La crisi della famiglia mina il futuro delle paritarie
Il numero delle scuole paritarie è diminuito di 415 unità: colpa della crisi economica cui si è aggiunta la crisi demografica. Nonostante provvedimenti timidi, ma ancora insufficienti il calo è anche l’effetto di una accelerata disgregazione della famiglia: più convivenze, più separazioni e divorzi, sempre meno ragioni per fare fatica.
Il Ministero dell’Istruzione ha pubblicato in questi giorni il Focus “Anticipazione sui principali dati della scuola statale” relativamente all’a.s. 2017/18, contenente anche i principali dati sulla scuola paritaria per l’a.s. 2016/17.
Ebbene, rispetto al 2015-16 il numero delle scuole paritarie è diminuito di 415 unità, per un decremento complessivo del 3,2%, mentre nello stesso periodo le scuole statali sono aumentate di 92 unità.
In questi ultimi anni, mediamente, ad ogni rilevazione si scopre che hanno chiuso più di 200 scuole paritarie. Purtroppo non si tratta di accorpamenti per realizzare istituti comprensivi, ma di un vero e proprio abbandono da parte delle famiglie. Anche il numero degli alunni, infatti, è passato da quasi un milione e centomila dell’anno 2010 a poco più dei 900mila attuali. Solo l'istruzione parentale, nonostante raccolga nel nostro paese numeri ancora esigui (un migliaio di famiglie) rispetto alle realtà anglosassoni, si rivela in forte crescita.
Il calo ha avuto il suo inizio, dopo anni di progressiva crescita delle iscrizioni e del numero di sedi scolastiche, da quando la crisi economica ha cominciato a pesare anche sulle rette scolastiche delle famiglie, dirottando la scelta di queste ultime verso la scuola statale dove i costi sono praticamente inesistenti.
Negli ultimi anni, alla crisi economica si è aggiunta la crisi demografica con un significativo calo delle nascite, che ha già interessato i primi segmenti del sistema scolastico (scuola dell’infanzia e classi iniziali della primaria), con effetti negativi più marcati sulla paritaria che sulla statale, rimpolpata ampiamente dalla immigrazione.
A crisi economica e denatalità si accompagnano poi, ultimamente, anche le difficoltà di stabilizzazione degli insegnanti che, soprattutto per effetto delle massicce immissioni in ruolo effettuate con la legge della cosiddetta “Buona Scuola”, si sono sentiti attratti dalla prospettiva di un posto più stabile e remunerato, per quanto, molto probabilmente, meno soddisfacente sotto il profilo professionale, dato il peso asfissiante della burocrazia esistente nella scuola statale.
Questi fattori potrebbero apparire esaurienti per giustificare quanto sta accadendo al sistema delle scuole non statali paritarie, eppure c’è dell’altro.
È vero infatti che crisi economica, denatalità etc… hanno pesato e pesano tuttora (anche se il Governo dice che c’è la ripresa…), però è altrettanto vero che a livello governativo sono stati approvati provvedimenti a sostegno delle scuole paritarie e delle famiglie che le scelgono. Provvedimenti ancora modesti e sicuramente insufficienti, tuttavia rivelatori di una svolta verso una vera parità che anche nel nostro Paese potrebbe iniziare ad attuarsi.
Dal punto di vista sociale, poi, si registra una minore animosità complessiva, nonostante circolino – soprattutto da parte di addetti ai lavori ipersindacalizzati e ideologicamente irriducibili - le solite leggende metropolitane, secondo cui il sistema privato sarebbe avvantaggiato dalle macroscopiche criticità del sistema statale e che le riforme della “Buona Scuola” sarebbero a vantaggio delle scuole paritarie con fuga di iscritti dalle statali.
In ultimo, si è cominciato a ragionare un po’ più sistematicamente sulla possibilità di applicare anche alla scuola, come già accade nella sanità, il costo standard, che potrebbe davvero rendere più giusto, equilibrato ed economicamente efficiente tutto il sistema di istruzione italiano.
Non manca qualche aspetto positivo, insomma, che dovrebbe giocare a favore delle iscrizioni alle paritarie, o quantomeno bilanciare almeno in parte gli effetti dei fattori negativi. Invece, molte scuole paritarie lottano per la sopravvivenza, col risultato che se non ce la facessero si riverserebbero sul sistema statale ingenti costi, che richiederebbero o improbabili maggiori investimenti sull’istruzione, o la ripartizione delle risorse disponibili –già considerati insufficienti- tra un maggior numero di “teste”
Questo calo è anche l’effetto di una accelerata disgregazione della famiglia: più convivenze (instabili per scelta), più separazioni e divorzi, sempre meno ragioni per fare fatica. La famiglia, insomma, quella che decideva di fare una scelta “controcorrente”, fonte di sacrifici e di rinunce per la cura dei figli, che appaiono ragionevoli soltanto in un’ottica di stabilità, c’è sempre meno. E a molte di quelle che resistono, forse, l’educazione non interessa più come una volta, anche perché si capisce sempre meno cosa sia davvero l’educazione: perché mandare i figli alle paritarie, utilizzando risorse che possono essere usate altrimenti, quando all’istruzione ci pensa lo Stato? Perché fare sacrifici (in una cultura diffusa che aborrisce il sacrificio) quando posso avere gratis quel pezzo di carta che permette di andare avanti nel percorso della vita? Le motivazioni e le condizioni affettive, insomma, vengono meno.
Qualche decennio fa (1999), senza legge di parità scolastica, senza contributi dallo Stato, in un clima sociale assolutamente contrario alle scuole “private” e ancor più alle cosiddette scuole “dei preti”, centinaia di migliaia di persone - studenti, insegnanti e genitori delle scuole cattoliche - andarono in piazza san Pietro a gridare “libertà-libertà!”. E tantissime famiglie si rimboccarono le maniche per far nascere e crescere scuole libere, convinte che la libertà di educazione (come ci ha insegnato la Chiesa e come recita persino la nostra Costituzione repubblicana) sia un bene primario da difendere ad ogni costo.
Oggi, forse, non è più così. La parità pare essere questione per addetti ai lavori e per i politici che ancora ci credono e l’uomo della strada se ne interessa sempre meno. Mentre le famiglie, quelle che sopravvivono all’onda d’urto del relativismo e del nichilismo edonista, si trovano sempre più isolate e in difficoltà, anche dal punto di vista culturale. Del resto, perché preferire una scuola con una identità ben connotata, quando tutto mi dice che ogni ideale, ogni credo, ogni certezza, è solo fonte di scontri e costruisce muri? Molto meglio, forse, dormire sonni tranquilli tra le braccia di mamma-Stato.
Non vuole essere, questo, un discorso di resa, perché non bisogna assolutamente rinunciare a lottare per una piena parità e autonomia di tutto il sistema scolastico. Il timore, tuttavia, è che senza il riconoscimento del valore insostituibile della famiglia per il bene delle nuove generazioni e della società e, conseguentemente, senza politiche che la sostengano efficacemente, non si andrà lontano. In nessun campo.