Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
MEDIO ORIENTE

Pulitzer o terroristi? Lo strano caso dei giornalisti di Gaza

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Quattro fotoreporter palestinesi, collaboratori di prestigiose agenzie e testate (Reuters, Ap, Cnn, New York Times), hanno passato i confini di Israele con Hamas, coprendo in presa diretta l'attacco terroristico del 7 ottobre. È ancora giornalismo?

Esteri 11_11_2023
La foto più celebre di Hassan Eslaiah

Sono gionalisti da premio Pulitzer o complici del terrorismo? È questa la domanda che soprattutto in Israele ci si pone su Hassan Eslaiah, Yousef Masoud, Ali Mahmud e Hatem Ali, giornalisti palestinesi freelance, che lavoravano sul terreno per grandi testate quali le agenzie Reuters e Associated Press, una televisione di importanza mondiale quale la Cnn e uno dei più autorevoli quotidiani americani, il New York Times. Il 7 ottobre, quando Hamas attaccò di sorpresa Israele, cogliendo alla sprovvista il servizio segreto migliore del mondo, loro c’erano. Erano a tal punto dentro l’azione da fare riprese a bordo della motocicletta di due terroristi in corsa verso i loro obiettivi. Da riprendere lo scempio del kibbutz di Kfar Aza, la cattura degli ostaggi, il vilipendio dei cadaveri di soldati e civili assassinati.

A sollevare il caso, che in realtà era sotto gli occhi di tutti, sin da subito (le foto erano firmate) è stata la Ong statunitense Honest Reporting che monitora l’informazione su Israele. L’organizzazione non chiede la testa di nessuno, semplicemente pone un problema di etica giornalistica. Se dei freelance sono talmente associati a un gruppo terroristico (riconosciuto tale dagli Usa, e le testate per cui lavorano sono americane) da precederne le mosse, si può ancora parlare di giornalismo o di complicità con il terrorismo?

L’Associated Press si è difesa così: «La nostra agenzia non era a conoscenza degli attacchi del 7 ottobre prima che accadessero. Il ruolo dell’Ap è quello di raccogliere informazioni sugli eventi dell’ultima ora in tutto il mondo, ovunque accadano, anche quando tali eventi sono orribili e causano vittime di massa. Ap utilizza immagini scattate da freelance in tutto il mondo, inclusa Gaza». Ma Honest Reporting non ha accusato la prestigiosa agenzia di essere al corrente dei piani di Hamas. Semmai ha posto una questione di etica giornalistica riguardo a collaboratori che si sono comportati come se fossero degli embedded, non di un esercito regolare, ma di un’organizzazione terrorista.

Il caso di Hassan Eslaiah è il più controverso. Non solo era sul posto mentre Hamas attaccava, cogliendo di sorpresa l’esercito (sua è la foto, ormai celebre, del carro israeliano in fiamme), ma in un suo video, ancora in fase di verifica, lo si vede a bordo di una moto assieme a due terroristi. Filma anche una granata tenuta in mano: è la sua mano o quella di un suo compagno di viaggio? Non è ancora accertato. Scavando nel suo passato, Honest Reporting lo mostra abbracciato a Yahya Sinwar, il leader di Hamas a Gaza. Non nascondeva neppure la sua vicinanza al partito islamista palestinese. Sia la Cnn che l’Ap hanno sospeso il loro rapporto di lavoro con Eslaiah. La Ap ha anche diffuso un comunicato in cui rinnova la fiducia nel suo collaboratore palestinese (prima di scaricarlo).

Lo scandalo dei quattro fotoreporter segue di pochi giorni quello di Soliman Hijjy, allontanato dal New York Times nel 2022 per alcuni suoi post (di dieci anni prima) che inneggiavano al nazismo ed ora assunto di nuovo per coprire la guerra. Questa la spiegazione del New York Times: «Abbiamo esaminato i post problematici sui social media di Hijjy quando sono venuti alla luce per la prima volta nel 2022 e abbiamo intrapreso una serie di azioni per garantire che comprendesse le nostre preoccupazioni e potesse aderire ai nostri standard se avesse voluto svolgere un lavoro freelance per noi in futuro».

La prima domanda che ci si pone è appunto questa: i giornalisti palestinesi che lavorano a Gaza, sono organici a Hamas? La risposta è ovvia: sì, anche se i commenti piccati dei loro clienti americani dimostrano di fingere di non saperlo. Sì, sono organici e funzionali a Hamas, altrimenti non potrebbero lavorare a Gaza.

Lo dimostra anche il vecchio caso del linciaggio dei due riservisti israeliani nella stazione di polizia di Ramallah: una troupe Mediaset riprese la scena cruenta, l’Autorità Palestinese indagò su chi avesse girato quelle scene non autorizzate, un altro giornalista italiano, della Rai, prese le distanze dai suoi colleghi e di fatto li denunciò, affermando che mai avrebbe violato le direttive dell’Autorità Palestinese, per la quale proclamava apertamente il proprio appoggio. La troupe di Mediaset dovette abbandonare i Territori in fretta e furia. Il giornalista della Rai, invece, dimostrò, con la sua lettera aperta, quali fossero le condizioni per lavorare con i palestinesi: appoggio alla causa e obbedienza alle direttive sull’informazione. E stiamo parlando dell’Autorità Palestinese, quella “laica”, governata da Arafat, relativamente più aperta rispetto a Hamas.

Quindi i giornalisti che erano al seguito di Hamas erano stati informati prima di quel che sarebbe successo il 7 ottobre? A meno di credere in una coincidenza veramente singolare, sì. E Hamas, contrariamente all’Autorità Palestinese, ha tutto l’interesse a mostrare al mondo come uccide gli israeliani, come gli altri jihadisti di Al Qaeda e dell’Isis hanno sempre fatto con i loro prigionieri. La presenza dei giornalisti sul luogo del terrore era evidentemente funzionale agli interessi di Hamas.

La seconda domanda che dobbiamo porci, a questo punto, è: cosa sarebbe successo se dei giornalisti si fossero aggregati, allo stesso modo, ai terroristi dell’Isis, magari in occasione della strage del Bataclan, a Parigi nel 2015? In quel caso, chi li avrebbe difesi?  Il punto è che i terroristi non sono tutti uguali. L’Isis e Al Qaeda erano condannati da tutti. Ma Hamas è riuscito, con la diplomazia e gli appoggi politici giusti, ad accreditarsi come movimento legittimo di liberazione, presso una parte non trascurabile dell’opinione pubblica di sinistra. E presso non pochi media, anche non arabi. Quindi possiamo ancora raccontarci che ci siano “freelance indipendenti” che lavorano a Gaza sotto Hamas. E che casualmente si trovavano sul luogo di un attacco a sorpresa.