Diverte e inquieta, è l'eco-catastrofismo di Avvenire
Il delirio ecologista in casa cattolica sta raggiungendo vette inarrivabili. Ce ne ha dato un grande esempio in questi giorni il quotidiano della Conferenza episcopale italiana....
Difficile non notare la deriva eco-catastrofista che di questi tempi sta prendendo un certo mondo cattolico. Convinti in questo di seguire fedelmente le indicazioni di papa Francesco, vescovi, parroci, responsabili di movimenti e associazioni, testate giornalistiche fanno a gara a chi la spara più grossa. Fino a raggiungere vette di surrealismo e comicità involontaria, ma anche svelando certi pensieri tanto “nascosti” quanto inquietanti.
Nei giorni scorsi il solito Avvenire, quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana, ha dato ampia prova di questo delirio ecologista che ha perso qualsiasi connessione con la ragione. Solo qualche esempio: nell’edizione del 2 luglio viene pubblicata la lettera di un giornalista esperto di climatologia, Stefano Di Battista (clicca qui), che sebbene in modo garbato è chiaramente risentito di quanto scritto da Avvenire in un precedente articolo del 20 giugno, in cui si dà dei prezzolati a quegli opinionisti che non condividono gli allarmismi sui cambiamenti climatici. In realtà quell’articolo del 20 giugno, firmato da Massimo Calvi e Andrea Lavazza, è già uno spasso: ciecamente dediti alla causa di Greta Thunberg, l’adolescente svedese protagonista degli scioperi scolastici del venerdì per salvare il pianeta, i due scrivono un lungo articolo per giustificare il fatto che la ragazzina non andrà più a scuola per dedicarsi alla causa climatica. E ci spiegano che, siccome Greta non prende l’aereo per non inquinare, e siccome dovrà andare all’Onu a settembre e alla conferenza sul clima a Santiago del Cile a fine anno con nave e treno, ecco che «diventerà impossibile garantire la frequenza minima in classe». In pratica, senza Greta il mondo non può andare avanti; è ormai assurta al ruolo di profetessa i cui oracoli sono imprescindibili in ogni assise internazionale per poter difendere il pianeta.
E chi prova a sostenere argomenti scientifici contrari alla causa umana del riscaldamento globale, è certamente un cinico che «si presenta come un opinionista» ma in realtà è un venduto agli «interessi economici consolidati» e ai «grandi gruppi che rischiano di rimetterci dall’impegno contro il climate change». Ed è qui che il nostro Stefano Di Battista ha qualcosa da ridire. Sia perché l’accusa lo riguarda direttamente sia perché ci sono fior di scienziati che studiano da decenni fenomeni legati al clima e sono convinti che i cambiamenti climatici non siano connessi alle attività umane. E, tanto per fare qualche esempio, cita Ian Clark, dell’Università di Ottawa, John R. Christy dell’Università dell’Alabama, Richard S. Lindzen del Mit di Boston. Parla anche delle notizie a senso unico che appaiono sui giornali, ad esempio nel caso dei ghiacciai il cui comportamento è tutt’altro che nella sola direzione della fusione. Poi avverte: attenzione, perché a forza di lanciare l’emergenza climatica finisce che «in nome dell’apocalisse da scongiurare» si sospendano le libertà democratiche.
In realtà, aggiungiamo noi, questo sta già accadendo e non come semplice effetto collaterale: è esattamente uno degli obiettivi dell’eco-catastrofismo.
Una bella lezione quella di Di Battista, ma il simpatico duo Calvi&Lavazza non può non replicare, forse per far risaltare meglio la differenza tra argomenti scientifici (la lettera di Di Battista) e luoghi comuni ideologici. Infatti, all’autorità degli scienziati citati i due oppongono anzitutto l’autorità e il ruolo di Greta, pensa un po’. Poi affermano che sì, magari c’è qualche scienziato scettico, ma vuoi mettere con «l’elenco lunghissimo» di scienziati che «sulla base di precise evidenze» sono convinti che siano le attività umane a cambiare il clima? E così dimostrano una doppia ignoranza: primo, perché non sono pochi, ma migliaia gli scienziati che confutano la teoria del riscaldamento globale antropico, e proprio «sulla base di precise evidenze»; mentre gli allarmisti parlano soprattutto di previsioni future basate su modelli climatici al computer, tutti da verificare. Certo, a queste migliaia di scienziati, malgrado ci siano tra loro premi Nobel e grandi esperti, vengono negate le prime pagine dei grandi giornali. Esattamente come fa Avvenire che, ad esempio, ha ignorato la petizione promossa da decine di scienziati italiani proprio poche settimane fa (clicca qui), e così contribuisce a perpetuare una menzogna. Secondo, perché alle due firme di Avvenire sfugge il fatto che la scienza non si decide a maggioranza, ma sulla base della verificabilità delle teorie.
