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STORIE MONDIALI

Modric, da profugo al Mondiale, confidando in Dio

Il nonno fu ucciso durante il conflitto serbo e lui con i genitori dovette conoscere l'esperienza dei profughi croati. Stasera, durante la finale mondiale con la Francia, Luka Modric giocherà la partita più importante della sua vita. Storia di un campione gracile che ha conosciuto l'umiliazione e il dolore della guerra senza mai smettere un attimo di confidare in Dio. Al quale oggi, comunque vada stasera, si affida perché sempre grato. 
-LEGGI LE ALTRE STORIE MONDIALI: LUKAKU, TABAREZ, DALIC

Sport 15_07_2018

Il 18 dicembre 1991 è una data che Luka Modric, capitano della nazionale croata di calcio che domenica pomeriggio affronterà la Francia nella finale del Campionato del Mondo, non potrà mai dimenticare.

Quella mattina il nonno paterno, anche lui di nome Luka, uscì di casa, come faceva tutte le mattine, a pascolare il gregge nelle campagne di Zaton Obrovački, un villaggio di 500 anime posto nell’entroterra dalmata non lontano da Obrovac, a circa quaranta chilometri da Zara. Spesso anche il piccolo Luka, sei anni, andava con il nonno al pascolo.

Nonno Luka, abituato ad affrontare senza paura ogni tipo di intemperia che caratterizzava quella zona dell’entroterra dalmata ai piedi del monte Velebit dal clima aspro, neppure quella mattina badò al fatto che in quei giorni le truppe dell’autoproclamata Repubblica Serba di Krajina, che già occupavano il capoluogo Obrovac, si stessero pericolosamente avvicinando al suo villaggio. Un’imprudenza che gli costò la vita, lo trovarono morto ad alcune centinaia di metri da casa, crivellato di colpi di arma da fuoco.

Senza indugi papà Stipe e mamma Radojka, una volta seppellito il nonno, presero il piccolo Luka e tutti insieme abbandonarono il villaggio senza prendere quasi nulla con sé e si rifugiarono a Zara. Fecero appena in tempo, pochi giorni dopo il loro villaggio fu occupato dai serbi e la loro casa bruciata.

La vita a Zara non era semplice, nei primi anni della guerra la città era un'enclave croata circondata dai serbi che occupavano tutto l'entroterra e parte della costa attorno alla città da dove la bombardavano giorno e notte.

In un primo tempo a Zara la famiglia Modric fu alloggiata, insieme a molti altri profughi, presso l'Hotel Iž. Papà Stipe, dopo avere trovato lavoro presso l’esercito, decise di dare al figlio la possibilità di praticare un'attività sportiva per distrarlo dalle sofferenze della guerra, e giacché l'albergo si trovava nei pressi dello stadio della locale società di calcio, l'NK Zadar, Luka fu iscritto alla scuola di calcio di quella società.

Di quegli anni Luka ricorda il generale scetticismo degli addetti ai lavori nei suoi confronti: fece un provino presso lo Hajduk nel 1995, ma non fu accettato, maggiore fortuna ebbe invece anni dopo presso la Dinamo di Zagabria, che fu il club che lo lanciò nel panorama calcistico internazionale.

Di corporatura esile, piccolo di statura, tutte le porte erano chiuse. Nella conferenza stampa a Mosca che ha preceduto la finale mondiale, Luka ha spiegato qual è il segreto del suo successo nel calcio: «Non ho mai dubitato di me stesso, ho sempre creduto di arrivare qui dove sono oggi, e grazie a Dio tutto questo si è realizzato». Le porte chiuse che ha trovato a motivo del suo fisico esile, aggiunge, «hanno rappresentato per me un'ulteriore motivazione, così da dimostrare che non devi essere grande e grosso per giocare a calcio».

Modric che stasera scenderà in campo per la finale mondiale contro la Francia,la partita più importante della sua vita viene considerato un autorevole candidato alla vittoria del Pallone d’oro 2018, premio calcistico annuale destinato al migliore giocatore del mondo. A una precisa domanda in questo senso di un giornalista, Luka ha risposto di non pensare a questo premio, e di essere concentrato esclusivamente sulla Nazionale affinché, «se Dio lo vorrà, vinciamo questo Campionato del mondo».

La chiave della straordinaria cavalcata della nazionale di calcio croata fino alla finale del Campionato del Mondo sta quindi non solo nell’indubbio talento calcistico di molti suoi giocatori, non per nulla accasati presso i migliori club calcistici europei, bensì anche e soprattutto nella grande fiducia nei propri mezzi, nella capacità di non arrendersi di fronte alle difficoltà, le quali non sono state un ostacolo insormontabile al conseguimento dei propri obiettivi, bensì hanno rappresentato una molla che ha permesso loro di spingersi ancora più in alto, cosa della quale devono essere grati al loro attuale CT Zlatko Dalic (a proposito del CT croato vedi qui),

Anche se non tutti hanno dovuto affrontare il destino di profughi, come è accaduto a Luka Modric o a Dejan Lovren, difensore centrale della Nazionale, fuggito con i genitori da Zenica, nella Bosnia-Erzegovina a maggioranza musulmana, o al tennista Ivan Ljubicic, giunto alcuni anni fa fino al terzo posto del ranking mondiale dell’ATP e fuggito da bambino da Banja Luka, nella Republika Srpska, la guerra di aggressione subita dalla Croazia nei primi anni novanta ha segnato la loro vita. Tuttavia, grazie alla fede in Dio e alla forza che viene da questa fede, hanno saputo fare di queste sofferenze il punto di partenza di una nuova vita. E non solo il CT Dalic, bensì anche i giocatori della Nazionale non hanno dimenticato l’aiuto del Signore: non c’è quasi stato giocatore che nelle interviste successive alle partite di questo Mondiale non abbia ringraziato «il buon Dio» per i risultati ottenuti, segno di affidamento al Signore nello svolgimento della loro attività sportiva.

E’ poi importante osservare come da Luka Modric, cattolico praticante, e vittima da bambino dell’odio dei serbi, non sia mai uscita una sola parola di odio nei confronti dei serbi medesimi, segno che in lui l’amore per la Patria e per il proprio popolo non deborda mai in atteggiamenti di odio nei confronti degli altri, neppure verso i nemici che hanno ucciso un suo caro e bruciato la sua casa, sebbene da questi ultimi, pur con lodevoli eccezioni, continuino ad arrivare anche in questi giorni segnali preoccupanti, segno che l’odio verso i croati, in molti cuori, è più che mai vivo.