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LA TESTIMONIANZA

Missionari della misericordia: il poker d'assi del Pime

Noi siamo peccatori e il perdono viene solo da Dio. Per prepararci al Giubileo della Misericordia proclamato «affinché la Chiesa possa rendere più evidente la sua missione di testimone della misericordia di Dio», padre Piero Gheddo propone le testimonianze di Clemente Vismara, Marcello Candia e altri “giganti” del Pime.

Ecclesia 03_12_2015
Piero Gheddo

 

Il blog sulla Misericordia di Dio è diviso in tre parti: due sono quelle pubblicate oggi, la terza conclusiva fra alcuni giorni                 

Papa Francesco ha così sintetizzato lo scopo dell’Anno Santo della Misericordia di Dio (8 dicembre 2015 - 20 novembre 2016): «affinché la Chiesa possa rendere più evidente la sua missione di essere testimone della misericordia di Dio». Parole che richiamano quelle di Giovanni XXIII l’11 ottobre 1962 quando apriva il Concilio Vaticano II, orientandolo in senso pastorale: «Oggi la sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece che imbracciare le armi del rigore... Così la Chiesa cattolica ... vuole mostrarsi madre amorevolissima di tutti, benigna, mossa da misericordia e da bontà verso i figli da lei separati». Papa Francesco non indice un altro Concilio, ma riforma la Chiesa in senso pastorale, missionario, con la Misericordia di Dio e la condivisione verso i lontani, i più poveri in tutti i sensi.

1. Siamo tutti peccatori bisognosi di misericordia. Bisogna partire dalla convinzione che abbiamo tutti bisogno del perdono di Dio. Il Venerabile Marcello Candia a chi gli diceva che era un santo rispondeva: «Chi ha avuto molto deve dare molto. Io ho ricevuto tantissimo da Dio e dai miei genitori. Se ho ricevuto cento e rendo ottanta, rendo meno di chi ha ricevuto dieci e rende nove». Il confessore di Madre Tersa, un gesuita, ha detto che la Madre aveva una certa paura della morte, perché diceva: «Dio mi ha dato tanto e io ho corrisposto così poco!». Papa Francesco al giornalista che gli chiedeva: «Cosa pensa di un omosessuale?» rispondeva: «Chi sono io per giudicare il mio prossimo?» («Non giudicate e non sarete giudicati», diceva Gesù). E quando un altro gli ha chiesto:«Lei chi è?», ha risposto: «Io sono un peccatore». Bella risposta! Il Papa stesso si riconosce di essere un peccatore davanti a Dio. 

In questo nostro tempo tempestoso, in cui sembra che il male prevalga sul bene in Italia e nel mondo, Francesco vuol estirpare questo modo di vedere: la Chiesa, comunità dei buoni, deve chiudersi in difesa della verità e del piccolo gruppo degli eletti. Il Papa dice e ripete un principio della pastorale missionaria: «la Chiesa in uscita», i preti e gli operatori pastorali che portano la Parola di Dio ai non credenti e non cristiani, condividono e soffrono i loro problemi e sofferenze, aiutandoli, testimoniando la vita secondo il Vangelo. Questo era lo stile di Gesù e dei suoi Apostoli e discepoli.

Nei suoi 65 anni di missione in Birmania, il beato padre Clemente Vismara (icona della missione Ad gentes nel nostro tempo) ha fondato cinque parrocchie con decine di migliaia di cristiani partendo da zero. All’inizio scriveva: «Se voglio vedere un altro cristiano nel raggio di 130 km. (la distanza tra la sua missione e il prefetto apostolico) debbo guardarmi nello specchio». Lui visitava continuamente i villaggi pagani ed educava i catechisti e i cristiani a fare lo stesso. Ecco cosa scriveva al suo grande amico e benefattore Pietro Migone (25 luglio 1961): non si considerava certo un giusto, un santo fra i peccatori:  «A volte, quando celebro la Messa penso che mi è necessario essere un peccatore.  La Messa è tutta infarcita di “Domine, non sum dignus” (Signore non sono degno), “Mea culpa” (Mia colpa), “Ne in aeternum irascaris nobis” (Non arrabbiarti con noi in etermo), “Si iniquitates (plurale) observaveris Domine, quis sustinebis?” (Se tu guardi ai nostri peccati, Signore,  chi potrà sostenere il tuo giudizio?), ecc. S’io fossi un’anima candida direi bugie. Alle parole bisogna dare il valore che hanno, e di questo parere, credo sia anche il Signore…».

