Il problema è teologico: i vescovi non stanno col popolo
I vescovi fanno politica a senso unico come dimostra l'intervista di Rep a Bassetti (CEI), che ha usato in chiave politica il Papa: solo interventi sui migranti e nessuno sui pride Lgbt sposati dal Pd. Il bipolarismo ora è tra masse ed élite. E la Chiesa ha scelto di stare con le seconde. Sono i frutti della nuova teologia, in cui il cristianesimo si esprime in forme politiche: migranti come pellegrini e un magistero di problemi sociali e non spirituali.
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L’osservatore, anche distratto, nota che i vescovi italiani fanno politica e la fanno a senso unico. Lo avevamo riscontrato durante la campagna elettorale per le elezioni europee e lo abbiamo nuovamente sperimentato in occasione della recente tornata amministrativa conclusasi con i ballottaggi di domenica scorsa.
La cosa è molto evidente. Prendiamo due argomenti politici di attualità come la disciplina degli ingressi degli immigrati e il riconoscimento dei diritti LGBT. Il primo punto è espressivo della politica della Lega, il secondo è portato avanti soprattutto dal Partito Democratico, tanto che il segretario Zingaretti ha subito aderito al “mese del pride”, durante il quale si sono tenuti cortei in molte città italiane.
Ora, nel periodo delle elezioni amministrative, i vescovi sono intervenuti in gran numero e con grande forza sul primo tema, mentre non sono intervenuti per niente sul secondo. Si può pensare che, così facendo, fossero ignari della ricaduta politica dei loro interventi? I vescovi del Lazio hanno fatto leggere in tutte le chiese, durante le sante Messe domenicali, un lungo documento nel quale contestavano direttamente la politica del governo in carica sulle immigrazioni. Sullo svolgimento dei gay pride non è stata detta nessuna parola. Durante questi pride non si sono viste solo oscenità e strumentalizzazioni di bambini, ma anche si è assistito a bestemmie, a orrendi scimmiottamenti delle preghiere cristiane, a profanazioni e a insulti alla Madonna. Inoltre sfilavano gruppi di “Cristiani LGBT in cammino” senza che qualche precisazione ecclesiastica qualificasse la cosa.
A ridosso della domenica del ballottaggio, poi, Repubblica ha pubblicato una lunga intervista al presidente della CEI, il cardinale Gualtiero Bassetti. Centro culminante dell’intervista è stata la frase: “La Lega non riuscirà a dividere il popolo italiano dal Papa”, con la quale anche il Papa è stato politicizzato. Ma perché, ci si chiede, gli unici due argomenti adoperati dall’episcopato sono sempre l’accoglienza indiscriminata degli immigrati e il rosario agitato in piazza da Salvini?
In Italia non c’è un bipolarismo chiaramente politico, ma se ne sta profilando un altro di tipo valoriale: da una parte le élite borghesi, i fautori dei nuovi diritti compresa l’eutanasia, i sostenitori di un europeismo ad oltranza, i globalisti contrari alle nazioni e ai popoli, i paggi del pensiero unico. Dall’altra le classi popolari, chi respinge il disordine dei nuovi diritti e difende vita e famiglia, i critici di un’Europa oppressiva, i difensori dei popoli contro la società globale spersonalizzata. Da tempo i vescovi ci danno continue prove che stanno da una parte, la prima.
Fin qui la constatazione dei fatti. Proviamo ora a chiederci perché questo avvenga. Quando un atteggiamento è sistematicamente ripetuto, come in questo caso, significa che esso risponde ad una forma mentis consolidata e non a cause accidentali. Qualcuno sostiene che sotto potrebbero anche esserci degli interessi materiali. Potrà essere o non essere, ma a mio avviso i motivi fondamentali sono teologici.
È da molto tempo che la nuova teologia sostiene che il cristianesimo deve esprimersi in forme politiche e con linguaggio politico. Nella “società secolare” di Harvey Fox, un linguaggio religioso – si diceva già negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso – sarebbe incomprensibile. Ecco perché il teologo tedesco J.B. Metz parlava di “teologia politica” come del linguaggio – secolare e politico appunto – del cristianesimo nel mondo diventato adulto e non più cristiano. Di recente è stato detto che coloro che emigrano per trovare lavoro all’estero sono i “moderni pellegrini”: ecco un esempio di un linguaggio profano al posto di uno religioso a proposito del pellegrinaggio. Da tempo molti osservano – e lamentano – che il magistero si occupa più dei problemi sociali che di quelli spirituali.
Ecco perché i vescovi fanno politica, perché lo dice da decenni la nuova teologia che tutti loro hanno studiato in seminario. Rimane da spiegare perché la facciano a senso unico, con particolare riguardo alle ideologie che secolarizzano, demitizzano, denaturalizzano il cristianesimo e che più spingono per il relativismo, l’individualismo, il narcisismo. Sembra un mistero che lascia stupefatti, ma non lo è. Se la Chiesa deve adoperare il linguaggio politico del mondo, come segnalava ieri il direttore Cascioli, e non più il proprio linguaggio religioso, deve continuamente aggiornarlo e adeguarlo ai cambiamenti cui il mondo è soggetto. La cosa assolutamente da evitare è adoperare un linguaggio di contrapposizione al mondo, come per esempio estrarre un rosario in piazza. Diventa invece opportuno e doveroso fare i progressisti, accogliere e accompagnare le novità, per non rimanere indietro.
Che l’atteggiamento sia ideologico è testimoniato dal fatto che viene mantenuto anche quando, attuandolo, si perdono le elezioni, cioè quando il mondo lo rifiuta.