Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
PARLA LEONARD

Eutanasia, disabili e aborto: ipocrisia sugli “imperfetti“

«L’ipocrisia e la sfacciataggine sono il pane quotidiano del nostro tempo. Diciamo di voler abbattere le barriere architettoniche perché i disabili vanno tutelati, ma incentiviamo le diagnosi pre natale per eliminare feti malformati. Incongruenze che si riscontano anche nell'eutanasia e nell'aborto. E di fronte alle quali la Chiesa è troppo timida». Parla il vescovo-coraggio Leonard. 

Attualità 13_05_2018
Il vescovo Leonard bacia la statuetta della Madonna dopo l'aggressione di cui fu vittima

“Resto profondamente perplesso, ogni anno, in occasione delle belle campagne in favore delle persone portatrici di handicap. Quest’anno lo slogan diceva: siamo diversi, ma siamo tutti insieme. E’ uno slogan molto bello. Le persone disabili sono diverse da noi, eppure noi viviamo con loro, siamo solidali con loro. Ma nello stesso tempo, il messaggio che si trasmette nella diffusione della diagnostica prenatale – con la decisione, se c’è un rischio di anomalia o di trisomia, di far sparire il feto potenzialmente portatore di handicap – è uno schiaffo verso gli adulti disabili, ai quali si dice: siamo con voi, ma se il vostro handicap fosse stato diagnosticato abbastanza presto, voi non sareste qui, proprio per il fatto che siete diversi”. Così Mons. André-Joseph Léonard nel suo libro Un évêque dans le siecle, di recente tradotto in italiano per Cantagalli, con il titolo Dio è morto? Un vescovo del nostro tempo in dialogo con Drieu Godefridi

L’ipocrisia e la sfacciataggine sono il pane quotidiano del nostro tempo, a tutti i livelli e in tutti gli ambiti e quando si sente un Vescovo denunciarlo con limpidezza ci si sente rincuorati. Fece lo stesso ragionamento la signora Viviane, madre di Vincent Lambert, tetraplegico quarantaduenne, più volte condannato a morire di fame dai medici dell’ospedale di Reims, dove è ricoverato, ed ora in attesa di una sentenza del Tribunale Amministrativo di Châlone-en-Champagne, che deciderà della sua vita o della sua morte. Nella sua lettera aperta al presidente francese Macron scrisse: «Caro presidente, lei interviene ad un incontro di sensibilizzazione in favore delle persone portatrici di handicap, ma poi non fa nulla per fermare chi decide di condannare a morte dei disabili, solo perché si ritiene che non potranno migliorare. Il pastore e le pecore parlano la stessa lingua: quella della verità».

Ogni anno, dal 1981, il 3 dicembre è la Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità, giornata celebrata da tutto il mondo “civile e progredito”, quello stesso mondo che però mette a morte quanti potrebbero venire alla luce come disabili e che parimenti condanna bambini, adulti e anziani ritenuti più disabili degli altri disabili, con i quali invece si fanno incontri per parlare di altro: abbattimento delle barriere architettoniche, integrazione scolastica, integrazione lavorativa (ma anche di utilizzo sostenibile del mare e della terra e di lotta al cambiamento climatico...). Tutte cose buone e giuste, per carità; ma se una struttura pubblica è accessibile solo salendo tre gradini, si scatena un putiferio e scatta la caccia al responsabile insensibile, mentre invece se qualcuno smembra pezzo pezzo un bimbo probabilmente disabile nel grembo della propria madre, oppure lo fa morire “medicalmente assistito” di fame, di sete o soffocato, seguendo per benino i protocolli, allora si tratta di progresso, di tutela della dignità umana. Anzi, boia chi si oppone. 

L’eliminazione degli imperfetti nel grembo materno segue la stessa logica dell’eliminazione degli imperfetti già nati: un logica perfezionista, utilitarista, in ultima analisi arrogante, perfettamente coerente in se stessa, ma chiaramente in contraddizione con la realtà umana. Tant’è che poi occorre mentire sistematicamente, ammantarsi e persuadere con parole dolci come il miele, ma velenose come l’arsenico. A partire dalla tanto decantata dignità umana. E’ la storia di Alfie, di Charlie e di tanti altri cui non è stato dato nemmeno il tempo di avere un nome.

