Stato assente, la sussidiarietà in realtà era clientelismo
Pur con accenti diversi Delrio e Giorgetti ammettono l'inutilità della politica. Il procuratore di Genova punta il dito contro l'assenza di controllo dello Stato. Il Palazzo si mostra colpevole, fragile e viziato dopo che ha trasformato la sussidiarietà in clientelismo, rinnegando la chiamata al bene comune e la sua missione a rispondere ad un Creatore.
Il Sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti, intervenuto ieri al Meeting di Rimini di Comunione e Liberazione, ha detto che il Parlamento oggi è praticamente inutile. “Non conta più nulla”, sono le sue parole precise. Il fatto curioso è che a pochi centimetri da lui, mentre parlava per la prima volta dopo il crollo del ponte Morandi di Genova, anche l’ex ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio ha espresso un concetto simile.
Delrio ha raccontato la sua verità, difendendosi dalle accuse piovutegli in questi giorni di aver sottovalutato il problema del viadotto. E quando si è dovuto riferire all’inchiesta de l’Espresso sulle relazioni tecniche che segnalavano le problematicità di quel manufatto, Delrio ha detto: “Ma facevano parte di un lavoro tecnico, come vertici politici non abbiamo mai ricevuto quei documenti, né ci fu mai segnalata la necessità di limitare il traffico sul ponte Morandi”.
In sostanza ha ammesso che ci sono dei livelli tecnici che non raggiungono il livello politico, che poi è quello che dovrebbe avere le chiavi operative per intervenire. Probabilmente Delrio ha detto così per scrollarsi di dosso l’insinuazione che molti haters sui social gli hanno riversato e cioè di non aver dato risposta al senatore Rossi che nel 2016 gli segnalava in un’interpellanza parlamentare tutte le problematiche del ponte. Eppure quello era il livello politico e non tecnico della faccenda.
Ma così facendo, se da un lato ha prodotto una ottima difesa pro domo sua, dall’altro ha ammesso anche lui che i politici non possono nulla contro quel gigante che è la burocrazia e che si annida nei cosiddetti livelli tecnici di decisione. Può funzionare per scansare le responsabilità che i Cinque Stelle attribuiscono all’ultimo governo Pd, ma funziona meno se dobbiamo analizzare quello che sta succedendo in Italia da tempo e che il crollo del ponte Morandi ha tragicamente messo in mostra: un’assenza totale dello Stato. Anzi, un’abdicazione.
Sono parole dello stesso procuratore capo di Genova Francesco Cozzi, che in un’intervista al Corsera, ha usato toni davvero insoliti e durissimi proprio contro lo Stato come insieme di politici e tecnici. Cozzi, nel delineare le pieghe che sta prendendo la sua inchiesta non ha esitato a parlare di abdicazione dello Stato alla sua funzione di controllo. “Ho qualche difficoltà ad accettare l’idea che il tema della sicurezza pubblica stradale sia rimesso nelle mani dei privati. La filosofia del nostro sistema vede oggi uno Stato espropriato dei suoi poteri, una sorta di proprietario assenteista che ha abdicato al ruolo di garante della sicurezza. Come se avesse detto al privato, veditela tu”.
Sono parole molto gravi, soprattutto se pronunciate dal rappresentante di un potere diverso, ma pur sempre parte integrante dello Stato. Che sono continuate così: “Basta vedere come è strutturata la norma che disciplina le convenzioni per sospettare uno sbilanciamento del rapporto dalla parte del privato. Nel momento in cui è stata decisa la privatizzazione delle autostrade, lo Stato si è ritagliato un ruolo riguardante soprattutto il controllo del rapporto fra investimenti e ricavi, il giusto prezzo dei pedaggi, l’inflazione... Meno la sicurezza delle infrastrutture”.
E ancora: “Nel momento in cui lo Stato abdica alla funzione di controllo ci vorrebbe almeno un’agenzia terza che garantisse la sicurezza, non il concessionario stesso. Credo che il crollo del ponte Morandi porti a ripensare tutta la materia” e infine “io rilevo solo una grande discrezionalità nelle scelte da parte del concessionario”.
La visione di Cozzi è la stessa che da queste colonne abbiamo già delineato. Il problema non è la gara tra il Pubblico e il Privato, ma se il Pubblico è in grado, affidando un qualunque servizio al Privato, di garantire così standard migliori e soprattutto di fare i propri interessi.
E’ quella che viene definita sussidiarietà e che la Dottrina cattolica ha non solo teorizzato, ma anche promosso nel corso degli ultimi secoli con le encicliche sociali.
Il tragico crollo del ponte Morandi sembra delinearsi all’orizzonte dunque come un perfetto caso di mancata sussidiarietà, o di sussidiarietà viziata e corrotta perché a beneficio soltanto di una parte, il Privato. In questo caso Autostrade per l’Italia. Questa infatti ha avuto miliardi a palate, ma nel momento della tragedia si è scoperto che lo Stato non solo non è riuscito a monitorarla, ma è rimasto sostanzialmente impigliato nella rete di vincoli che lui stesso si è costruito.
Per una sussidiarietà che esce sconfitta, trionfa invece il clientelismo. Portato avanti da pezzi di Stato rappresentati da politici che dovevano vigilare e a quanto pare non l’hanno fatto. O meglio: dovevano approntare quelle strutture di vigilanza che evidentemente non hanno fatto il loro lavoro. E’ il trionfo delle politiche clientelari che svela il principio di sussidiarietà viziato che in Italia è andato sotto il nome di privatizzazioni.
Tutto questo è stato possibile perché la politica ha smarrito la sua funzione di bene comune, abbandonandosi di volta in volta alle ideologie del momento o degli interessi personalistici di consorterie più o meno note. Venuta meno l’esigenza del bene comune, la sussidiarietà che stava alla base del principio di privatizzazioni, di per sé sacrosanto e giusto, si è trasformata in cooperazione all’inettitudine portata avanti su molti livelli fino a condizionare persino il Privato, di solito esente da questo vizio.
E il vizio ha divorato tutto, fino al collasso finale. Ecco perché le analisi di Giorgetti e Delrio e la constatazione del Procuratore, unite ad altre che in questi giorni fotografano l’assenza dello Stato, sono giuste ma puntano il dito contro un sintomo. Diverso sarebbe cercare le ragioni di questo male, di questa assenza di Bene comune che si stende come un deserto arido su tutte le branche del potere.
Il peccato di superbia di cui ha sofferto e soffre tutt'ora la politica è proprio questo fatto di non ritenersi creatura che dipende da un Creatore al quale rendere conto, ma artefice in tutto e per tutto del potere che gli deriva e si autdetermina. Abbiamo visto che lo usa o per rispondere a ideologie o per assecondare consorterie privatistiche. Utilizzando così il potere, la politica si è autocondannata alla paralisi fino all’ammissione finale della sua autoreferenzialità e perniciosità per i cittadini.