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SULLA VITA E IL SUO CREATORE

"Ecco perchè la battaglia di Alfie è anche la nostra"

Manuela è la mamma di Anna e Giulia, due giovani gemelle entrambe nate con la sindrome di Rett e colpite da severi handicap fisici e mentali. A La Nuova Bq racconta la storia della sua famiglia, tanto diversa e tanto simile a quella degli Evans: «Dietro al volto di Alfie c'è quello delle mie figlie e di tutti i bambini nati con gravi patologie. Gli Evans gridano al mondo il valore immenso di queste creature. Per questo noi lottiamo al loro fianco!».

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Vita e bioetica 22_04_2018
Anna, Giulia e famiglia

«E’ proprio così: la forza ce la danno i nostri figli! Sono loro che combattono in modo sorprendente e meraviglioso per la vita! Sono loro che insegnano a noi genitori a combattere, a vivere, ad amare!». Quando Manuela ci raggiunge al telefono, siamo come investiti da un fiume in piena: «E pensare che prima che arrivassero le gemelle ero timida e chiusa», sorride lei. Manuela ha seguito sul nostro giornale tutta la vicenda di Alfie Evans e vuole faci capire quanto il destino del piccolo paziente inglese c’entri anche con la sua famiglia e, per riflesso, con tutte le famiglie che custodiscono figli con gravi o gravissime disabilità. «Quando ho visto Thomas (il papà di Alfie, ndr) muovere mari e monti per il suo bambino malato, quando gli ho sentito dire che suo figlio è un vero guerriero e che vuole vivere, io non posso spiegare quanto mi sono sentita vicina a lui! Ho rivisto la mia storia, la storia della nostra famiglia: credetemi è vero quello che dice!».

Manuela è mamma di tre figlie, che ormai sono giovani donne. Due di loro – Anna e Giulia – sono gemelle e sono entrambe affette dalla sindrome di Rett. Si tratta di una rara patologia neurologica dello sviluppo, che colpisce quasi esclusivamente le femmine, con esordio “cinico e violento” intorno ai due anni: in poche parole, le bambine affette da Rett nascono apparentemente sane per poi perdere progressivamente tutte le abilità acquisite, guadagnando al contempo handicap gravissimi. «Nel nostro caso- spiega Manuela - l’esordio e la diagnosi della malattia furono anche più difficili poiché Anna e Giulia sono nate premature, a 7 mesi di gestazione, e per di più gemelle. Tutti questi fattori rendevano la situazione ancora più rara e complicavano il quadro clinico». E’ come se più elementi insieme si fossero accaniti contro queste piccolette: «E’ stata la Provvidenza a ritardare la diagnosi – ci spiega invece Manuela - permettendo a me di entrare in questa realtà a piccoli passi e di poterla così accettare».

Anna e Giulia oggi hanno 21 anni, a maggio 22, sono completamente inibite nei movimenti, costrette in sedia a rotelle e non dicono una parola, oltre ad avere gravissimi ritardi intellettivi. «Ma possono comunicare muovendo gli occhi”, assicura mamma Manuela che non ha dubbi: «Quando vogliono qualcosa, sanno farsi capire bene e noi abbiamo imparato il loro linguaggio che è diverso, ma non per questo assente”. Manco a farlo apposta, proprio mentre Manuela ci spiega queste cose, è costretta ad interrompere per qualche minuto la telefonata: «Anna dice che è scomoda e vuole essere spostata». Appunto.

Il tempo necessario per le manovre e riprendiamo. Riprendiamo proprio da quel punto che tanto preme a Manuela, quello che unisce le storia di Alfie a quella di Anna e Giulia: «Voglio ringraziare con tutto il cuore questo giovane e coraggiosissimo papà” continua lei riferendosi a Thomas Evans «perché lui ha capito da subito e con tanta semplicità quello che io ho impiegato anni ed anni a comprendere e accettare: la forza di combattere ce la danno i nostri figli! Anche le mie figlie, come Alfie, vogliono accanto a loro una famiglia che le ama incondizionatamente e persone esperte che sappiano colpire il male che le affligge. Anche Anna e Giulia, come Alfie, vogliono essere difese da una umanità che, affrancata dal suo Creatore, sembra smarrire sempre di più la sua dignità!».

