Insulti a Finkielkraut: chi sono i nuovi antisemiti
“Ho sentito un odio assoluto e, sfortunatamente, non è la prima volta”. Lo ha detto il filosofo francese Alain Finkielkraut, dopo che è stato pesantemente insultato da un gruppo di gilet gialli, sabato scorso, a Parigi. Non gilet gialli nazionalisti, ma un gruppo di gente delle banlieue, guidato da un radicale islamico.
JIHAD DALLA SIRIA ALLA SARDEGNA di Souad Sbai
“Ho sentito un odio assoluto e, sfortunatamente, non è la prima volta”. Lo ha detto il filosofo francese Alain Finkielkraut, dopo che è stato pesantemente insultato da un gruppo di gilet gialli, sabato scorso, a Parigi. L’episodio è rivelatore di tanti aspetti della Francia contemporanea. Non si può liquidare come puro e classico “antisemitismo”, è qualcosa di più.
Antisemiti erano gli insulti rivolti al filosofo, ora noto anche per le sue posizioni vicine ai gilet gialli, sin dall’origine del movimento. Per questo è stato ancor più sconcertante, per lui e per gli spettatori, assistere alla sua cacciata dal corteo a suon di insulti come: "Sporco ebreo", "sporco sionista", "la Francia è dei francesi", "Palestina" e "il popolo ti punirà", “Torna a Tel Aviv”, “noi siamo il popolo”, “Dio ti punirà”. Finkielkraut non ha mai goduto di buona stampa in Francia. In primo luogo, perché denuncia il razzismo degli antirazzisti. Dunque ritiene che, nel nome dell’antirazzismo, si stia sdoganando anche il peggio dell’ideologia anti-occidentale e anti-cristiana, il peggio dell’ideologia islamica, incluso l’odio per gli ebrei. Si è opposto con fermezza alla società multiculturale. Si è schierato contro le élite, specie adesso che si sono consolidate attorno alla figura di un presidente tecnocratico quale è Emmanuel Macron. Finkielkraut è stato definito “razzista” e “islamofobo” dalla stampa di estrema sinistra. Ora che viene aggredito dai gilet gialli, è apparentemente vittima di un episodio di fuoco amico. La stampa francese, il governo e lo stesso presidente, condannando quanto avvenuto, per la prima volta paiono essersi ricordati che Finkielkraut è anche ebreo ed è figlio di polacchi fuggiti alla Shoah, dunque può essere vittima di razzismo. Siccome i gilet gialli sono stigmatizzati come movimento razzista, di estrema destra e antisemita, il caso Finkielkraut capita come una prova di quel che gran parte della stampa dice da mesi.
Il fatto è che, fra i gilet gialli, si mescola di tutto, dai black block (anarchici di estrema sinistra), ai nazionalisti di estrema destra, passando per gli indipendentisti bretoni e tanta gente delle banlieue che coglie l’occasione delle marce di protesta per commettere atti di puro vandalismo. Gli antisemiti non mancano, come si deduce da alcuni dei siti e delle pagine Facebook sorte attorno al movimento, in cui si ripropongono gli stereotipi tipici dell’antisemitismo. E anche a giudicare da scritte antisemite sui muri (o sulle vetrine delle panetterie) comparse al seguito delle manifestazioni. Chi erano, però, i gilet gialli che hanno aggredito Finkielkraut? “Era un gruppo di persone politicamente difficili da identificare – dice lo stesso filosofo aggredito a Le Parisien - un misto di gente delle banlieue, estrema sinistra e forse anche soraliani (seguaci di Alain Soral, ideologo rosso-bruno dell’antisionismo, ndr)”. “Mi sorprenderebbe se si trattasse di gilet gialli delle origini perché sono uno dei pochi intellettuali ad aver sostenuto il movimento all'inizio, sottolineando che c'è stata una grande incomprensione nei confronti di questa Francia disprezzata”. Alla Tv Lci spiega anche: “C'è una forte sensazione di ostilità nei confronti degli ebrei. Hanno preso di mira soprattutto le mie posizioni su Israele. Ce n’è uno con la barba che mi dice ‘Dio ti punirà’, è retorica islamista”. L’uomo la barba corta è già stato identificato dalla polizia, secondo Le Parisien: è un trentenne, noto come Benjamin W, o con il nomignolo di “Soleyman”, padre algerino e madre francese, militante nell’associazione pro-palestinese di Mulhouse. Non è una “fiche S”, dunque non è un sorvegliato speciale per radicalizzazione e potenziale terrorismo, ma frequenta ambienti radicali islamici almeno dal 2014. Secondo il quotidiano Le Point è un giovane francese di Mulhouse, convertito all’islam e frequentatore di una moschea di Milli Gorus, il movimento islamico turco vicino ai Fratelli Musulmani.
L’episodio, alla luce di questo dettaglio importante, appare in modo completamente differente da come è stato inizialmente descritto e commentato. Non abbiamo un intellettuale ebreo aggredito da un gruppo di estrema destra, bensì un filosofo che si oppone al multiculturalismo che viene aggredito da islamici radicali e gente delle banlieue. Dunque la dimostrazione pratica che Finkielkraut ha ragione.
Lo stesso filosofo controcorrente e nemico delle élite, alla vigilia dell’aggressione diceva a Le Figaro: «Gli atti di antisemitismo sono aumentati del 74% nel 2018. Se non fossero stati visti certi elementi dei gilet gialli fare il gesto della “quenelle” (il saluto ideato dal comico Dieudonné M’bala M’bala per identificarsi come anti-semiti, ndr) o altri associare i nomi di Macron e di Rothschild, (…) queste cifre sarebbero probabilmente passate inosservate. (…) Ma non è colpa dei gilet gialli se la Francia conosce oggi quella che Édouard Philippe ha definito una “alià interna” (emigrazione ebraica verso Israele, ndr). Gli ebrei francesi lasciano in numero sempre maggiore i comuni di banlieue dove la loro vita diventa infernale per trasferirsi in certi quartieri di Parigi (...). Un antisemitismo venuto dal Maghreb, dalla Turchia, dal Medio Oriente, dall’Africa e dalle Antille si impianta in Francia, e ne avremo per tanto tempo».