Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Sant’Espedito a cura di Ermes Dovico
IL TRAPPER DEL MOMENTO

Il giovanilismo degli adulti che si meritano Achille Lauro

Anche Famiglia Cristiana in ginocchio da Achille Lauro, il nuovo fenomeno trap. Ha fatto il pusher? Che importa? Importante è presentare una redenzione fasulla grazie alla musica. E non disturbare il mondo degli adulti che non si è accorto della bomba atomica esplosa in faccia di fronte ai nostri figli. 

Editoriali 09_02_2019

Se vincerà o no il 69 esimo Festival di Sanremo in fondo non gli importerà granché. Achille Lauro ha già raggiunto il suo obiettivo: diventare famoso, e quindi ricco propagando il sacro verbo della musica trap che tanto piace ai giovani e che oggi gli adulti stanno scoprendo con quel misto di giovanilismo compiaciuto. Una star, finalmente, penserà di se stesso. Niente di più facile. E la grancassa mediatica che da ieri si è abbattuta su di lui non farà altro che alimentarne l’autorevolezza e il conto in banca.

Già ha pubblicato un libro per Rizzoli chiamato “Sono io Amleto”. Chissà se conosce il destino tragico del principe di Danimarca dato che in un’intervista ha ammesso, quasi vantandosene, di non aver studiato. Al secolo Lauro De Marinis, Achille Lauro oggi dispensa interviste dal palco di Sanremo con un passato da pusher in una vita ai margini che la musica, come in una favola moderna, ha riscattato. Eppure non è tutto oro quello che luccica, neppure l’oro del lusso che ostentatamente esibisce come tutti gli altri trapper di giro. La sua canzone si chiama Rolls Royce ed è un inno al lusso finalmente conquistato con i guadagni ottenuti facendosi conoscere anzitutto dai 13enni che lo hanno scaricato milioni e milioni di volte su Youtube.

Però in fondo è un prodotto commerciale, esattamente come quelli che giocavano a fare la rivoluzione e poi si ritrovarono con un posto in banca (cit. Venditti). Adesso si parla del fatto che la sua canzone è un inno nascosto all’ecstasy. Possibile? Perché no? Lui nega, ma Striscia la notizia che lo ha smascherato lo inchioda. La Rolls Royce infatti è detta anche Spirit of ecstasy (è la vittoria alata che svetta sul cofano dell’auto lussuosa per eccellenza). Ebbene, come mostrano le cronache Spirit of Ecstasy è un tipo di allucinogeno a base di mdma che è stato recentemente sequestrato in un’operazione di polizia. Droga, insomma. Come droga è il comune denominatore, assieme alla musica, dei divi citati nella sua canzone: da Jim Morrison a Hendrix, da Billie Joe a Amy Whinehouse etc...

La stessa droga che Achille Lauro racconta di aver venduto in passato (ha appena 28 anni!) facendolo diventare ricco. “Entrai in contatto con famiglie criminali. Compravo chili di droga che facevo vendere a una squadra di spacciatori che avevo creato. Divenni ricco, avevo una bella vasca idromassaggio”, racconta nelle interviste.  Uno spacciatore, dunque. A proposito, avrà mai pagato per quei reati? Sembra che si sia fatto qualche mese, ma il casellario giudiziale non viene fornito nelle schede artisti in Riviera. 

Niente male. Ma in fondo nulla di nuovo sotto il sole, anche il fatto che la Rai, attraverso Sanremo lo spinga così, giocando sull’ambiguità della canzone, che, sempre perché niente di nuovo è sotto il sole, abbiamo già visto all’opera tante volte a cominciare da Lucy in the Sky with diamond dei Beatles (LSD).

Adesso i giornali fanno la gara a intervistarlo e a questo rito non si è sottratta neppure Famiglia Cristiana. Proprio il settimanale dei Paolini lo mette in copertina nel numero appena uscito assieme agli altri trapper che ascoltano i nostri figli. E che dice? Ecco il titolo: “Dormivo in auto, ora canto all’Ariston”. Un cenerentolo finalmente riscattato. Il testo dell’intervista è un insieme di banalità e di non detti che fa paura. “La musica mi ha salvato”, “La cosa peggiore non è la droga, è il non sapere che cosa fare della propria vita”, “mia madre ci leggeva il Vangelo, poi crescendo si cambia”.

Emerge nel corso dell’intervista col settimanale cattolico (sic!) un passaggio erroneo: “Siamo giovani e usiamo lo stesso linguaggio di chi ci ascolta”. Sbagliato. Semmai sono i giovani che imparano a parlare ascoltando certi idoli. Nessun 13enne si sognerebbe il lusso, il sesso sfrenato e orgiastico, il potere e soprattutto soldi a palate se non ci fosse qualcuno che con le sue parole, il suo stile e la sua musica non lo imbeccasse a forza come un'oca d'allevamento. 

Ma soprattutto manca nelle pagine e in quelle successive del servizio in cui si analizzano gli altri fenomeni trap del momento (Sfera Ebbasta, Ghali, Salmo etc…) un giudizio fermo sul messaggio che certi cantati-si-fa-per-dire veicolano. Eppure, basta leggere i testi delle canzoni per comprenderlo, ma Famiglia Cristiana si è fermata solo a quelle poche frasi senza parolacce. In un pretesco e un po’ bigotto giovanilismo compiaciuto che non è in grado di dare ai genitori uno strumento soddisfacente per comprendere che cosa ascoltano i loro figli. Ascoltano porcherie. Porcherie del tipo, e qui siamo a Salmo, “dopo scopiamo, tu vieni sei volte. Cazzo diranno i vicini di me?”

Invece, dal taglio del settimanale cattolico questa ossessiva e malvagia sete di sesso, soldi, droga e potere non emerge. Si presenta come tutto sommato positivo un personaggio che ha fatto lo spacciatore e che ora grazie alla musica sembra redento. Redento da che cosa? Cosa offre in cambio per avere l'attenzione dei nostri figli? Quale redenzione ci potrà mai essere in un cantante che si presenta da ex spacciatore come se si trattasse di un passo naturale della gavetta? Come se fosse un rider di Foodora che dopo tanti sacrifci ce l'ha fatta. Di questo un giornale cattolico dovrebbe interrogarsi invece di cadere nella trappola del conformismo redentivo a prezzi di saldo.

Ci si ferma al fenomeno sociale, limitandosi al fatto che in fondo i genitori ascoltavano Vasco Rossi e i nonni i Rolling Stones. Peccato che nel frattempo sia completamente venuto meno il filtro della trasgressione che almeno faceva comprendere che di fronte a certi messaggi si entrava in un luogo proibito. Invece oggi quel limite del proibito non c’è più: tutto è fagocitato da un demone che ottenebra. E marchette discografiche come quelle del settimanale dei Paolini non fanno altro che confermare che il problema non è Achille Lauro, ma il mondo degli adulti che non si è accorto di quanto questi trogloditi musicanti stiano facendo male ai nostri figli.

Il problema non è quello che farà d'ora in avanti Achille Lauro: avrà la sua carriera di eccessi ritagliandosi un angolino nel comodo salotto dei cantanti dal cuore ribelle e dal portafoglio pieno. E' un percorso protetto di trasgressione istituzionalizzata. Il problema era prima, quando noi adulti non lo conoscevamo, ma nel frattempo i nostri figli lo ascoltavano al riparo dei loro smartophone dandogli loro stessi con i loro "innocui" "mi piace" la golden share diretta per il palco dell'Ariston.