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GENDER

Se una sentenza trasforma il padre in madre

Un uomo diventato donna ottiene dal tribunale di Trento che venga riconosciuto/a come madre dei suoi figli. Una situazione tragicomica che è la conseguenza della legge (moralmente censurabile) del 1982 sul cambiamento di sesso.

Editoriali 28_07_2018

Siamo ben oltre alla cosiddetta situazione kafkiana.  La vicenda in sé è semplice. Antonio P., sposato e poi separato, ha deciso di cambiare sesso e diventare all’anagrafe Antonia. Però “Antonia” ha chiesto al Tribunale di Trento che su tutti i documenti ufficiali comparisse la nuova identità, compresi i certificati di nascita dei figli. I giudici gli/le hanno dato ragione. In tal modo su tali certificati risulterà che questi ragazzi, ormai maggiorenni, sono figli di Maria e Antonia. Figli di due madri come se anche Antonia li avesse partoriti.

Dal punto di vista giuridico una donna può diventare madre di qualcuno o se lo partorisce e lo riconosce oppure se lo adotta. Ora abbiamo una terza modalità per diventare madre: se la “donna” era un uomo e in quanto uomo era sposato con una donna che ha partorito dei bambini e li ha riconosciuti.

L’ex Antonio P. ha così commentato l’esito della vicenda: «Per me era fondamentale. Con la rettificazione si è concluso un percorso lungo e importante che anche i miei figli hanno vissuto con me: se il mio vecchio nome fosse rimasto da qualche parte sarebbe stato incompleto. I mie figli ci sono sempre stati, non ho mai interrotto i rapporti con loro neppure dopo la separazione da mia moglie. Anche i loro amici erano al corrente e mi hanno frequentata in questi anni. C’è stato soltanto qualche problema con alcuni compagni di scuola, ma i ragazzi l’hanno gestita in un modo che c’è solo da essere orgogliosi di loro».

“Antonia” ha atteso che i figli diventassero maggiorenni per perfezionare l’iter di cambiamento di sesso: «Volevo che potessero dire la loro in modo formale nel procedimento senza che dovessero essere rappresentati dall’altro genitore. Non è stato facile per loro ma hanno capito l’importanza che aveva per me comparire con la nuova identità e lo hanno accettato».

E dunque si è verificato in campo giurisprudenziale ciò che da qualche tempo sta accadendo in campo amministrativo locale dove alcuni sindaci hanno riconosciuto la doppia genitorialità in capo a coppie omosessuali. Anche in quei casi il genitore non biologico è considerato madre/padre biologico a tutti gli effetti grazie alla bacchetta magica impugnata dai primi cittadini.

C’è però da ammettere che le conclusioni a cui è giunto il giudice di Trento, Roberto Beghini, sono l’esito inevitabile di alcune premesse contenute nella legge sulla rettificazione sessuale del 1982. Lo spiega bene l’avvocato Alexander Schuster, un nome ormai noto nel patrocinio di cause a tematiche gender, avvocato che ha difeso Antonio P.: «questa volta abbiamo chiesto al giudice di esplicitare nella sentenza che il Comune dovesse modificare sesso e nome sugli atti di tutta la famiglia. È naturale, perché non possono esserci due identità diverse relative alla stessa persona». Tale procedura fino ad oggi «non si faceva per i cambiamenti di sesso sugli atti di nascita dei figli. Nella legge del 1982 questo aspetto non era menzionato perché evidentemente allora non era concepibile: si preferiva tollerare che la persona avesse contemporaneamente due identità nel registro di stato civile piuttosto che i bambini avessero due papà o due mamme. Alla fine è potuto cadere anche questo tabù».

Se la legge permette che Antonio diventi Antonia, ne consegue necessariamente che la persona debba essere indicata con la nuova identità su tutti i documenti con valore giuridico che riportano il suo nome. Perché l’ex Antonio deve comparire come donna nella carta di identità e non sul certificato di nascita dei figli? Sarebbe irrazionale. Quindi il peccato originale che ha prodotto questa sentenza deve essere rinvenuto nella legge dell’82. Tale sentenza però ha il merito di mettere in evidenza a quali paradossi si giunge credendo, anche per legge, che Antonio realmente possa diventare Antonia. Se infatti, leggendo la vicenda con gli occhiali appannati del diritto, la nuova Antonia è davvero una donna, come donna è benissimo in grado di mettere al mondo un figlio. Se ti inventi una realtà inesistente poi devi essere coerente fino in fondo in quest’opera di finzione.

Il paradosso si supera ricordando che l’attuale Antonia non è sempre stata una donna e quindi gli atti che lo hanno visto coinvolto come uomo non dovrebbero essere modificati. Oppure un’altra soluzione potrebbe essere la seguente: scrivere sul certificato di nascita dei figli: “nato da Maria e dal fu Antonio” o “dal già Antonio”. Sperando che chi legga non intenda tali specificazioni come indicazioni relative alla dipartita di Antonio.

La vicenda diventa una tragicomica commedia degli errori e degli orrori proprio perché a monte la legge sul cambiamento di sesso è moralmente censurabile, eccezion fatta per gli errori di riconoscimento del sesso al momento della nascita. Tutto il resto è fantadiritto.