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LA STORIA

Meglio cani in Afghanistan che cristiani a Liverpool

La storia strappalacrime dei cagnetti randagi afgani salvati dai nostri militari e portati in Italia. L’Italia si conferma sicuro asilo per tutti quelli, oves et boves, che vogliono entrarci, migranti, profughi, asylanten e ora pure le bestiole. Al povero Alfie, invece, viene negato pure l’assistente spirituale. Morale bis: meglio nascere cani in Afghanistan che cristiani a Liverpool.

Vita e bioetica 26_04_2018

Arena è una cagnetta beige, di quel colore che in Sicilia dicono «cirricaca» (storpiatura dell’americano cheesecake, torta al formaggio; ricordo dello sbarco yankee nell’ultima guerra). E’ lo stesso colore, per restare in Sicilia, del «cirneco» dell’Etna (altra storpiatura: da «cyrenaicus») e che al liceo, motteggiando, dicevamo «canis currens». In effetti, il «canis currens» era una decorazione dei templi dell’antica Grecia, ma per noi era, appunto, un colore scialbo e diarroico: color cane-che-corre. Arena, dicevamo, è un cane fortunato, molto più fortunato di tutta quella gente che, in Afghanistan, muore sotto le bombe e le auto-bomba.

Dovete sapere che colà opera un’associazione angloamericana che si chiama Nowzad e si occupa del «sostegno agli animali randagi». Ebbene, poiché Arena era stata praticamente adottata dai militari italiani, in sinergia con il nostro Ente Nazionale Protezione Animali un volo diretto Kabul-Fiumicino l’ha portata in salvo in Italia. Insieme a tre gatti, Cleopatra, Reddy e Pers. La missione si è conclusa felicemente, così che l’Italia si conferma sicuro asilo per tutti quelli, oves et boves, che vogliono entrarci, migranti, profughi, asylanten e ora pure le bestiole. Si realizza così il grido che a suo tempo lanciò Laura Boldrini, già presidente della Camera dei Deputati, quando invitò l’Africa e il Medio Oriente a venire nella sicura, tenera e accogliente Italia.

La cosa è andata così: il soldato che aveva preso in carico la gatta Cleopatra aveva lanciato un appello all’Enpa (ente protezione animali italiano), immediatamente accolto. «Con il supporto del progetto "Rete Solidale" e dell'Unità di Intervento Nazionale, Carla Rocchi (presidente dell’Enpa, ndr) ha subito aperto il canale di collaborazione con Nowzad». Si sono aggiunti gli adottatori degli altri pets e, a spese del contribuente italico, è stato approntato il ponte aereo. «Il loro arrivo nello scalo romano ha posto fine ai tanti timori per la sorte di questi animali, che ora potranno vivere con i loro amati padroni, che tanto hanno lottato per poterli riavere vicino».

L’ex ministro  degli esteri, Franco Frattini, in un tweet ha così giubilato: «Onore sempre più grande ai nostri militari per questo gesto». Va pure detto che il «gesto» è stato possibile anche grazie alla non opposizione delle autorità afghane, alle quali, presumibilmente, dei cani e dei gatti randagi non può importare di meno; anzi, sono pure contente che qualcuno, a spese sue, se li porti via. Chissà che non venga loro in mente di appiopparci anche gli altri, che sicuramente da quelle parti non mancano. La mente corre, a questo punto, all’unico che non può entrare in Italia a ricevere asilo, cure e protezione. Naturalmente è un essere umano (per un cane medici e giudici britannici avrebbero fatto meno storie).

Un essere umano, per giunta, che è anche quanto di più indifeso e in pericolo ci possa essere: un bambino piccolo e malato, Alfie Evans. Triste morale di questi nostri tempi strampalati e infausti: un ponte aereo per i gatti è fattibile, e si fa, e non si bada a spese. Al povero Alfie, invece, viene negato pure l’assistente spirituale. Morale bis: meglio nascere cani in Afghanistan che cristiani a Liverpool.