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GOVERNO DEL CORONAVIRUS

Draghi scende in campo, ma Conte non mollerà mai

Il discorso di Draghi sulla possibile ricostruzione economica dopo la fine dell'epidemia suona come una discesa in campo per formare un suo governo di unità nazionale. I governi tecnici del passato non sono stati positivi, ma stavolta le premesse sono migliori e il momento lo richiede in ogni caso. Ma Conte vorrà farsi mettere da parte? No. 

Politica 27_03_2020
Mario Draghi

Ha stupito ieri il silenzio assordante con cui i giornali hanno raccontato l’importantissima uscita di Mario Draghi. L’ex Presidente della Banca centrale europea ha pubblicato un editoriale sul Financial Times, nel quale ha indicato la strada per una rinascita dell’Italia e dell’Europa. In altri tempi tutti i quotidiani più importanti avrebbero aperto con le sue parole. Invece l’emergenza Coronavirus ha fatto sì che il suo intervento venisse confinato nei tagli bassi delle prime pagine o addirittura nelle pagine interne.

Eppure si è trattato di una vera e propria discesa in campo, che finirà per far tremare i palazzi romani e per orientare il corso della politica italiana dei prossimi mesi. Le parole di Draghi sono andate al cuore del problema: dopo la pandemia il rischio concreto è la carestia, cioè il dilagare di povertà dovute alla mancanza di produzione, di lavoro e di consumi. Per non fermare il ciclo economico, occorreranno massicci investimenti pubblici, come accadde negli anni venti, un secolo fa. Una sorta di politica keynesiana da finanziare con il debito pubblico.

"La perdita di reddito del settore privato deve essere assorbita, totalmente o in parte, dai bilanci pubblici – ha scritto ieri l’ex Presidente della Bce - Debiti pubblici più alti diventeranno una caratteristica delle nostre economie e saranno accompagnati dalla cancellazione del debito privato. In passato gli Stati hanno già fatto così, in occasione di altre emergenze. Le guerre, ad esempio, sono state finanziate da un aumento del debito pubblico. La priorità non deve essere soltanto fornire un reddito base a coloro che hanno perso il proprio lavoro. Innanzitutto dobbiamo evitare che le persone lo perdano. Se non lo faremo usciremo da questa crisi con un tasso e una capacità produttiva permanentemente più bassi". Dunque, come ha aggiunto Draghi, "di fronte a circostanze non previste, un cambio di mentalità è necessario" poiché "lo shock che ci troviamo ad affrontare non è ciclico. La perdita di reddito non è colpa di chi la soffre. Il costo dell’esitazione potrebbe essere irreversibile. La memoria delle sofferenze degli europei negli anni 1920 sono un ammonimento".

Queste dichiarazioni sono giunte in ore assai delicate per i negoziati europei sui covidbond e le altre misure ventilate per uscire dal tunnel e salvare le economie dell’Italia e degli altri Stati del Vecchio continente. Proprio ieri, infatti, il premier Giuseppe Conte, forse proprio per rilanciare la sua autorevolezza nel consesso europeo, ha sbattuto i pugni sul tavolo, sia pure in videoconferenza nella riunione del Consiglio Europeo a 27,  e ha dato l'ultimatum ai partner Ue chiedendo entro 10 giorni misure adeguate  alla crisi che si è determinata  e  rifiutando di firmare la bozza di accordo che gli era stata proposta. Tornando a Draghi, onde evitare che, con la progressiva e auspicata attenuazione della pandemia, si scateni la rabbia incontrollata di milioni di persone disperate perché senza lavoro, sono stati in tanti a rivolgere appelli accorati, anche attraverso i social, a Mario Draghi, affinchè si metta a disposizione dell’Italia per contribuire a salvarla. In che modo? Ovviamente dando vita a un governo di solidarietà nazionale, con tutte le forze politiche impegnate ad assicurare il proprio contributo fattivo e operativo, al fine di rilanciare il Paese.