Le ideologie atee che nel Novecento hanno prodotto decine di milioni di morti (senza liberare nessun popolo!), comunismo e nazismo, proclamavano tutto il contrario delle Beatitudini di Gesù. Lenin scriveva nel suo Che fare? che le masse dei poveri hanno un’arma formidabile contro i ricchi: l’odio, bisogna odiare con tutte le nostre forze coloro che ci opprimono perché l’odio aumenterà la nostra forza nel combattere per la giustizia.  Friedrich Nietzsche nel suo L’Anticristo scriveva: «Io definisco il cristianesimo l’unica grande maledizione, l’unica grande perversione, l’unico marchio di abominio dell’umanità». Nel suo libro, Così parlò Zarathustra, ha stilato una specie di contro-vangelo al Discorso sulla Montagna di Gesù. «L’uomo», si legge, «potrà essere felice solo quando soddisferà liberamente i propri istinti, eliminando i concetti del bene, del male e del peccato». Disprezzava la misericordia, i deboli, gli handicappati, le razze indegne della vita. Sognava un mondo dominato dai Superuomini che hanno imposto la loro volontà di potenza agli uomini «inferiori, mediocri e comuni», per cui «lo Stato è in favore dell’individuo più forte (l’uomo eletto che vince l’uomo medio) e della superiorità di razza e di cultura». Non meraviglia che Nietzsche, messosi al servizio del nazionalismo tedesco, abbia profondamente influenzato il nazismo e la sua nefasta ideologia! 

2. Il Dio dei cristiani perdona. Nella storia dell’umanità il vero rivoluzionario è Gesù Cristo; ha rivelato il volto di Dio, Creatore e Padre di tutti gli uomini, che perdona i loro peccati. «Dio è Amore», scrive san Giovanni e Gesù ha numerose espressioni sulla misericordia di Dio e sul nostro dovere di perdonare le offese: «Siate misericordiosi e otterrete misericordia… Perdonate non sette volte, ma settanta volte sette… Le sono perdonati i suoi molti peccati…Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno…». Nei due anni e mezzo del suo pontificato,  Francesco ha ripetuto tante volte questi concetti: «Dio è buono, vuole bene a tutti e perdona sempre…Questo è il messaggio più forte del Signore: la misericordia… Se il Signore non perdonasse tutto il mondo non esisterebbe… È la misericordia di Dio che cambia il mondo…La Chiesa accoglie tutti, non rifiuta nessuno».

Dio Padre misericordioso è uno dei tanti valori della Rivoluzione dell’Amore portata da Gesù nella storia dell’umanità, indispensabili per lo sviluppo anche psicologico della persona umana e il progresso della società (si pensi al valore del perdono per la pace!). In altre culture e religioni, la vendetta è sacra. Nel 1986 in Giappone i missionari mi dicevano che la difficoltà maggiore per i giapponesi di convertirsi a Cristo è il dovere di perdonare le offese ricevute, perché nella loro tradizione la vendetta è un atto sacro e si tramanda di padre in figlio. Il padre Luigi Soletta del Pime era parroco a Kamakura, con una piccola chiesetta vicino al grande tempio della dea buddhista Kannon (la dea della misericordia), il “tempio dei bambini non nati”. Sulla collina attorno al tempio, nei vialetti del bosco ci sono migliaia di statuette del Buddha, simbolo del loro bambino. Le donne che hanno abortito lo offrono al tempio, vestendolo come avrebbero voluto vestire il bambino, a volte con un giocattolo in mano o vicino. Ho visto giovani coppie portare queste statuette, sistemarle nel tempio o nei dintorni, chiedono perdono, bruciano incenso, fanno prostrazioni. Usanza commovente che non è solo un rito, ma l’espressione di un’esigenza di perdono, che purtroppo non ha risposta. 

