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CILE

Festa Matria, il delirio gender alla prova del dizionario

E’ lo Zingarelli il vero nemico della teoria del gender. In Cile la Festa Patria diventa ache Matria in ossequio al delirio gender. Ma la rete si ribella e il ministero cancella lo slogan. Per eccesso di idiozia. 

Editoriali 23_09_2017

E’ lo Zingarelli il vero nemico della teoria del gender. E insieme a lui il Devoto-Oli, il Battaglia, il Garzanti e il De Mauro. Tutti a tramare a danno dei filo-gender che vorrebbero i maschi femmine e viceversa e se possibile tutti contemporaneamente maschi e femmine, ma anche sessualmente e grammaticalmente neutri. Ed invece apri uno di questi dizionari e scopri che il melo è diverso dalla mela, come il porto dalla porta e il pezzo dalla pezza.

Ma i devoti del sesso liquido liquidano anche la lingua che con le sue regole rimanda a quelle di madre natura  e di Dio padre (la prima femmina e il secondo maschio guarda un po’). E così in Cile il Ministero della donna e della parità di genere – tanto pari non è dato che non è previsto un ministero pure per i portatori di cromosomi XY – si è inventata la Festa Patriottica e Matriottica. Anzi, in ossequio all’etichetta egualitaria, la Fiesta è (prima ) Matria y (poi) Patria.

Il deliquio genderistico nasce dalla festa di indipendenza del Cile dalla Spagna, celebrata ogni 18 settembre. In occasione di tale festività il Servizio Nazionale per la Donna e la Parità di genere si è impegnato a promuovere una campagna per la condivisione tra uomini e donne delle faccende domestiche. La spartizione delle mansioni domestiche tra uomini e donne c’entra con la battaglia indipendentista cilena di Chacabuco del 1817 come Kim Jong Un e la lotta al nucleare. Ma son quisquilie.

Dunque in occasione di questa iniziativa egualitaria il Ministero di cui sopra ha pubblicamente fatto gli auguri per la Festa Matriottica e Patriottica. In breve al governo di Michelle Bachelet non bastava che anche in spagnolo il termine “patria” si colori di rosa e che quindi abbia femminilizzato il lemma “padre” da cui deriva. Più correttamente “patria” è femminile perché significa “la terra dei padri”. Questo è machismo, avranno pensato i genderologi di Santiago del Cile, monopolio maschilista sulla nazione. E le madri dove le mettiamo? A casa, chine sul pavimento a pulire? Pure loro avranno avuto un ruolo nel far nascere la gloriosa nazione cilena, no? Occorreva dunque riscattarle ed emanciparle. Ecco allora il nuovo grido di liberazione femminile: “W la Patria! W la Matria!”. Ma se la Patria tutti sanno cosa è, difficile invece dire cosa sia la Matria. Forse dietro al neologismo da camicia di forza si cela questa sofisticata argomentazione storica-antropo-sociologica. La nazione è una, ma è formata da maschi e femmine. Se prendiamo la nazione come formata da soli uomini, parliamo di “patria”, se la intendiamo composta da sole donne meglio usare il termine “matria”.

Però per spirito di non discriminazione semantica sarebbe doveroso applicare questo stesso ragionamento anche ad altre aree linguistiche. A scuola “la classe” è sostantivo femminile, ma se fosse mista avremmo anche ragione nel chiamarla “il classo”. Analogamente avremmo il gregge e la greggia, la banda e il bando, la folla e il folle (quanto mai appropriato in simile contesto), lo stormo e la storma, la mandria e il mandrio, lo sciame e la sciama, la squadra e lo squadro, l’esercito e l’esercita (da non confondersi con il verbo “esercitare” alla terza persona singolare dell’indicativo presente). Pure il clero – viste le spinte attuali in casa cattolica per aprire il sacerdozio alle donne– potrebbe diventare la clera. In breve tutti i nomi collettivi avrebbero un loro clone del sesso opposto e ciascuno di noi si troverebbe a parlare come un extracomunitario da pochi mesi in Italia.

Il Ministero della donna e pari opportunità ha ritirato gli auguri per la Festa della Matria per eccesso di idiozia (il sostantivo è femminile ma, state tranquilli, si applica benissimo anche ai maschietti), idiozia rilevata agevolmente da una moltitudine di cittadini cileni sui social.

Ma non si abbatta il governo cileno né la governa cilena: l’indipendenza appena festeggiata porta un bel nome di donna e nessuno si sognerebbe mai di sottoporla ad un processo di rettificazione sessual-grammaticale per far piacere agli ometti.