Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Cristo Re a cura di Ermes Dovico
TERZA DOMENICA DI AVVENTO

Ecco la vera gioia

Il disegno divino della Rivelazione si realizza ad un tempo «con eventi e parole» che sono «intimamente connessi tra loro» e si chiariscono a vicenda. Esso comporta una «pedagogia divina» particolare: Dio si comunica gradualmente all'uomo, lo prepara per tappe a ricevere la rivelazione soprannaturale che egli fa di se stesso e che culmina nella Persona e nella missione del Verbo incarnato, Gesù Cristo.

Ecclesia 17_12_2017

L'Avvento ci dispone all'attesa di quell'evento che resta il fatto decisivo della storia. "Dio si è fatto carne", questa è la notizia delle notizie. Non c'è un solo fatto che possa essere più importante di questo. E vale per tutti gli uomini, di ogni tempo e di ogni latitudine. È anche il punto di riferimento quotidiano del lavoro della Nuova BQ. Per questo per tutte le domeniche di Avvento e per Natale, vi proponiamo come "primo piano" una lectio divina sulle letture del giorno preparata per tutti i lettori della Nuova BQ da una monaca trappista del Monastero di Valserena, suor Maria Francesca Righi. Buona meditazione.

L’insieme delle letture di questa domenica Gaudete, con il salmo responsoriale che è un cantico del Nuovo Testamento, suggerisce un continuo rimando in chiaroscuro alla persona del Messia, accennato nella persona del profeta della prima lettura, cantato nel salmo del Magnificat, confessato per negazione nel Vangelo. Al cantico dell’Antica Alleanza del terzo Libro di Isaia corrisponde il cantico del Magnificat, all’autopresentazione della persona di Cristo profetizzata nell’Antico Testamento corrisponde il cantico di riconoscenza della chiesa, o del Nuovo Israele, che si esprime nel cantico di Maria. Sono le voci dello Sposo e della Sposa che risuonano sulla terra dopo il lungo tempo dell’esilio; Maria nel Magnificat raccoglie in positivo l’attesa del popolo di Israele indicando la connessione tra fatti e parole nella logica di Dio che guarda gli umili e abbatte i potenti, e Giovanni la sintetizza in negativo con il suo “Io non sono”, aprendo così lo spazio alla Persona di Gesù. 

Paolo, nella seconda lettura, è un “inviato” che a sua volta invita la Chiesa a permanere in quell’atmosfera di gioia contenuta, certa del compimento ma ancora nel tempo dell’attesa. La liturgia è piena di inviati che annunziano senza ancora arrivare al compimento, la gioia è il segno della promessa messianica che si sta realizzando in modo inatteso e insperato, una gioia diffusa e contenuta, che si spande come l’alba o come la luce, a poco a poco, senza violenza. Non la gioia mondana che si riduce alla soddisfazione momentanea di un piacere, ma la gioia che è dono dello Spirito, ed effetto della carità, la gioia che è il godimento della Presenza dell’amato, sia pure non piena per la provvisorietà della vita presente. Seguiamo un poco questo canto a due voci.

Lo spirito del Signore Dio è su di me, dice il profeta Isaia, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; (Cf. Lc 4, 1) Il profeta si presenta nella sua identità e nella sua missione di inviato ad annunciare un anno giubilare, un anno in cui la gioia è il frutto del perdono, della remissione del debito…Gesù prenderà questo brano nella sinagoga di Cafarnao per annunciarne il compimento nella sua Persona.  A lui fa eco il magnificat di Maria, e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, Nuovo Israele, figura della Chiesa che presenta non se stessa ma l’opera che Dio ha compiuto in lei. All’opera di Cristo corrisponde il magnificat della Chiesa. Questa doppia voce si sente già all’interno della prima lettura.

Il cantico di Isaia 61 infatti, mette insieme l’inizio e la fine, il canto del profeta e la gioia della Sposa, della città restaurata. Il cantico del profeta inizia a narrare la guarigione dall’interno dalle ferite dei cuori spezzati, e di lì arriva alla ricostruzione all’esterno delle mura di Gerusalemme. È il percorso della guarigione, conversione. La gioia entra attraverso le nostre ferite, non c’è gioia che non sia il compimento di qualche attesa, il lenire qualche dolore Come bene dice il commento di Hadjadji a Giobbe, e il canto di Giobbe alla gioia dopo la visita degli amici, la gioia che ferisce e che solo può guarire, «O Gioia, mi hai difeso contro una felicità d’acqua, stagnante in un flacone d’avorio\E mi esponi a questa apertura \come un fiume che si riempie per donarsi…» (Giobbe o la tortura degli amici, Marietti  2011, p.87-89.). La gioia che entra nello spazio aperto dal dolore… L’unica gioia veramente umana. Al contrario il racconto di Buzzati, Nuovi Strani amici apre lo spazio della descrizione dell’inferno come il luogo della falsa letizia, senza desiderio e senza dolore.

Il vangelo unisce due testi che offrono un quadro completo dell’identità del precursore. Il primo versetto acquista senso paragonato a un alto versetto a lui strutturalmente identico:

 

1 Gv 1,6

1Sam 1,1

Ci fu un uomo

C’era un uomo

Mandato da Dio

Di Ramatian , uno Zufita delle montagne di Efraim

Il cui nome era

Il cui nome era

Giovanni  (= Dio usa misericordia)

Elkana (= Dio ha acquistato)

                                                                        

Elkana ha il compito di far riconoscere a Israele il futuro Re Saul e di consacrarlo, e Giovanni ha il compito di indicare il futuro Re Gesù.

Così in controluce dalle letture appaiono i tratti della persona di Gesù: il liberatore e restauratore delle sorti, lo Sposo, la visita di Dio al popolo, il compimento della profezia, il re di Israele, la cui Presenza vive ora e permane nella Chiesa suo Corpo, donandole quella letizia umile e certa anche nel dolore, quel gaudio che è il segno del suo Spirito, tratto caratteristico di chi gli appartiene, la «gioia evangelica degli umili, che traspare dappertutto in un mondo che parla del silenzio di Dio (Paolo VI; Gaudete in Domino).

Is 61,1-2.10-11; Lc 1,46-54; 1 Ts 5,16-24; Gv 1,6-8.19-28