«L’aborto», mi dice Soletta, «è sentito come una colpa grave e i non cristiani, che non conoscono il Dio della bontà e del perdono, a volte sono oppressi da un senso di colpa. Pensano che i bambini non nati non hanno pace, vagano per la città e i campi in attesa di reincarnarsi in un’altra vita. I genitori non riescono a dar loro pace. A volte vengono da me mamme e papà non cristiani, mi dicono che hanno fatto un aborto e mi chiedono se è vero che il Dio dei cristiani perdona questa colpa. Dopo trent’anni di Giappone, credo che in Oriente le malattie nervose sono più abituali che in Occidente proprio a causa di questa visione pessimistica di Dio, che non conoscono e pensano che non perdona. Io dico loro che il Dio dei cristiani perdona e spiego come e perché. Poi do loro una benedizione solenne e li mando in pace».

Il beato Clemente Vismara (1897-1988) è vissuto 65 anni tra popoli animisti e buddisti e dava giudizi molto negativi di quelle due culture  religioni. É stato il Concilio Vaticano II (1962-1965) che ha cambiato la visione della Chiesa sulle religioni, Vismara scriveva (su Crociata missionaria dicembre 1953): «Che il paganesimo renda l’uomo pigro e di conseguenza povero è un fatto indiscutibile. Venite e vedrete. Io parlo qui del mio paese, di quel che constato io; forse in altri paesi anche i pagani saranno benestanti, ma ci credo poco. Sembrerebbe che la religione debba influire solo sullo spirito, in pratica anche nello sviluppo materiale ha il suo peso e come!». 

In una lettera a Pietro Migone (14 novembre 1963) scrive: «Dicano pure che il buddismo è una buona religione, da rispettare, ecc. ecc. Io son persuasissimo, ricevano pure miliardi e miliardi dall’America o Europa, ma se non cambian fede saremo sempre agli stessi passi. Noi qui siam poveri o meglio miserabili, perché lo vogliamo essere. Certo è tramontata l’epoca del colonialismo - ed è un bene - ma se fossero rimasti soli si sarebbero migliorati? Si poteva pretendere dai colonizzatori che facessero la vita ed il sistema dei missionari? Cristianesimo ed incivilimento son sinonimi e di qui non si scappa. Il progresso rimane e rimarrà sempre, dall’anno 1 al 1963 (quando nacque Gesù), incardinato nello spirito e non ci son miliardi che tengano».

In una lettera a Pietro Migone  (31 agosto 1949) si legge: «La gente qui è povera proprio perché vuol rimanere povera, o meglio miserabile. Coi miserabili la nostra religione non può attaccare o se attacca, attacca in malo modo od anche fittizio. Sono profondamente persuaso che prima dobbiamo insegnare loro a vivere corporalmente, poi il legno di croce. E per insegnare bisogna darne l'esempio. Io lavoro per questo e voglio che mi vedano anche i pagani». 

Il beato Clemente Vismara, nel suo stile diretto e scherzoso, scrive all’amico Pietro Migone (12 aprile 1960): «Stamane ho celebrato la S. Messa per te… Noi in fondo siamo buona gente, ci manca solo la coerenza…. "Ne in aeternum irascabis nobis” (Non arrabbiarti con noi in eterno). Che Dio si arrabbi un po' con noi, gli do ragione, ma sempre sempre non sta bene. Coraggio, caro Pierino, non essere mai pessimista. Il peccato di Giuda non era poi così grosso come si dice. Per 30 franchi ha venduto il Signore, ebbene tutti i moralisti assicurano che la somma di 30 lire non è materia grave con i tempi che corrono, il vero suo male fu quello di credere che il buon Gesù non sarebbe stato capace di perdonargli. A Pietro che l'aveva fatta più grossa con uno sguardo gli perdonò subito, senza manco dargli la penitenza»