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IERI E OGGI

Quando la Chiesa accolse i boat people vietnamiti

Negli anni 1975-1980 la Chiesa italiana accolse tremilacinquecento boat-people, in fuga dal Vietnam comunista e dalla Cambogia di Pol Pot. Oggi è una piccola cifra, ma allora era un’impresa notevole, da prima pagina dei giornali. Oggi come allora la Conferenza episcopale italiana da ancora il buon esempio all’Italia.

Ecclesia 11_09_2015
Padre Piero Gheddo

Negli anni 1975-1980 il Centro missionario Pime di Milano (diretto da padre Giacomo Girardi) e la rivista Mondo e Missione (ne ero il direttore), con il Centro missionario diocesano e la Caritas ambrosiana, abbiamo fatto la campagna per i “boat people” vietnamiti e cambogiani (1975-1978) che ebbe un successo insperato. Il 12 gennaio 1978, al termine della campagna, nasce nel Centro missionario Pime di Milano la “Segreteria profughi Vietnam-Cambogia”, con un lavoro a tempo pieno di 18 universitari volontari di vari movimenti: Focsiv, Mani Tese, Agesci, Cl, Gen-Focolari. A giugno 1978, specialmente la Caritas Ambrosiana e quella nazionale avevano raggiunto un numero sufficiente di richieste di adozioni. Da gennaio a giugno più di 200 conferenze sui profughi, dibattiti, veglie di preghiera in tutta Italia. I boat people erano un fatto nazionale da prima pagina su tutti i giornali. 

Il 22 giugno 1979, il primo ministro Giulio Andreotti invita a Palazzo Chigi padre Girardi e il sottoscritto per ringraziarci: «Avete fatto una campagna coraggiosa, provvidenziale e vittoriosa», perché negli anni 1975-1980, proclamare che i due popoli fuggivano da Vietnam e Cambogia dopo la “liberazione” portata dai Vietcong e dai Khmer rossi, si veniva bollati, come minimo, da provocatori «finanziati dalla Cia». Andreotti mandò tre navi della Marina militare che portano in Italia 3.500 profughi. La Caritas italiana, nata nel 1973 su iniziativa della Cei, nel 1977-1978 comincia ad essere internazionale e monsignor Giovanni Nervo mi chiama a far parte del Comitato direttivo. Per la Caritas sono stato in Thailandia, Eritrea, Pakistan-Afghanistan e ho accompagnato il Presidente, l’arcivescovo di Taranto monsignor Motolese (allora parlavo bene inglese), a visitare alcuni campi al confine con Laos e Cambogia.  

Con monsignor Motolese in missione ufficiale della Chiesa italiana, l’elicottero dell’Onu ci porta in alcuni dei 14 campi profughi, campi immensi, dove decine di migliaia di persone erano fuggite come oggi fuggono dal Nord Africa verso l’Italia. Vivevano sotto tende della Croce Rossa o dell’Onu, circondati dal filo spinato e dai militari thailandesi. Ricordo come un incubo il campo di Kao I Dang con 130.000 profughi nel fango in attesa di cibo e acqua! Il popolo thailandese non li voleva, i “pirati” in mare li rapinavano, i pescatori li respingevano in mare. Anche l’esercito, la polizia e la guardia nazionale spingevano i profughi verso il confine con Laos e Cambogia, tenendoli nel fango perché non fuggissero e lasciandoli indifesi quando i Khmer Rossi entravano nei campi con le loro incursioni ed esecuzioni. Erano gli anni dei boat people, che provocavano e dividevano gli italiani.    

La piccola Chiesa thailandese si era mossa subito per accogliere i profughi e la Cei aveva sostenuto la campagna per accoglierli in Italia. La Caritas italiana, mobilitando il volontariato cattolico istituiva fra i profughi dei dispensari medici, tenuti da suore e volontari italiani. La mia segretaria, suor Franca Nava, delle Missionarie dell’Immacolata (le suore del Pime), infermiera caposala specializzata in ginecologia e nella cura dei bambini e dei lebbrosi (con missioni in Bangladesh e India), era in Thailandia per due mesi di “vacanza estiva” (per due anni) in un dispensario della Caritas Italiana nel campo profughi di Mairut. Lavoravano tanto per le molte emergenze, mangiavano solo pesci e riso bollito con salsa piccante, ma non si sono mai ammalate; i pochi cattolici della Thailandia visitavano i profughi, portavano aiuti, i vescovi chiedevano al governo di accoglierli.

Nell’estate 1978 il re Bhumibol Adulyadej, considerato il dio della nazione, simbolo dell’identità culturale e del buddismo, parla in Tv e dice: «Dobbiamo accogliere i nostri fratelli cambogiani e vietnamiti, come fanno i cristiani, che ci danno un grande esempio. Sono nostri fratelli e sorelle dobbiamo accoglierli, non respingerli in mare, non rapinarli. Se voi respingete questi profughi, li derubate o li ricacciate in mare mandandoli a morte sicura non siete dei buoni thailandesi».

Tornato in Thailandia alcuni anni dopo, i missionari italiani dicevano che il discorso del re, ripreso dai giornali e amplificato in prima pagina, aveva convinto i thailandesi a formare associazioni di volontariato per aiutare i profughi, non solo da Laos e Vietnam, ma anche da Myanmar, altro Stato che perseguita i tribali animisti e cristiani. Tra i buddisti thailandesi c’erano sono pochissime conversioni, ma la gente aveva cambiando atteggiamento: si diffondevano i valori del Vangelo, pace, giustizia, fraternità, condivisione, dialogo e tutti sanno che sono valori evangelici. Anche l’esercito, la polizia e la guardia nazionale seguirono l’esempio dei cristiani, cominciando a difendere i profughi dalle incursioni dei Khmer Rossi di Pol Pot.