fondo, si è ribadita l’esistenza moralmente e politicamente vincolante dei “principi non negoziabili”. A conclusione dello scoppiettante e contestatissimo Congresso, tra le tante cose che altri diranno, scelgo due argomenti che mi sembrano indicativi di una prassi da seguire in futuro. Dalle esperienze bisogna infatti imparare.

Anche in occasione di questo Congresso sono emerse da parte cattolica le posizioni delle “anime belle” che condividevano i contenuti ma non i metodi. In altre parole non erano d’accordo con le posizioni affermate e avrebbero voluto posizioni dialogate. Secondo loro non si trattava di ribadire delle verità e di chiamare a raccolta quanti volevano impegnarsi per difenderle, ma sarebbe stato utile creare un tavolo di confronto in vista di passi condivisi. Si tratta dell’idea secondo cui il cattolico dovrebbe sempre proporre soluzioni aperte e mai dichiarare delle verità o condannare degli errori. Insomma, dovrebbe essere sempre “per” e mai “contro”. Non faccio qui i nomi di coloro che si sono così pronunciati. Tutti li abbiamo letti sui giornali o sui social network nei giorni scorsi. Si tratta dello stile di chi dice che non si devono mai usare parole ostili. Sotto sotto c’è l’idea che il modo (il come) sia importante quanto e forse più del contenuto (il cosa), ossia il pastoralismo.

Ora, i fatti verificatisi attorno al Congresso hanno completamente sfatato questa illusione pastoralista. Mentre le “anime belle” del cattolicesimo non ostile rimproveravano gli organizzatori del Congresso e i partecipanti, gli altri - ossia coloro verso cui si sarebbe dovuto aprire un dialogo - puntavano le loro artiglierie e sparavano a man salva; preparavano i loro agguati e i loro trabocchetti, mobilitavano le loro truppe pagandone il viaggio in pullman a Verona per manifestare, aggredivano, insultavano e denigravano, seminavano bugie, mobilitavano conduttrici e conduttori della Rai, precettavano gli intellettuali di grido… insomma facevano la guerra. Nei confronti di questo bombardamento belligerante, nessuna delle “anime belle” è intervenuta con parole di condanna o di dissociazione, anzi hanno continuato a criticare gli organizzatori del Congresso perché non avevano gettato “ponti” e perché avevano usato stili ostili.

Il Congresso di Verona, per questi motivi, è stato la confutazione piena del cattolicesimo pastoralmente (e pregiudizialmente) dialogante, ha ribadito che per dialogare bisogna essere in due e se l’altro spara non è possibile mettersi a dialogare con lui, che è in atto una lotta non disciplinata da nessuna regola - Carl Schmitt direbbe una “lotta partigiana” - e che la controparte mette in campo tutte le sue potenti legioni. È una lotta in cui, come in ogni lotta, ci sono le defezioni e i tradimenti. Una lotta in cui, come in ogni lotta, il pericolo principale è il “fronte interno”. La richiesta del dialogo sistematico e preventivo è - per usare una espressione militare - una forma di connivenza col nemico.

A Verona, poi, è emerso un altro interessante insegnamento. Proprio perché si dovrebbe agire “per” e mai “contro”, ci sono stati molti - anche autorevoli - interventi da parte cattolica per ricordare che la famiglia è insostituibile. Non è venuta però nessuna affermazione a sostenere che gli altri “tipi di famiglia” non devono essere riconosciuti. Questo parlare “per” e non “contro”, questo indicare dei “sì” e mai dei “no”,  non è sufficiente. Sarebbe come dire che il riconoscimento giuridico di una coppia di fatto o di un’unione civile sarebbe possibile, a patto che tali unioni non venissero equiparate alla famiglia. La legge Cirinnà considera le unioni civili una “aggregazione sociale” e si rifà all’articolo 2 della Costituzione e non agli articoli 29 e 30.

Chi chiede solo che la famiglia non sia privata della sua esclusività, nulla dice a proposito dell’illiceità del riconoscimento di altre forme di unione anche se non equiparate alla famiglia. Quanto accaduto attorno al Congresso di Verona mostra quindi che non si può essere “per” senza essere anche “contro”: tutto il resto è mistificazione. Ed è stato questo insegnamento a dare fastidio, sia fuori dal mondo cattolico sia dentro. “Perché non vi limitate a promuovere la vostra idea di famiglia e non lasciate che altri facciano valere la propria?”. Questa posizione espressa da Cecchi Paone a Jacopo Coghe nel “video dell’agguato”, è condivisa anche dai cattolici non ostili, quelli che vogliono fare solo proposte positive e inclusive e mai contrapporsi a quelle negative ed esclusive.