Manuela infatti non ci nasconde tutte le difficoltà e le grandi sofferenze attraverso cui è dovuta passare, lei per prima. «Ho sempre saputo che nella mia vita non avrei mai abortito: sono una persona razionale e nella mia razionalità l’aborto mi è sempre sembrato anzitutto un atto contrario alla ragione. Perciò in gravidanza non volli nemmeno fare alcun esame che avesse un fine esclusivamente “selettivo”. Quando però nacquero le gemelle ed ebbi l’infausta diagnosi, caddi in un buio profondo. Non tanto perché la mia ragione vacillasse - ero e rimanevo fermamente convinta della mia scelta - , ma perché capii subito che il mio cuore non c’era, era come se non fosse ancora sintonizzato con la mia ragione». Imparare ad amare totalmente e incondizionatamente le sue figlie, è stato per Manuela il frutto di un lungo e paziente cammino, in cui sono stati indispensabili tre elementi: «Prima di tutto ho avuto la Grazia della fede in Gesù Cristo che non mi ha mai abbandonato. Insieme, ho la Grazia della compagnia di mio marito Giorgio, che nella sua semplicità e concretezza ha abbracciato subito e totalmente le nostre figlie. E, infine, la Grazia stessa delle nostre figlie: i loro sorrisi, i loro sguardi, il loro modo tutto particolare e fantastico di comunicare. Anna e Giulia pur non potendo parlare e pur avendo ritardi intellettivi gravissimi, hanno sempre e dico sempre avuto la capacità di coprirmi di amore e di emozioni. Loro sono felici e mi hanno insegnato cos’è la felicità!».

Una felicità vera, contagiosa, perciò capace di abbattere qualsiasi posizione ideologica sulla vita: «Abbiamo diversi amici o conoscenti che si dicono favorevoli all’aborto, che sostengono che sia giusto la libertà di scelta sull’aborto, soprattutto di fronte a casi di gravi malattie o handicap. Poi però sa cosa succede? Che queste persone sono le stesse che non vedono l’ora di passare del tempo in casa nostra, che amano stare con Anna e Giulia, che vogliono loro un bene sincero». Come a dire che di fronte alla realtà, se solo le si lascia spazio, i pregiudizi e le paure si infrangono, mentre la verità guadagna spazio. Quello che invece fa più soffrire Manuela è l’atteggiamento di chi dovrebbe conoscere e supportare la situazione: «Non è raro trovare medici, infermieri o fisioterapisti che trattano i nostri figli come casi disperati. Sa quante volte mi sono sentita dire: "Ma Signora cosa pretende?" Come se le mie figlie fossero un caso perso e disperato. Si demoralizzano perché non vedono in loro i risultati: ma fatemi capire - dico io - le mie figlie valgono per i loro risultati? Il vostro stesso lavoro, voi stessi valete semplicemente per i risultati che riuscite ad ottenere? Io credo davvero che si è capovolto l’ordine di ciò che vale nella vita e, soprattutto, non si vive più la vita in rapporto con il Suo Creatore».

Ecco perché Manuela insiste nel dire che Thomas e Kate, i genitori del piccolo Alfie, hanno un grandissimo coraggio: «Perché contro tutto e contro tutti, ricordano al mondo intero l’inestimabile valore di Alfie e, con lui, di tutte le vite come le sue!». Manuela ci fa capire che in verità la battaglia degli Evans va ben oltre la battaglia per Alfie, per le cure, per l’assistenza, per la libertà di scelta dei genitori; la loro battaglia è una battaglia per la vita nel suo inscindibile legame con il Creatore. «Dietro al volto di Alfie ci sono i volti delle mie figlie e di tutte queste meravigliose creature!» che sono tutto il contrario della perfezione e dell’efficienza, che sono tutto il contrario dell’autonomia e dell’autodeterminazione. Ma sono vite che più di tutte ci insegnano la Verità sulla vita: lottare, amare, dipendere.