Ma la battuta migliore deve ancora venire; Di Battista a un certo punto cita infatti il giornalista danese Jeppe Duva, il quale denuncia che parlare dei cambiamenti climatici è diventato per i politici un comodo pretesto per evitare di affrontare temi molto più scottanti come i tagli alle pensioni e il mercato del lavoro. E la replica delle firme di Avvenire è manzoniana: «Duva, chi era costui?», si chiedono. Non sarà certo Duva, «a noi sinora sconosciuto, a esprimere la verità sul tema». In realtà, ai due erano sicuramente sconosciuti finora anche gli scienziati Lindzen, Christy e Clark, così come non devono aver mai sentito parlare di Carlo Rubbia o di Antonino Zichichi. Loro seguono Greta e tanto basta. Anzi no, conoscono qualcun altro: già, perché alla dubbia autorità di Jeppe Duva oppongono quella di Philip Alston, di cui Avvenire ha ospitato il 25 giugno un altro “storico” intervento, con la denuncia del prossimo venturo “apartheid climatico” (clicca qui). Alston non è mica un giornalista qualsiasi, è il relatore speciale dell’Onu sull’estrema povertà e sui diritti umani, ci dice Avvenire. Eh già, però il duo Calvi&Lavazza si è dimenticato di verificare il curriculum di Alston, che in realtà è un semplice avvocato, esperto di diritto internazionale. Nessuna competenza scientifica, tanto meno sul clima. È un semplice ripetitore di parole d’ordine decise all’Onu, esattamente come fanno ad Avvenire.
Qui finisce, per ora, la parte divertente e inizia invece quella inquietante. Perché il 4 luglio, Avvenire pubblica anche un intervento di don Virginio Colmegna, sacerdote ambrosiano molto noto sia per il suo impegno nel sociale, nelle opere di carità, sia per un certo attivismo politico, ovviamente a sinistra (clicca qui). Don Colmegna interviene a sostegno di un’altra grande trovata di Avvenire, i “Saturdays for Future” (sabati per il futuro), che scimmiottano i “venerdì per il futuro” dell’immancabile Greta. I sabati saranno dedicati alla spesa eco-sostenibile, ma tralascio il concentrato di slogan che troviamo nell’intervento di don Colmegna, per attirare l’attenzione su un passaggio: «Si tratta di superare l’antropocentrismo per rilanciare la centralità dell’essere custodi del Creato. Qui la tradizione cristiana ha da imparare da altre tradizioni religiose e da visioni del mondo con un approccio più armonioso e integrato, rivolto all’ecologia e al mondo naturale».
Ecco cosa c’è davvero in gioco sulla questione ecologica, l’apostasia dal cattolicesimo. La critica di don Colmegna, e di una certa corrente cattolica, non è a una forma deviata o degenerata di antropocentrismo, ma alla centralità dell’uomo in sé, quell’uomo che Dio ha posto al vertice della Creazione e che della Creazione è responsabile di fronte a Dio. Il “superamento” invocato da Colmegna porta dritto all’ideologia della Carta della Terra, in cui l’uomo è semplicemente parte di una “comunità di viventi” insieme a vegetali e animali, e in cui la custodia si traduce in un “dare meno fastidio possibile”.
Il cristianesimo diventa l’imputato perché è la causa dell’antropocentrismo che sta distruggendo la terra e infatti deve imparare da altre religioni come si vive in armonia con la natura. Quali? Ovviamente le culture primitive, panteiste, si ricalca il copione dei documenti preparatori per il Sinodo sull’Amazzonia. Una grande menzogna quella della presunta armonia di tali culture con la natura, e avremo modo di spiegare il perché; ma soprattutto è come se la Rivelazione non riguardasse il rapporto dell’uomo con il Creato, e come se nella storia non ci fossero modelli “cattolici” di vera cura del Creato. Il cattolicesimo, per costoro, non ha nulla da dire al mondo, è solo una sequela di errori e di cose da imparare. Ci si riscatta soltanto con la “conversione ecologica” e l’aiuto ai poveri e ai migranti.