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MADURO

Venezuela e giornalisti di regime: il paradiso inventato

Papa Francesco è stato arruolato dal corrispondente Agi nella difesa di Maduro? Parrebbe di sì, stando al botta e risposta sull'aereo per Ginevra. Lo stesso giornalista, Salvatore Izzo, osservatore nelle elezioni presidenziali nel Venezuela, accusa i vescovi del paese di cospirare con gli Usa contro il popolo. E' l'ultima mitologia socialista.

Esteri 23_06_2018
Nicolas Maduro

Secondo una narrazione dura a morire, il Venezuela è un paese felice del suo governo, ma alcuni poteri forti, fra cui la Chiesa locale, stanno tramando per sovvertirlo. Le condizioni di estrema crisi e miseria in cui versa il paese latino americano sono dunque attribuite a questo complotto, volto a rovesciare il presidente Nicolas Maduro, successore di Hugo Chavez. Il Papa viene a questo punto invocato nientemeno che nel ruolo difensore della rivoluzione, contro gli stessi vescovi che vengono invece accusati di difendere i ricchi. La sua “lotta”, che verrebbe testimoniata dal suo incontro non conflittuale con Maduro, è dunque una battaglia anche interna alla Chiesa, fra quella “di base”, dunque di popolo, rappresentata dal Papa e quella gerarchica, rappresentata dai vescovi. Un modo come un altro per ribaltare la realtà. Il Venezuela si sta infatti ribellando al suo governo. La Chiesa chiede, d’accordo con la maggioranza dei venezuelani, il ripristino della democrazia. La miseria in cui versa il paese non è frutto di alcun complotto, ma delle stesse politiche del “Socialismo del XXI Secolo”.

Ultimo esempio, ma solo in ordine di tempo, è Salvatore Izzo, dell'Agi. Ha letteralmente “arruolato” il Papa nella battaglia in difesa di Maduro nel corso della conferenza stampa del Papa, in volo per Ginevra, lo scorso 22 giugno. “Padre Santo sono stato uno degli osservatori internazionali alle elezioni presidenziali in Venezuela. Ho visitato 20 seggi, alcuni nei barrios più poveri, e la gente era orgogliosa di votare liberamente. Il voto, per quello che ho visto, è stato democratico”, ha detto al Papa l’inviato dell’Agi. “Lo dica questo, lo dica questo!”, ha ripetuto Francesco. E quando il cronista ha replicato: “non è facile perchè c’è una congiura mediatica”, il Papa ha concluso con una battuta: “ah, credevo che i giornalisti fossero tutti ragazzi da prima comunione…”. Papa arruolato?

Nel suo lungo articolo da osservatore internazionale, La lotta di Papa Francesco e quella del Venezuela, sul sito dell’Agi del 22 maggio scorso, Izzo accosta corruzione morale e ricchezza materiale, Chiesa pedofila e Chiesa al servizio dei potenti. Parte con una disanima dello scandalo Karadima, il vescovo sotto accusa per aver coperto casi di pedofilia in Cile, sacerdoti ricchi che abusano di minorenni poveri, quindi “scandalo nello scandalo”. E passa poi a scrivere di Venezuela, senza soluzione di continuità, dove “i cittadini si sono trovati davanti ad un inedito conflitto tra Stato e Chiesa. È avvenuto a proposito delle elezioni presidenziali, delle quali i vescovi (in sintonia con gli Stati Uniti e il loro rinnovato ‘piano Condor’) chiedevano il rinvio sine die.  Sostenendo una tesi sconcertante: è più democratico non votare in quanto alcuni leader dell’opposizione hanno deciso di non candidarsi”. Ora: non si sa cosa c’entri il “piano Condor” che consisteva nell'intervento statunitense in America Latina per contenere l'avanzata del comunismo anche con l'uso della violenza politica. In Venezuela, infatti, gli unici che i morti li stanno provocando sono proprio i volontari bolivariani e i poliziotti, che si fanno ben pochi scrupoli a sparare contro i manifestanti: 112 i morti solo nella crisi dell’estate scorsa, più 12.300 arresti arbitrari e 340 cittadini tuttora in carcere per motivi politici. I candidati dell’opposizione non si sono candidati, perché conoscevano già l’esito del voto. Nell’ultimo parlamento regolarmente eletto aveva vinto l’opposizione: Maduro l’ha esautorato. Ha piuttosto indetto altre elezioni per una nuova assemblea costituente. Ma non con un voto a suffragio universale, bensì un voto per “comunità” che ha regalato la maggioranza assoluta all’unico partito che può avere comunità organizzate sul territorio: il suo. In queste condizioni era difficile accettare il confronto, se non per essere umiliati. Il monito della Chiesa, per elezioni realmente libere ed eque, è dunque anti-democratico?

