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ASSISTENTI VOCALI

Se all'Unesco piace solo la voce di Amanda Mastelloni

L'agenzia dell'Onu per l'educazione, la scienza e la cultura accusa di sessismo la scelta di assegnare voci femminili agli assistenti vocali come Alexa, Cortana e Siri. E così, con la collaborazione di attivisti Lgbt, ecco pronta la "soluzione": la voce di Q, ottenuta amalgamando i timbri di 22 persone cosiddette transgender. Siamo al nonsense più totale.

Attualità 27_05_2019

Sì: è decisamente una buona notizia. Una ricerca dell’agenzia dell’Onu per l’educazione, la scienza e la cultura (Unesco), intitolata “Arrossirei se potessi”, denuncia come la scelta di assegnare voci di donna agli assistenti vocali automatici come Siri per Apple, Alexa per Amazon, Cortana per Microsoft e via dicendo, “rafforzano pericolosi stereotipi di genere”.

Il fatto che queste assistenti robotiche ubbidiscano prontamente, con muliebre dedizione alle richieste dei clienti “trasmette il messaggio che le donne sono compiacenti, docili e ansiose di aiutare” e rafforzano l’idea “che le stesse abbiano un ruolo subordinato”. Ma la cosa che però scandalizza e toglie davvero il sonno è questa: a quanto si apprende dallo studio, spesso gli utenti fanno battutacce volgari, molestano o insultano le voci femminili registrate e queste, invece di rispondere con altrettante volgarità o con una filippica sulla parità dei sessi, o piuttosto che lanciare dei piatti o mollare un ceffone, rispondono - pensate un po’ - con frasi “civettuole e remissive”.

Un esempio è quello di Siri, che alla graziosa apostrofe “Sei una put***a!”, risponde con timida vocina di geisha: “Arrossirei se potessi”. Da qui il graffiante titolo della ricerca. Alexa invece, appena più algida, ribatte con un ancor troppo condiscendente: “Grazie per il riscontro”. Pare infatti che di fronte alle risposte non esaustive di queste macchine, molti utenti perdano la pazienza e si slancino in espressioni colorite e naturalmente sessiste.

Tuttavia, l'Unesco - ci permettiamo di segnalarlo - ignora un abuso di proporzioni ben più gravi e vaste che riguarda la signorina elettronica dei caselli della società Autostrade: quella che, con voce atona e da virago, impone: “Inserire il denaro o la tessera”. Avete presente? Ecco, quando l’automobilista italiano medio si vede sparare la cifra di 23 euro per una tratta di appena 100 km come la Torino-Aosta, non osiamo immaginare quali empietà sessiste vengano fuori dalla sua bocca.

Comunque, l’Unesco non ci lascia mai senza sagge soluzioni per questo genere di problemi e ha chiesto immantinente che le aziende tecnologiche la smettano di assegnare agli assistenti vocali elettronici il timbro melodioso della voce femminile, che avvertano opportunamente gli utenti che si tratta di un assistente automatico e che si trovi il modo di scoraggiare insulti sessisti.

La dottoressa Saniye Gülser Corat, direttrice della divisione per l'uguaglianza di genere dell'Unesco, ha dichiarato: «Il mondo deve prestare molta più attenzione a come, quando e se alle tecnologie di intelligenza artificiale è attribuito un genere e, soprattutto, chi glielo ha attribuito». Non vi sentite un po’ in colpa per aver trascurato questa impellente problematica? E voi, donne, tra una pappa al bambino, il marito, il lavoro e le faccende, possibile che non vi siate accorte in che stato di degradante umiliazione passano le loro giornate Siri, Alexa e Cortana?

Comunque, ogni occasione è buona per sventolare piume di struzzo e così un team di esperti di Virtue, agenzia creativa di Vice, in collaborazione con gli organizzatori del Copenaghen Pride, ha realizzato “Q”, il primo “assistente vocale genderless”. In collaborazione con la ricercatrice danese Anna Jorgensen, i tecnici di Virtue hanno amalgamato i timbri di 22 transgender, manipolando poi il risultato elettronicamente per comprimerne la tonalità in una banda di frequenze che oscilla attorno ai "neutrali" 153Hz. La voce di Q risuona quindi, in pratica, come una sublime sintesi fra quelle di Amanda Lear e Leopoldo Mastelloni.

Nessuno però si è preoccupato di cosa accadrà quando gli utenti, inferociti perché non riescono a orientarsi parlando con una macchina invece che con un essere umano, se la prenderanno anche con Q, magari facendo pesanti allusioni alla sua indefinita sessualità e pronunciando insulti palesemente omofobi. Insomma, la toppa rischia di essere peggio del buco.

A qualcuno questa notizia potrebbe far cadere le braccia, ma in realtà è una buona, ottima notizia. Sì, perché ormai segna un punto di non ritorno: quando ci si comincia a preoccupare delle molestie alla vocina elettronica significa che davvero l’ultima debole fibra della corda che tratteneva gli alfieri del #metoo e del politicamente corretto al senso della realtà, e soprattutto al senso del ridicolo, si è finalmente troncata. Pensavamo che il distacco definitivo fosse avvenuto già con l’adozione dell’asterisco per elidere il genere di aggettivi e sostantivi (president*, avvocat*, impiegat*) ma evidentemente c’era un passo ulteriore da compiere. La loro barchetta adesso è completamente in balia delle onde del nonsense più assoluto.

Presto vedremo l’Unesco diramare dispacci ai negozi di ferramenta perché evitino di descrivere le viti “maschio e femmina” in quanto discriminatori, oppure richiedere ai Beni culturali di Napoli di cambiare nome al Maschio Angioino, o al Ministero dell’Agricoltura di ribattezzare il limone femminello siracusano perché velatamente omofobo. Siamo appena all’inizio dello spettacolo, mettetevi comodi e aprite il sacchetto dei popcorn.