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POLITICA ESTERA ITALIANA

La missione in Niger è già a rischio (e Parigi sa perché)

La missione militare italiana in Niger potrebbe non partire mai. Perché il potente ministro degli Interni nigerino, Mohamed Bazoum (probabile futuro premier) ha rinnegato gli accordi presi dal suo governo con Roma. Dietro potrebbe esserci la pressione della Francia, che non vede di buon occhio la missione italiana.

Politica 14_03_2018
Il premier Gentiloni accoglie il presidente del Niger Mamadou Issoufou

Dei potenziali rischi connessi con la missione militare italiana in Niger ci eravamo occupati nel dicembre scorso ma sarebbe stato impensabile immaginare che l’operazione potesse venir messa in discussione ancor prima del suo inizio, proprio dal governo del paese africano.

Una situazione paradossale tenuto conto che prima di Natale il generale Antonio Maggi guidò un team di ricognizione a Niamey per preparare la missione prevista nell’accordo di cooperazione militare bilaterale siglato a Roma due mesi prima. Inoltre attualmente vi sono 40 militari italiani dislocati nella capitale nigerina, presso la base militare americana, per gestire gli aspetti logistici e tenere i rapporti con le autorità locali in vista dell’invio di un centinaio di istruttori che dovrebbero addestrare l’esercito locale.

L’atteggiamento del governo del paese africano appare però contraddittorio. In gennaio una fonte anonima aveva negato a Radio France Internationale l’esistenza di un accordo per l’invio di truppe italiane a Niamey. Il 9 marzo il ministro dell'Interno Mohamed Bazoum ha detto a Rainews 24 che non ci sono mai stati contatti per schierare soldati italiani in Niger affermando di aver appreso la notizia dai media. Il politico nigerino, considerato da molti il prossimo premier, ha precisato che è in atto “una verifica dei rapporti con i partner” che schierano truppe nel suo Paese, cioè Usa e Francia, escludendo altre missioni straniere. Affermazioni che lasciano interdetti anche perchè non spiegano per quale ragione il Niger abbia accolto i militari italiani del team inviato a dicembre e quelli presenti oggi in assenza di un accordio bilaterale in atto..

A complicare l’imbarazzante “affaire” nigerino ha poi provveduto lo stesso Bazoum aggiungendo che “se dovessimo avere una relazione militare con l’Italia sarebbe nel quadro di una missione di esperti che consenta di rafforzare le capacità del nostro esercito”. Cioè esattamente la  missione che Roma sta preparando: appena 140 uomini entro giugno che potrebbero salire in seguito a 250 con un picco di 470. “Mi sembra difficile – ha concluso Bazoum - che possiamo esprimere una necessità dell’ordine di 400 militari italiani come è stato annunciato dai media, non mi sembra proprio concepibile”.

In attesa dei necessari chiarimenti fonti del governo italiano hanno confermato che “la preparazione della missione prosegue come previsto, in base agli accordi bilaterali” specificando che “al momento non c'è stata alcuna comunicazione di un ripensamento”. "Il primo modulo addestrativo di un centinaio di uomini è previsto che raggiunga il Niger a giugno” – aggiungono a Roma sottolineando che “noi siamo pronti ma per schierare i militari sul campo aspettiamo ovviamente il via libera del governo nigerino".

Ma cosa vuole davvero il Niger, paese a cui abbiamo donato 100 milioni di euro di aiuti economici e per la sicurezza? Probabile che dietro il contraddittorio atteggiamento del ministro Bazoum pesi l’opposizione di ampi ambienti politici e sociali nigerini alla crescente presenza militare straniera nel paese del Sahel dove il business dell’immigrazione illegale ha ricadute importanti non solo per i gruppi malavitosi. Non si può inoltre escludere che dietro ai “capricci” di Niamey ci sia lo zampino di Parigi, poco entusiasta per l’arrivo dei militari italiani in una regione sotto la diretta influenza francese. In più il nostro contingente sarà dislocato accanto alla base statunitense, quindi indipendente dalle truppe francesi dell’Operation Barkhane che combatte i jihadisti nel Sahel. La Francia aveva fatto sapere di apprezzare l’impegno militare italiano in Niger, ma chiedeva che i nostri militari combattessero i jihadisti e che di conseguenza fossero posti sotto il comando francese. Non mancano quindi le ragioni che spieghino il tentativo francese di sgambettare la missione di Roma che paga anche la rinuncia ad affidare ruoli di combattimento ai militari contribuendo a rendere anche questa missione italiana marginale per i nigerini come per francesi e statunitensi che già da anni curano la formazione delle truppe di Niamey. Può darsi che Parigi intenda mettere in imbarazzo l’Italia auspicando che il prossimo governo italiano rinunci alla missione in Niger o, al contrario, autorizzi l’impiego di forze da combattimento poste sotto comando francese.

In ogni caso è sempre più difficile continuare a considerare la Francia un partner e alleato dell’Italia, specie dopo quanto avvenuto negli ultimi anni e soprattutto in Libia a partire dalla guerra del 2011.