D’altra parte anche gli annunci continui del premier Conte, lungi dal rassicurare gli italiani, li gettano nello sconforto. L’escalation del virus si somma all’incertezza sulle soluzioni governative per affrontare il post-emergenza. Il Presidente del Consiglio mercoledì alla Camera e ieri al Senato, ha promesso un’altra manovra per altri 25 miliardi (dopo i primi 25 già stanziati, che però non ha ancora visto nessuno, tanto meno i lavoratori e gli imprenditori disperati per la prolungata inattività e chiusura), mentre altri Stati, al momento meno colpiti dell’Italia dal Coronavirus, hanno già iniettato nel sistema liquidità per centinaia di miliardi (la Spagna e la Francia 200, la Germania 156).

Le domande che si fanno gli italiani sono due. La prima riguarda Conte, l’unico premier della storia d’Italia capace di cambiare radicalmente partner di governo nella stessa legislatura e con la scioltezza e la disinvoltura dei politici più navigati. Accetterà di farsi da parte, uscendo di scena così come vi era entrato, cioè come un tecnico prestato alla politica? C’è da dubitarne, visto anche il tipo di comunicazione propagandistica, paternalistica e demagogica che sta portando avanti in queste settimane dolorose per gli italiani. Nelle ultime esternazioni ha addirittura parlato del futuro, del cambio di stili di vita che gli italiani dovranno abbracciare. Parole quasi da sovrano di uno Stato etico.

La seconda domanda riguarda l’opportunità di scegliere Mario Draghi quale guida per il nostro Paese. I precedenti del genere non incoraggiano all’ottimismo. L’esperienza di Mario Monti, accolto come il salvatore della patria nel novembre 2011 ma poi detestato dalla maggioranza degli italiani per le manovre economico-finanziarie “lacrime e sangue”, terrorizza ancora i ricordi di famiglie e imprese. Questa volta, però, le premesse sono ben diverse. Anzitutto Draghi ha già chiarito che la ripresa dovrà essere finanziata con massicce iniezioni di denaro pubblico e non con nuove tasse. Anzi le banche dovranno prestare soldi gratuitamente alle imprese che salveranno i posti di lavoro e che dovranno risanare i propri bilanci, alquanto dissestati proprio a causa di questi mesi di blocco totale. La burocrazia dovrà essere abbattuta drasticamente, al fine di facilitare l’accesso al credito e l’attivazione di nuovi rapporti di lavoro. Tutto questo è agli antipodi rispetto alla situazione di nove anni fa, quando la “spending review” del governo Monti finì per impoverire ancora di più l’economia e per frenarne ogni slancio.

Dunque rimane solo da capire come potrebbe avvenire oggi l’avvicendamento Conte-Draghi. Il Quirinale, con i suoi ripetuti appelli degli ultimi giorni alla collaborazione maggioranza-opposizione, sembra aver preparato la strada alla nuova stagione della solidarietà nazionale, che scontenterebbe i grillini, ormai innamorati del potere a tutti i costi e con qualunque alleato, ma godrebbe del favore della maggioranza delle forze politiche. Se la situazione economica dovesse ulteriormente aggravarsi, anche Mario Draghi verrebbe solennemente invocato come il demiurgo e il risanatore della nazione. Se riuscisse a traghettare il nostro Paese fuori dalla recessione, per lui potrebbero spalancarsi, nel gennaio 2022, le porte del Quirinale, che è poi la sua vera aspirazione. Il suo sacrificio di oggi verrebbe quindi ricompensato domani. Con buona pace dello spavaldo avvocato del popolo.

C’è infine un risvolto internazionale non secondario. L’ascesa di Draghi riequilibrerebbe anche la nostra politica estera, che con i governi Conte si è notevolmente sbilanciata in favore dell’asse con la Cina (e la Russia) e che tornerebbe nell’orbita atlantica, con una ritrovata fiducia nei nostri confronti da parte degli Usa. L’incognita riguarderebbe invece la sopravvivenza dell’Unione europea, considerato che la Germania avrebbe tutto da perdere da una svolta filo-americana dell’Italia.