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Nell'Ultima Cena si gioca il dramma della libertà umana

In un salterio del XII secolo (Bodleian Library), la lettura teologica dell'Ultima Cena come proposta dall'evangelista Giovanni. Che sia Giuda stesso a intingere il boccone nel piatto di Cristo riveste un duplice significato simbolico: da un lato sottolinea la libertà personale di fronte alla Verità che si rivela diversa da schemi umani; dall’altro denuncia la pretesa dell’uomo di accostarsi al Mistero senza mettersi in gioco, senza voler cambiare.

Ecclesia 29_03_2018
Bodleian Library, Salterio del XII secolo (part.)

Nella narrazione evangelica dell’Ultima Cena c’è un particolare che può sfuggire all’attenzione del credente. Un particolare che resta sostanzialmente invariato nei sinottici ma diverso nel Vangelo di Giovanni. Si tratta dell’ultimo boccone che prende Giuda prima di lasciare il cenacolo. Nel Vangelo di Marco, la cui lettura è proposta integralmente nel ciclo liturgico di quest’anno (Anno B), si narra, infatti, così il pasto di Giuda: Venuta la sera, egli giunse con i Dodici. Ora, mentre erano a mensa e mangiavano, Gesù disse: «In verità vi dico, uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà». Allora cominciarono a rattristarsi e a dirgli uno dopo l’altro: «Sono forse io?». Ed egli disse loro:«Uno dei Dodici, colui che intinge con me nel piatto. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui, ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo è tradito! Bene per quell’uomo se non fosse mai nato!».

In accordo con tutti gli altri evangelisti tranne, appunto Giovanni, che invece sottolinea la Signoria di Cristo anche nel tradimento dell’Apostolo: Dette queste cose, Gesù si commosse profondamente e dichiarò: «In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà». I discepoli si guardarono gli uni gli altri, non sapendo di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece un cenno e gli disse: «Di’, chi è colui a cui si riferisce?». Ed egli reclinandosi così sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è? ». Rispose allora Gesù: «È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò». E intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone.

Che sia Giuda stesso a intingere il boccone nel piatto di Cristo riveste un duplice significato simbolico: da un lato sottolinea la libertà personale di fronte alla Verità che si rivela diversa da schemi umani; dall’altro denuncia la pretesa dell’uomo di accostarsi al Mistero senza mettersi in gioco, senza voler cambiare.

Negli antichi salteri le miniature accompagnavano come lectio divinae per immagini la celebrazione dei misteri. Penso in particolare a un salterio del XII secolo, il Bodleian Library. L’undicesimo foglio della terza settimana presenta una suggestiva Ultima Cena che è veramente meditazione visiva dell’offerta sacrificale del Salvatore.

Gesù sta al centro della scena, rivestito di un mantello rosa. Il rosso del suo sacrificio già scritto nella veste è già illuminato dalla gloria che il Padre ha promesso di restituirgli. Una promessa che, grazie alla carne assunta dal Cristo, è anche per noi.
Gesù non spezza il pane con le mani (come vuole la tradizione) ma tiene sollevato evidente un gigantesco coltello: è la lancia che trafiggerà il suo cuore, è l’annuncio della trafittura di mani e piedi cantata dal salmo 21.
Accanto a Cristo un piccolo Giovanni già vestito di Cielo addita Giuda che, appunto, mette mano alla mensa, senza esserne degno. Non è fuori dalla tavola e dall’altra parte, quasi fosse un predestinato, ma è in mezzo agli altri apostoli, come voleva la teologia di stampo domenicano, altra sottolineatura della libertà umana di fronte a Dio e al Suo disegno di Redenzione.

La rilettura protestante della Passione sceglie invece l’altro aspetto, quello di un Giuda «costretto» a tradire da una sorta di destino avverso. Lo dimostra il celeberrimo film Jesus Christ Super Star ove, in un balletto finale fra gli angeli, Giuda domanda a Dio il perché fosse toccata a lui la sorte del traditore, necessario per portare Cristo alla croce.

Il nostro autore, seguendo la lezione dei sinottici, è convinto che Giuda nella sua assoluta libertà ha tradito e che avrebbe anche potuto evitare di farlo. Tant’è che lo veste esattamente con i colori del Cristo rovesciando gli indumenti: rosa la veste, rosso il mantello. Giuda è anche l’unico a guardare a Cristo, con una consapevolezza che agli altri sfugge. Di lui ci narrano poco i Vangeli, sappiamo solo che aveva la cassa e che la usava in modo improprio e arbitrario e compare poi solo nella Passione a motivo del tradimento. Tuttavia il miniaturista ci lascia intendere che Giuda con Gesù aveva un rapporto particolare. Come se Gesù lo tenesse in conto e lo circondasse di premure quasi per proteggerlo dal suo animo tormentato. Questo insegna che non sempre i traditori nascono come tali, essi individuano spesso un problema reale ma lo affrontano in modo arbitrario senza cioè accettare lo scandalo della croce.

E per verificare se una tale lettura della miniatura non sia frutto di interpretazioni fantasiose basta considerare la scena che si svolge davanti alla tavola dell’Ultima cena e che fa invece riferimento proprio all’Evangelista Giovanni: Gesù che si abbassa per lavare i piedi a Pietro. Costui è recalcitrante di fronte al gesto inusitato del Maestro fatto – tra l’altro – dopo aver dichiarato: «Chi vede me, vede il Padre». Anche Pietro si trova a dover fare i conti con un’idea di Messia che non corrisponde alle sue attese, purtuttavia alla fine egli accetta, consapevole del suo tradimento, la Signoria di Cristo. Lo dimostra che Pietro, come Giuda, veste di rosa e di rosso ma senza il rovesciamento degli indumenti. Egli veste allo stesso modo del Salvatore e cioè con abito rosso e manto rosa.

Unisce le due scene un piatto centrale dove invece dell’agnello pasquale compare il pesce. Un simbolo non infrequente attorno ai secoli XII-XV nelle ultime cene. Anche questo dimostra come l’autore fosse interessato non tanto alla narrazione “fedele” del testo evangelico, quanto al significato mistico e teologico dell’evento pittoricamente narrato.

Il pesce era cibo permesso in Quaresima; inoltre la parola «pesce» in greco era noto quale acronimo del nome di Gesù come Messia, Dio e Salvatore: (ΙΧΘΥΣ ovvero, nell'alfabeto latino, Ichtús, ovvero: Iesûs Christós Theoû Uiós Sotér, Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore). In ultimo  il pesce arrostito che i discepoli mangiano all’indomani della risurrezione è per Sant’Ambrogio simbolo del Cristo nella sua passione.

Così si chiarifica, all’orante che sfoglia questo straordinario libro di preghiera, che gli apostoli sono radunati attorno a un banchetto in cui il cibo è Gesù stesso. Colui che si offre come cibo è l’uomo-Dio e il modo di questa offerta è un sacrificio umiliante (la croce) cui gli stessi apostoli vorrebbero sottrarsi.
Gesù in primo piano ha poi sorprendentemente i piedi fuori dalla miniatura. Quasi a dire che lo scandalo della sua croce e della mensa eucaristica accompagnerà la storia della Chiesa di secolo in secolo.

Egli cammina con noi principalmente nella forma del Sacramento, facendo della Chiesa stessa il Sacramento della sua Presenza, cui tutte le altre forme di Presenza del Cristo devono rimandare. Senza questo rimando essenziale, la Chiesa perde il suo profondo senso Misterico.