Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Cecilia a cura di Ermes Dovico
CAPIRE IL PRESENTE

Nuovo umanesimo, il Cristianesimo svuotato di Cristo

Il progetto di Nuovo Umanesimo di Morin prevede di togliere dal Cristianesimo l’affermazione che Gesù Cristo è l’unico Salvatore dell’uomo, che c’è un’unica Chiesa, che esiste un’unica Rivelazione. Così avremo una religione che potrà inserirsi nel magnifico mondo degli uomini che si riconoscono nell’unico orizzonte della Terra-casa comune. L’universalismo autenticamente cristiano cede così il passo alla creazione di un mondo nuovo e un uomo nuovo senza Cristo.

Editoriali 16_09_2019

Nuovo umanesimo: è l’espressione che da più giorni si trova sulla bocca e sulla penna di numerosi intellettuali, giornalisti o tuttologi di professione. A dare il La è stato il discorso del premier incaricato Giuseppe Conte, che aveva racchiuso in quell’espressione – e non una sola volta – niente meno che l’«orizzonte ideale per il Paese», la nostra bella e tormentata Italia. La formula, entusiasmante per molti, è suonata sinistra ad altre orecchie più attente, come quelle di Padre Livio Fanzaga di Radio Maria, che ha identificato nel nucleo essenziale del nuovo umanesimo, articolato dal filosofo francese Edgar Morin, un progetto per costruire un mondo nuovo, un uomo nuovo senza Cristo. 

E’ curioso notare che proprio Morin era stato ricevuto in udienza da papa Francesco lo scorso 27 giugno; il giorno precedente aveva potuto tenere una conferenza a Villa Bonaparte, alla presenza dell’Ambasciatrice francese presso la santa Sede, Mme Élisabeth Beton-Delègue, e ai membri del Corpo diplomatico e della Curia romana. Tema? La convergenza del proprio pensiero con quello dell’attuale Pontefice. 

Guarda caso, circa due mesi dopo quest’incontro, abbiamo avuto prima il discorso di Conte e poi, il 12 settembre, Francesco ha riproposto un “nuovo umanesimo” con un videomessaggio, per lanciare un Patto Educativo planetario. Un testo, quello letto dal Pontefice, che sembra scritto dallo stesso Morin, talmente tornano e ritornano temi a lui cari: l’idea centrale della Terra come casa comune di tutti gli uomini, la denuncia della frammentazione della vita sociale e della conoscenza, l’importanza di un cammino educativo per formare l’uomo nuovo, che esca dalla falsa razionalità, astratta, settoriale, dominatrice, per giungere ad una razionalità superiore, integrata, aperta e dialogica. 

A prima vista, la proposta di Morin potrebbe sembrare armonizzabile con la nota esortazione di Benedetto XVI ad allargare gli orizzonti della razionalità; ed in effetti in più punti l’analisi di Morin è anche condivisibile. C’è un però, che per un cristiano non è un dettaglio di poco conto. Quel Papa che voleva una ragione più aperta alla realtà nella sua totalità, e dunque anche alla trascendenza, è lo stesso Papa che metteva in guardia dalle «profonde divergenze che esistono tra l’umanesimo ateo e l’umanesimo cristiano; un’antitesi che attraversa tutta quanta la storia, ma che alla fine del secondo millennio, con il nichilismo contemporaneo, è giunta ad un punto cruciale» (Angelus, 9 agosto 2009). Dove per umanesimo ateo non si deve pensare ad un umanesimo che nega esplicitamente Dio, che combatte le religioni, ma un umanesimo che erige «la libertà quale unico principio dell’uomo, in alternativa a Dio», trasformando così «l’uomo in un dio». Dentro questo progetto anche le religioni sono le benvenute, purché accettino di relativizzare la propria presunta assolutezza; anche Dio è ben accolto, purché si sieda tra gli invitati al convito di questa nuova umanità solidale e non pretenda di essere lo Sposo che chiama alle nozze e che addirittura decide di lasciar fuori chi non ha l’abito nuziale.

Ed in effetti la prospettiva di Morin è proprio questa; la farfalla del nuovo mondo che potrà nascere dall’attuale bruco (immagine cara a Morin), attraverso un’improbabile, ma possibile metamorfosi, farà bene a non sbarazzarsi di Dio, perché altrimenti «si creeranno sempre altri miti per rimpiazzarlo», secondo quanto dichiarato in un’intervista del 2012 a Le Monde (vedi qui). Quello che è importante è «prendere coscienza di questo universo noologico, della sua forza, della sua energia. Un mito non sa di essere un mito, pensa di essere la realtà». Bisogna perciò prendere coscienza che le forme religiose sono miti, creazioni del pensiero e delle aspirazioni dell’uomo, e perciò rispettabili, purché ci mettiamo a «dialogare con questi miti, dicendogli: “Non chiedermi troppo, non essere dispotico...”. Noi stessi possiamo domandare loro, mentre li conserviamo, di non soffocarci».