“Nella logica dell’aborto c’è un’incoerenza”, continua Mons. Léonard. “Come si può rispettare una persona, se non la si rispetta, anzitutto, quand’ella si trova nello stato di piccolo embrione, di piccolo feto nel grembo materno? E’ impossibile rispettare un adulto se non si è rispettato un adulto in potenza”. L’Arcivescovo emerito di Bruxelles-Malines fa notare che il sostegno (o l’indifferenza, che è una forma di sostegno) a politiche favorevoli all’aborto riposa in fondo sul fatto che l’aborto non ci tocca direttamente: “In un dibattito che ho avuto tempo fa, nel 1970, con il dottor Peers, che fu uno dei grandi propagandisti dell’aborto, ho proposto un ragionamento sotto forma di finzione, perché a volte le finzioni risultano illuminanti. Dissi: supponiamo che la legge che depenalizza l’aborto abbia effetti retroattivi. Un parlamentare che debba votare una tale legge, se questa ha degli effetti retroattivi, avrebbe qualche esitazione a premere il tasto per votare… Il problema di una legge sull’aborto è che non riguarda mai coloro che la votano, ma unicamente altri. E’ un voto di comodo, perché non sono io ad essere direttamente coinvolto”. E’ talmente vero, che quando un manifesto mostra e afferma l’ovvio – e cioè che anche noi siamo stati un embrione e che siamo nati grazie al fatto che non siamo stati uccisi nel grembo delle nostre madri -, dev’essere rimosso con urgenza, prima che qualcuno inizi a ragionare retroattivamente… 

Mons. Léonard mostra anche la falsità che sorregge la legislazione pro eutanasia: “Il diritto all’eutanasia è stato rivendicato in nome della libertà individuale. Sono libero di determinare come vivere la mia morte. Ma è un’illusione pensare che una tale decisione, in una materia del genere, sia una avvenimento puramente privato, puramente individuale, perché, per essere assistiti nel proprio suicidio… occorre che altre persone entrino in gioco. Altre persone devono somministrare, nel caso di un suicidio assistito, ciò che provoca la morte. Delle persone andranno ad eseguire l’eutanasia [lo stesso vale se l’intervento medico è diretto a sospendere cure vitali o ad ometterle, n.d.a.] [...] Dunque non è più in questione unicamente la mia volontà, perché risultano coinvolte anche altre persone”.

C’è poi anche un forte impatto sulla società, “un’influenza sul modo in cui tutta una società finisce per considerare la vita e la morte […] Ciò che viene presentato come una decisione puramente personale, in nome della libertà privata dell’individuo, di fatto è una decisione che ha una influenza profonda e determinante sull’insieme della società”. Con o senza dichiarazione anticipata, “si tratta di una deriva che sarà difficile fermare”. “Se per caso la persona ha dimenticato di firmare il suo foglio, si potrà eventualmente supplire a tale dimenticanza presumendo che ella sia d’accorso. Sto un po’ esagerando...”. Un’esagerazione che però è già realtà: Vincent Lambert non ha firmato nessun foglio, ma la moglie ed un nipote ne richiedono la morte sulla base di alcune sue presunte affermazioni, quando ancora riusciva a comunicare pienamente. Non c’è una dichiarazione, c’è invece l’evidenza lampante di una tenacia che vuole restare aggrappata alla vita, sopravvivendo a 31 giorni di interruzione dell’alimentazione; eppure la vita di Vincent è ancora sospesa ad una sentenza.

Mons. Léonard, incalzato da una domanda di Godefridi, deve ammettere la poca presenza della Chiesa nel dibattito pubblico, sulle questioni fondamentali: “troppo poco peso. La Chiesa avrebbe dovuto far sentire la sua voce, una voce tra le altre in una società secolarizzata, ma essa avrebbe dovuto far sentire la sua voce in modo più deciso, più chiaro, più articolato...”. Dopo le imbarazzanti esternazioni di Paglia, Nichols, McMahon, forse sarebbe il caso di considerare queste parole un po’ più seriamente.