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CASO ALFIE

D'Agostino e il pregiudizio dell'accanimento terapeutico

Il professor Francesco D'Agostino ha diffuso un suo commento sul caso Alfie riferendosi, fra l'altro, alla ventilazione come a una forma di accanimento terapeutico. Un'affermazione chiaramente falsa.

Editoriali 05_05_2018
Francesco D'Agostino

Il prof. Francesco D’Agostino – mio presidente nell’associazione Giuristi cattolici e in tempi normali alfiere della bioetica cattolica - ha diffuso ieri un suo commento dedicato alla vicenda di Alfie Evans, col quale si allinea definitivamente alla posizione di Michela Marzano, di Silvio Viale e di altri sacerdoti dell’accanimento tanatologico.

Sostiene – il professore – che nel caso di Alfie Evans: «Lottare contro le malattie è più che giusto, è doveroso; accanirsi contro di esse è invece assolutamente sbagliato. C'è nell'accanimento terapeutico - giustamente condannato con fermezza dal Magistero della Chiesa già da Pio XII - accanto all'umanissimo e comprensibile desiderio di ritardare il più possibile la morte di una persona, soprattutto se cara, la pretesa arbitraria, futile e inaccettabile di dominare la nostra natura mortale o addirittura di soggiogarla, grazie alla nostra potenza tecnologica. La tragica vicenda del piccolo Alfie ci ha insegnato quanto sia difficile, anche da parte di menti illuminate, capire che il no all'accanimento non è un no alla vita (un no che va sempre condannato), ma un sofferto sì ad una morte che ci apre la strada verso una vita più vera e più piena di quella biologica».

Le parole del professore, per il vero abbastanza condivisibili se riferite all’inaccettabile pratica dell’accanimento terapeutico, sono invece del tutto fuori luogo se riferite al caso del piccolo Alfie.

Infatti il bambino anglo-italiano non è mai stato sottoposto in alcun modo ad accanimento terapeutico. La dott. ssa Matilde Leonardi, pediatra e neurologa dell’IRRCS Besta di Milano, intervistata da RAI 1 a “La vita in diretta” ha recisamente negato che ventilare i polmoni di Alfie costituisca accanimento terapeutico visto che al bambino «non sono mai state praticate cure sproporzionate».

Dello stesso avviso anche il Cardinale Elio Sgreccia, padre della bioetica italiana, e il prof. Roberto Colombo, secondo cui nel caso di Alfie sospendere «non solamente le terapie ma anche i supporti vitali indispensabili per la vita, non presenta un significato etico "diverso dall’eutanasia, che rimane sempre illecita, in quanto si propone di interrompere la vita, procurando la morte" (Papa Francesco, Messaggio citato). Anzi, tende a mascherare l’eutanasia attraverso la sua forma apparentemente più “dolce” e “pietosa” (falsamente) che è quella omissiva: non applica una procedura direttamente e immediatamente letale, ma conduce alla morte anticipata per privazione dell’essenziale per vivere. Le autentiche cure palliative, invece, uniscono al controllo dei sintomi (incluso quello del dolore, con una appropriata analgesia che può giungere, in alcuni casi, alla sedazione a scopo analgesico, quando ogni altro approccio antalgico risulta inefficace) la fornitura di un apporto idratativo, nutrizionale e, ove richiesto dalla fisiopatologia respiratoria, anche ventilatorio».

Una persona della finezza intellettuale di Francesco D’Agostino non poteva non cogliere siffatte sfumature.

Alfie non era soggetto ad accanimento terapeutico. La sua “futile” esistenza è stata terminata interrompendo nutrizione, idratazione e ventilazione. E questo – in Italia - tecnicamente è omicidio colposo.

Lo hanno capito tutti, dal Santo Padre alla presidente del “Bambin Gesù” Mariella Enoc, dal cardinale Sgreccia a Roberto Colombo. Lo hanno capito i politici più in vista, lo hanno capito i tifosi dell’Everton che hanno srotolato allo stadio uno striscione in cui si esecrava la condotta eutanasica dei medici inglesi. L’ho capito perfino io.

Possibile che non lo abbia capito il presidente D’Agostino?
E se lo ha capito, perché scrive cose simili?