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La sentenza

Matrimonio e trans, la Consulta va oltre la Cirinnà

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La Corte Costituzionale ha stabilito che qualora il membro di una coppia omosessuale unita civilmente “cambi” sesso e i due si vogliono sposare i diritti propri dell’unione civile persistono per 180 giorni. L’ennesima sentenza contraria alla realtà naturale.

Vita e bioetica 26_04_2024

L’art. 1, comma 27, della legge n. 76 del 2016 – detta legge Cirinnà – prevede che se un membro di una coppia sposata “cambia” sesso, il matrimonio si scioglie automaticamente come disciplinato dalla legislazione e, se la coppia lo vuole, si trasforma immediatamente in unione civile. Ma la legge Cirinnà non ha previsto il caso opposto: qualora il membro di una coppia omosessuale unita civilmente “cambi” sesso e i due si vogliono sposare, il matrimonio non prende il posto dell’unione civile in modo automatico.

La legge Cirinnà non lo aveva previsto e dunque ci ha pensato la Corte Costituzionale con la recente sentenza n. 66/2024 a metterci una toppa. Infatti nel comunicato stampa della Consulta si può leggere: «Nell’ipotesi in cui uno dei componenti di una unione civile proponga domanda di rettificazione anagrafica di attribuzione di sesso, e entrambi intendano proseguire la loro relazione trasformandola in matrimonio, i diritti della coppia non si estinguono nel periodo compreso tra la cessazione del vincolo pregresso e la celebrazione del matrimonio stesso». Dunque nessun matrimonio automatico, ma, tra la cessazione dell’unione civile e la celebrazione del matrimonio, i diritti propri dell’unione civile persistono per 180 giorni dall’avvenuta rettificazione sessuale. Insomma, formalmente cessa l’unione civile, ma sostanzialmente no.

Questo al fine di tutelare, secondo la Consulta, «il diritto inviolabile della persona alla propria identità, di cui pure il percorso di sessualità costituisce espressione. Non senza considerare, aggiunge la Corte, che, nel tempo necessario alla ricostituzione della coppia secondo la nuova forma legale, i componenti potrebbero essere colpiti da eventi destinati a precludere in modo irrimediabile la costituzione del nuovo vincolo».

Dal punto di vista morale quale giudizio dare a questa decisione? Primo: non ci dovrebbero essere le unioni civili perché non è moralmente lecito legittimare le relazioni omosessuali. Secondo, se si sciolgono le unioni civili non bisogna dare copertura giuridica ai membri della coppia omosessuale tutelando i “diritti” ad esse connesse finché la coppia non si “sposa”. Terzo: questa sentenza si fonda sulla possibilità già esistente che due persone dello stesso sesso, dove una abbia “cambiato” sesso all’anagrafe, si possano sposare. Insomma il “matrimonio” omosessuale già esiste, seppur camuffato da matrimonio etero con persona transessuale. Non un matrimonio omosessuale de iure, ma sicuramente de facto.

E qui si nota bene la divaricazione tra la realtà giuridica e la realtà naturale. In quella giuridica una persona può cambiare sesso e quindi contrarre matrimonio, che per il nostro ordinamento può esistere solo tra due persone anagraficamente di sesso opposto. Nella realtà naturale – l’unica esistente – una persona che “cambia” sesso rimane del suo sesso genetico, anche se sulla sua carta di identità al posto di Stefano c’è Stefania, e dunque mai potrebbe contrarre matrimonio con una persona dello stesso sesso. Il buon senso si è perso da tempo in questo labirinto di contraddizioni.



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