In un confronto con Tariq Ramadan, Morin si era domandato come mai due religioni, come l’Islam e il Cristianesimo che, secondo lui, avrebbero lo stesso Dio, si trovano in conflitto reciproco. «L’universalismo del messaggio di Cristo è la fratellanza, è la comprensione e la compassione, è il dio misericordioso capace di perdono. Dov’è il male? Nella follia dell’assoluto e della verità, nella fine della speranza». Chiaro? La pretesa di assolutezza, di verità è la ragione del contrasto (esattamente il contrario di quanto insegnava Benedetto XVI); togliete dal Cristianesimo l’affermazione che Gesù Cristo è l’unico Salvatore dell’uomo, che c’è un’unica Chiesa, che esiste un’unica Rivelazione, etc. e finalmente avremo una religione che potrà inserirsi nel magnifico mondo degli uomini che si riconoscono nell’unico orizzonte della Terra-casa comune.

Non dobbiamo essere così ingenui da pensare che Morin si limiti a vaticinare o auspicare qualche pio desiderio, davanti ad una tazza di tè e dei biscotti. L’anziano intellettuale francese non viene portato in giro per il mondo a parlare di complessità e metamorfosi per semplice erudizione; questa realizzazione di un mondo nuovo, attraverso una nuova educazione planetaria (è a questo tema che egli ha dedicato le due maggiori opere pedagogiche La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero e I sette saperi necessari all’educazione del futuro), DEVE avvenire e necessita, per questo scopo, di un governo. Scriveva piuttosto sfacciatamente Morin nel 2002 (Èmergence de la société-monde, «MAUSS», 2002): «Un governo democratico mondiale, oggi, è fuori portata; tuttavia le società democratiche si preparano con mezzi non democratici, vale a dire con riforme imposte». Chiaro, no? La difficoltà della creazione di questo governo mondiale è poi sotto gli occhi di tutti: «L'esempio dell’Europa ci mostra la lentezza di un cammino che esige il consenso di tutti i partner». Accidenti. La soluzione è però presto detta: «Ci vorrebbe un aumento improvviso e terribile di pericoli, l’avvento di una catastrofe per costituire l’elettrochoc necessario alla presa di coscienza e alla presa di decisioni. Attraverso regressione, dislocazione, caos, disastri, la Terra-Patria potrebbe nascere da un civismo planetario, da un’emergenza di società civile planetaria, da una amplificazione delle Nazioni Unite, che non si sostituisca alle patrie, ma le comprenda» (in Oltre l’abisso, 52). Detto in altre parole: le nuove generazioni dovranno essere rieducate, ma per vincere ogni resistenza è necessario accelerare il processo, generando l’ansia della catastrofe, economica, ambientale, sociale o magari anche provocandola. Così sarà più facile che il mondo invochi la venuta di un redentore, che salvi l’uomo non dal peccato (quello non è contemplato come problema), ma dalla fame, dalla guerra, dal riscaldamento globale, dalla malattia. Reali o propagandati: poco importa.

Si tratta evidentemente di un progetto anticristico, verso la cui realizzazione ci stiamo muovendo a grandi passi. L’incontro annunciato da papa Francesco per il 14 maggio del 2020 intende entrare in questa cornice? Certo è che il richiamo del Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, sottoscritto lo scorso 4 febbraio ad Abu Dhabi, sembra quanto di più idoneo a soddisfare il progetto di Morin, soprattutto la contestatissima affermazione – lasciata così com’è, al suo posto – secondo la quale «il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani». L’universalismo autenticamente cristiano cede così il passo alla creazione di un mondo nuovo e un uomo nuovo senza Cristo; ed il venturo Sinodo sull’Amazzonia ha già rivelato nel suo Instrumentum Laboris un ideale piuttosto inquietante, magnificando le religioni naturali, senza dogmi e senza assoluti (ricordiamo, en passant, che per Morin le religioni politeiste sono migliori perché più tolleranti ed umane) e l’armonia con la Madre-Terra.

In poco più di un secolo siamo passati dal rilancio dell’ideale di san Paolo instaurare omnia in Christo, da parte di san Pio X, all’ideale di un mondo dove Dio non c’è e, se mai dovesse esserci, è pregato di contribuire alla causa della casa-comune, secondo le regole che noi ci siamo dati. Il mondo è pronto per salutare la venuta di colui che porterà pace e prosperità a prezzo dell’apostasia?