Salvatore Izzo sbeffeggia la stampa che diffonde “fake news” come “le ragazze del Venezuela non avendo da mangiare sono costrette a vendersi i capelli:   una falsità assoluta, come hanno constato gli osservatori internazionali visitando un migliaio circa dei seggi delle elezioni del 20 maggio, dove scrutatrici ed elettrici sfoggiavano fiorenti capigliature”. Questo per non parlare, però, delle condizioni da fame in cui si trovano a vivere i venezuelani, tutti i giorni. Il 52% vive in condizioni di povertà estrema. Solo nel 2016 sono morti di fame e malnutrizione 11mila bambini. Non certo perché abitano in un paese povero di risorse: stiamo parlando, infatti, di uno dei paesi più ricchi di petrolio del mondo. La produzione di petrolio si è dimezzata negli ultimi quattro anni, da 3 milioni di barili nel 2014 a 1,5 milioni oggi. Non perché siano finite le riserve, ma proprio per mala gestione della Pdvsa, la compagnia nazionale monopolista. La Pdvsa non esclude di dover importare petrolio: uno dei maggiori esportatori del mondo che diventa paese importatore. Sono le politiche socialiste di Chavez prima e Maduro poi, le nazionalizzazioni, le collettivizzazioni, i sequestri coatti anche di piccole attività commerciali, i prezzi calmierati, la moneta stampata senza limiti, che hanno svuotato gli scaffali di ogni bene di prima necessità. La carta igienica è diventata un bene prezioso: gli oppositori l’hanno adottata come simbolo dell’inefficienza economica. La borsa nera è l’unica che funziona. I venezuelani comprano beni di prima necessità in bitcoin (delle quali si registra un boom di acquisti) su siti clandestini, perché il bolivar non vale più nulla (l’inflazione è del 34.458%). Chi può scappa: sono circa 30mila i venezuelani che cercano ogni giorno di passare il ponte Bolivar per la Colombia.

Probabilmente è un altro Venezuela quello che viene visto e raccontato da commentatori italiani difensori del modello chavista, come Izzo, ma anche come Fabio Marcelli, con il suo blog sul Fatto Quotidiano o come Giorgio Cremaschi che, dopo la sua esperienza di osservatore internazionale nelle presidenziali, si dice “ancora più convinto del sostegno alla rivoluzione bolivariana”. E’ abbastanza tipico di un certo tipo di giornalismo, come le corrispondenze dalla Cuba "utopia riuscita" descritta da Gianni Minà. Un tipo di giornalismo nato con le corrispondenze di Walter Duranty nell’Urss di Stalin. Il giornalista britannico, premio Pulitzer, nel 1932 mandava corrispondenze idilliache dalle campagne dell’Ucraina colpite dalla grande carestia. Parlava di abbondanza di cibo ed entusiasmo del popolo per il governo rivoluzionario, proprio quando il regime bolscevico lasciava morire deliberatamente di fame dai 4 ai 7 milioni di suoi cittadini.

Il Venezuela che soffre, comunque, non sente affatto di essere oppresso dai suoi vescovi. Di fronte a loro, in occasione della beatificazione di madre Carmen Rendiles, un intero stadio gridava “Libertà! Libertà!”. O erano tutti pagati dalla Cia?