Riscaldamento globale non fa rima con alluvione
Il fiume Enza straripa inondando i paesi nell'area di Brescello. Ed è subito allarme global warming, il riscaldamento globale. Ma è un allarme giustificato? No, basta vedere un quadro del 1882 per capire che le alluvioni sono fenomeni ricorrenti in tutta la storia italiana. E che questo è il clima del Mediterraneo.
Un fattore causale essenziale per spiegare il rischio idrogeologico per le valli dell’Appennino Emiliano è costituito dalla struttura del reticolo idrografico appenninico, caratterizzato da bacini relativamente piccoli e con tempi di corrivazione molto ridotti, il che significa rapida formazione delle piene ed elevati valori delle portate al colmo. Ciò spiega le periodiche e rovinose alluvioni come ad esempio quelle del Reno del 1889, del 1966 e del 1996 o quella della Trebbia e del Nure del 14 settembre 2015.
Circa l’evento alluvionale che il 12-13 dicembre 2017 ha interessato la parte pianeggiante del bacino dell’Enza e più precisamente le località di Lentigione di Brescello e di Santa Croce di Boretto, è utile segnalare la pluviometria in figura 1 tratta dal sito del servizio Meteorologico Regionale dell’Emilia Romagna e che mostra livelli di pioggia di tutto rispetto caduti in corrispondenza con lo spartiacque fra i bacini emiliani e quelli liguri e toscani, con un massimo di oltre 220 mm in 48 ore (zona in azzurro nell’immagine) caduto grossomodo in corrispondenza con la testata della val d’Aveto, in un’area peraltro accreditata di massimi pluviometrici di oltre 300 mm in 24 ore (fonte: Lino Cati, 1981. Idrografia e idrologia del Po, Poligrafico dello Stato – pagina 65). Nel bacino dell’Enza i massimi sono invece risultati in 48 ore fra 100 e 150 mm (zona in rosso nell’immagine) contro valori massimi assoluti che lo steso Cati (pagina 63) quantifica in 410 mm in 48 ore.
Veniamo poi al dubbio che molti hanno espresso rispetto all’anomalia di una transizione brusca da un’estate siccitosa a un autunno prono alle alluvioni. Tale fenomeno può essere conseguenza dei caratteri di mediterraneità sostanziale del nostro clima, che si caratterizza per la vicinanza di un bacino (il Mediterraneo) che è fonte di masse d’aria caldo-umida e per la presenza di meccanismi molto efficaci in grado di far salire tale massa d’aria provocando la condensazione del vapore con produzione di precipitazioni di forte intensità da sempre note come rovesci (showers in lingua inglese) e che oggi, grazie a una martellante campagna televisiva divulgatrice di ignoranza, vengono dai più chiamate “bombe d’acqua”. Fra i meccanismi di salita dell’aria rammento ad esempio l’instabilità sinottica (scorrimento dell’aria calda su un materasso d’aria più fredda di origine atlantica, artica o polare continentale) e l’instabilità orografica (scorrimento dell’aria calda sulle pendici del massiccio alpino o appenninico).
Si può ritenere altresì fuori luogo chiamare in causa il cambiamento climatico. Da questo punto di vista, oltre a richiamare i succitati massimi pluviometrici registrati per la valle dell’Enza in 48 ore e che, come abbiamo visto, sono ben lontani dai massimi assoluti, posso segnalare:
- la sostanziale stazionarietà nel numero delle grandi piene che periodicamente colpiscono il più grande bacino italiano, il Po, e che mi risultano essere state 21 nel XIX secolo (1801, 1802, 1803, 1807, 1808, 1810, 1811, 1812, 1823, 1839, 1839, 1840, 1841, 1843, 1846 primavera, 1846 autunno, 1857, 1868, 1872, 1879), 17 nel XX secolo (1907, 1914, 1917, 1926 maggio, 1926 novembre, 1928, 1937, 1949, 1951, 1953, 1957, 1959, 1966, 1968, 1976, 1994, 2000) e due nel XXI (2002 e 2009).
- l’alluvione di Genova del 1970, avvenuta in un periodo in cui le temperature globali erano in calo e che ciò nondimeno fu frutto di un evento precipitativo in cui, come documentò Lino Cati nel succitato Idrografia e idrologia del Po (pagina 65) in 2 stazioni del bacino del fiume Polcevera (Bolzaneto e Valleregia) furono misurati rispettivamente 948 e 932 millimetri di pioggia in 24 ore, la quantità che di norma cade in 1 anno.
- il fatto che la Piccola Era Glaciale, periodo freddo compreso fra fra il XVI e la metà del XIX secolo, si contraddistinse per l’elevata frequenza di alluvioni, come attesta ad esempio questo lavoro scientifico riferito alle Alpi francesi: Wilhelm, B., Arnaud, F., Sabatier, P., Crouzet, C., Brisset, E., Chaumillon, E., Disnar, J.-R., Guiter, F., Malet, E., Reyss, J.-L., Tachikawa, K., Bard, E. and Delannoy, J.-J. 2012. 1400 years of extreme precipitation patterns over the Mediterranean French Alps and possible forcing mechanisms. Quaternary Research 78: 1-12.
La morale che si può trarre dai dati sommariamente illustrati è che da un lato è fuori luogo utilizzare ad ogni piè sospinto la “foglia di fico” del cambiamento climatico e dall’altro che occorra una forte dose di consapevolezza perché solo dalla conoscenza del nostro clima e dei suoi caratteri medi ed estremi è possibile una convivenza felice, la quale non può in ogni caso prescindere dal prestare moltissima attenzione ai seguenti aspetti:
1. la stabilità degli argini, e qui va ricordata l’alluvione del fiume Secchia del 19 gennaio 2014 (http://www.climatemonitor.it/?p=39330) in cui ebbero un ruolo primario animali (volpi, tassi, istrici, nutrie) che costruiscono le loro tane negli argini, minandone la stabilità. In proposito, fermo restando il mio massimo rispetto per questi “simpatici” animali, ricordo che sugli argini non ci dovrebbero mai e poi ma i stare
2. la pulizia degli alvei che dovrebbero essere tenuti sgombri da alberi, ghiaia e quant’altro possa ostacolare il deflusso delle acque. Ricordo cje fino a non molti anni orsno erano le popolazioni locali che facevano legna ad evitare l’accumulo di tronchi d’albero, e forse oggi questa millenaria tradizione fatta tramontare a colpi di divieti potrebbe forse trovare nuovi interpreti
3. un sistema di allerta delle popolazioni che consenta di mettere al riparto con tempestività i beni e le vite umane
4. la realizzazione di casse d’espansione atte a favorire l’invaso delle acque di piena rallentandone sensibilmente il deflusso verso la pianura.
Infine a testimonianza delle tante alluvioni del passato e della generosità dei milanesi nei confronti delle vittime di tali eventi richiamo all’attenzione dei lettori il dipinto di Giacomo Campi dal titolo La passeggiata di beneficenza pro inondati di Verona, 1882 Milano, Civiche Raccolte Storiche e che immortala la passeggiata benefica tenuta il 24 dicembre 1882 in Corso Garibaldi a Milano a favore degli alluvionati veronesi.