Cina-Vaticano: un dialogo che pare a senso unico
Dialogo Vaticano-Cina. Visto dall'Italia è una svolta epocale, come spiega Li Shan, vescovo di Pechino ospite a Milano. Mons. Parolin, Segretario di Stato Vaticano ha da poco rilasciato una lunga intervista al Global Times in merito al dialogo Cina. Ma in Cina ha ricevuto poca attenzione e non è stata neppure integralmente tradotta.
Su un quotidiano cinese di partito, il Global Times, in lingua inglese, si dà voce al Segretario di Stato Vaticano. Monsignor Parolin ha rilasciato una lunga intervista sul futuro dei negoziati fra Santa Sede e Vaticano (di cui abbiamo parlato nel blog Cristiani Perseguitati). Tuttavia l’intervista non è mai stata pubblicata per intero in lingua cinese e non ha trovato molto spazio nei media della Repubblica Popolare, secondo quanto riporta Wang Zhicheng all’agenzia missionaria Asia News Questa asimmetria nelle traduzioni rende l’idea dell’asimmetria dell’attenzione sul negoziato fra Cina e Vaticano, che parrebbe interessare soprattutto l’Occidente, molto meno l'Oriente.
Visto dall’Italia, l’accordo Cina-Vaticano è una svolta epocale. Li Shan, vescovo di Pechino, e Huang Bingzhang, vescovo di Shantou, per la prima volta hanno partecipato a un evento fuori dal loro Paese dopo l’accordo tra Santa Sede e Repubblica Popolare cinese sulla nomina dei vescovi. Erano a Milano, il 15 maggio, all’Università Cattolica del Sacro Cuore, all’evento “1919-2019. Speranze di pace tra Oriente e Occidente”. L’accordo ha portato «la totalità dei vescovi cinesi nella comunione con il Papa e con la Chiesa universale», ha dichiarato Li Shan. Uno scenario che si è realizzato realizzare perché anche nei decenni di più dura repressione atea, la Chiesa, «illuminata e guidata dallo Spirito Santo», ha eletto più di duecento vescovi che in cuor loro «hanno sempre custodito il tesoro della fede», rimanendo fedeli «alla Chiesa “una, santa, cattolica e apostolica». «Sul piano della fede - ha sottolineato il vescovo di Pechino - la Chiesa di Cina è uguale alla Chiesa cattolica di qualsiasi altro Paese del mondo: stessa fede, stesso battesimo, fedele all’“una, santa cattolica e apostolica”, in comunione con la Chiesa universale».
Il discorso diventa però più difficile quando si tocca l’argomento della politica di “sinicizzazione”, che giustifica, agli occhi del regime, la continua repressione della Chiesa, affinché si conformi ai dettami del Partito. Con un linguaggio molto diplomatico, il vescovo di Pechino ha spiegato al pubblico milanese che il governo cinese, «in conformità con la legge», orienta le religioni affinché si adattino al socialismo e si integrino nella realtà della società, approfondendo e valorizzando «tutti quegli elementi della dottrina che favoriscono l’armonia sociale, il progresso, una civiltà sana» e dunque accrescendo «il ruolo attivo della Chiesa cattolica nella costruzione del socialismo con caratteristiche cinesi». Monsignor Parolin, nella sua intervista parlava della sinicizzazione in questi termini: «Per il futuro, sarà certamente importante approfondire questo tema, specialmente il rapporto tra ‘inculturazione’ e ‘sinicizzazione’, avendo presente che la leadership cinese ha avuto modo di ribadire la volontà di non intaccare la natura e la dottrina delle singole religioni».
Di tutt’altro avviso sono coloro che questa politica di sinicizzazione la stanno subendo. Come riferisce Wang Zhicheng ad Asia News, «In una delle risposte il cardinale cita la differenza fra inculturazione e sinicizzazione, e sembra indicare la possibilità che esse siano “complementari”. Qui i commenti sono netti: “La sinicizzazione è solo l’inizio: dopo viene l’eliminazione (della Chiesa, ndr)”». Più in generale, secondo quanto può osservare Wang Zhingcheng: «Fra i cattolici che leggono il testo in inglese (dell’intervista a mons. Parolin, ndr), i commenti sul Web non sono positivi. Diversi sottolineano i “silenzi” del card. Parolin. “Perché il cardinale non ha detto nemmeno una parola sulla distruzione delle croci e sulle persecuzioni che stanno avvenendo adesso in Cina? Perché, mentre molti sacerdoti sotterranei vengono schiacciati dall’Associazione patriottica, il Vaticano preferisce solo parlare di pace con il governo, evitando di parlare delle angherie dell’Associazione patriottica?”».
Monsignor Parolin, tuttavia, a La Repubblica dichiarava che: «Le sofferenze dei cattolici cinesi ci sono ben presenti e ci preoccupano molto. E prestiamo attenta considerazione alle voci di coloro che le rammentano. La Chiesa è madre e non può restare indifferente ai suoi figli che si trovano in difficoltà. D’altra parte, è proprio per questo che abbiamo aperto un dialogo. E se l’accordo, che è provvisorio, sarà implementato come mi auguro, verrà rimossa una delle cause principali della divisione tra cosiddetti “clandestini” e “patriottici” che tante sofferenze ha portato con sé. Molti tacciono su questo aspetto umanamente ed ecclesialmente così importante». E dava una strigliata a chi è troppo scettico, in Occidente, riguardo il dialogo con Pechino: «l’impressione che le critiche rivolte in Occidente a Francesco somiglino a quelle del figlio maggiore della parabola del figliol prodigo, che vive come un’ingiustizia l’amore del Padre per il fratello che viene da lontano».
Ma non è tanto in Occidente, quanto in Cina, che restano perplessità su questo dialogo di cui si parla quasi solo in Occidente. Perplessità ben riassunte in un commento spontaneo di un sacerdote riportato da Wang Zhingcheng, sempre sull'intervista rilasciata da mons. Parolin al Global Times: “Il cardinale ha fatto il suo dovere: parlare di fiducia e ottimismo, con frasi belle ma un po’ teoriche, senza tanti dettagli concreti. Sembra simile al comportamento di noi preti quando andiamo a fare visita a un malato grave in ospedale: sentiamo il dovere di dire parole di incoraggiamento e di fiducia, con la buona intenzione di consolare il malato, senza poterlo guarire”.