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DOPO LA MORTE

Parola d'ordine: confondere le idee sul caso Alfie

Alfie non è stato ancora sepolto, ma la gara per confondere la memoria di quanto è successo è già in pieno svolgimento. Dietro la narrazione dei "poveri genitori strumentalizzati" c'è il disegno di allargare la sorte di Alfie a tutti i disabili gravi.

Editoriali 02_05_2018
Stato di polizia

Alfie non è stato ancora sepolto, ma la gara per confondere la memoria di quanto è successo è già in pieno svolgimento.

A dare la linea ci aveva già pensato il giudice Hayden nell’ultima udienza da lui presieduta ad Alfie già staccato dall’apparecchio che garantiva la ventilazione: comprensibile la difficoltà dei genitori ad accettare la tragica condizione di Alfie, purtroppo ci sono alcuni che hanno approfittato per strumentalizzare. E ovviamente, eroici i medici dell’Alder Hey che hanno sopportato tutto questo pur prodigandosi in tutte le maniere per Alfie e la famiglia.

Peccato che in quelle ore stesse andando in scena tutta un’altra storia, come abbiamo abbondantemente documentato giorno per giorno, ora per ora. Non importa, la teoria dei “poveri genitori strumentalizzati” ha avuto successo e dopo la morte di Alfie è diventata un ritornello. Lo ripetono i grandi giornali - il The Guardian ha dedicato pure una mini-inchiesta alla scoperta degli strumentalizzatori -; lo sostiene anche il cardinale Vincent Nichols, primate cattolico della Chiesa inglese; lo sostengono esimi medici che non fanno che tessere le lodi di questo ospedale modello che sarebbe l’Alder Hey.

Secondo questa teoria, va da sé che i genitori facciano fatica ad accettare quello che comunque è ineluttabile. Si può forse discutere se staccargli i sostegni vitali un giorno prima o un giorno dopo – dipende da come vengono preparati i genitori - ma non c’è discussione sul fatto che Alfie doveva morire; lasciarlo in vita sarebbe stata una crudeltà inutile. Anzi, dovremmo prendere a modello il sistema sanitario britannico che è così preciso nei protocolli e così attento nel seguire ogni situazione del genere.

È possibile che tra qualche giorno, a forza di ripetere queste spiegazioni, molte persone alla fine si adatteranno, forse penseranno di aver sognato a proposito delle violenze subite da Alfie e del tormento inflitto ai genitori. Allora è bene ricordare sempre la semplice realtà: per quanto addolorati, Thomas e Kate, non hanno mai messo in discussione la gravità della malattia di Alfie (peraltro mai definita) né si sono mai nascosti il fatto che la sua aspettativa di vita sarebbe stata piuttosto limitata. Ma volevano che la durata della vita di Alfie fosse decisa dal Signore e non dai protocolli dell’Alder Hey.

La lunga battaglia legale è su questo che si è sviluppata, e sulla possibilità dei genitori di portare Alfie in un’altra struttura sanitaria disposta a rispettare la sacralità della vita. Nessun accanimento terapeutico, nessuna sofferenza inflitta ad Alfie, solo il rispetto dovuto ad ogni persona, sana o malata che sia.

Il problema vero è tutto qui, nello scontro tra due antropologie, come è stato detto. Credere che la vita vada rispettata dal concepimento fino alla morte naturale e una concezione della vita legata alla sua efficienza o capacità di fare, sono due modi diametralmente opposti di accostarsi alla persona e certamente causano due modi molto diversi di curare un malato. Appare perfino ovvio che se si crede che sotto un determinato standard la vita non abbia più alcun valore, non sia degna, ciò genera anche decisioni cliniche conseguenti: chi continuerebbe a spendere denaro per qualcosa che non vale nulla?

Certe espressioni di comprensione del dolore dei genitori – vedi giudici e medici dell’Alder Hey – sono in realtà il falso pietismo di chi è convinto che quei genitori sono dei poveretti, così attaccati a una vita che non vale nulla. E quindi cercano soltanto di trovare il percorso migliore per far loro digerire che gli ammazzeranno il figlio, ovviamente secondo un protocollo sanitario approvato da un Comitato etico che rende tutto così giusto.

Eppure abbiamo ben visto in cosa consiste questo protocollo, abbiamo rivissuto ieri con l’articolo della nostra Benedetta Frigerio quei cinque giorni di violenze contro Alfie e i suoi genitori. Non dimentichiamolo, perché chi oggi vuole oscurare quanto è realmente accaduto sta preparando lo stesso trattamento per tutti quanti sono in condizioni analoghe a quelle di Alfie. Non c’era nessun accanimento terapeutico, a meno che non sia considerato tale dare la possibilità di respirare, nutrirsi e idratarsi a chi è disabile grave.

Vale a dire che se era giusto che Alfie morisse in quel modo, allora lo stesso vale per quelle decine di migliaia di disabili gravi che solo in Italia sono tenuti in vita da supporti vitali. È qui che vogliono arrivare, è qui che punta anche la nostra legge sulle Dat (Dichiarazioni anticipate di trattamento).

La vicenda di Alfie è stata strumentalizzata? No, semplicemente c’è un popolo che ha compreso la posta in gioco, e ci sono associazioni e professionisti parte di questo popolo che si sono messi a disposizione per aiutare la famiglia Evans; o hanno fatto una battaglia culturale per far conoscere la vicenda e far comprendere l’importanza di salvare quel bambino dalle grinfie di chi lo voleva morto subito. Ma il Potere non perdona chi ha tentato di mettersi di traverso, e allora ecco che ora, ucciso Alfie, cominciano a colpire chi lo ha difeso.