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ADDIO SACRO

Chiesa in uscita, ma al mare non sarà troppo?

Un prete celebra in mare coi fedeli sul bagnasciuga. E' l'ultima deriva di un clero che per rispondere ai propri capricci riduce l'Eucarestia a happening sempre più cool. Ma è una deriva che parte dalla mancanza di fede nel santo sacrificio. E che le gerarchie ecclesiastiche non sembrano interessate ad affrontare, impegnate soltanto a leccarsi le ferite per le chiese dismesse.

Editoriali 15_07_2018

Va bene la chiesa in uscita, ma così si esagera. Il prete che celebra messa in mare ci mancava. Neanche Gesù che sulle acque ci camminava ci aveva pensato alla messa on the sea. Proprio così, sul bagnasciuga e a fare da devoti fedeli, un gruppo di ragazzi e ragazze che hanno assistito rigorosamente seduti alla celebrazione. Un camice bagnato con la stola verde, occhiali da sole, pisside e calice adagiati su un sasso che affiora dal mare in bonaccia, fortunatamente. Appare così il video che è diventato virale in rete. Non lo mostriamo perché compaiono molti minorenni, ma la foto è eloquente. E fa il paio con quella altrettanto recente di un sacerdote in diocesi di Ancona che comunica i fedeli sul molo del porticciolo. I fedeli, per non perdere neanche un attimo, restano tutti sulla canoa.

Si scopre che la messa marittima è stata celebrata in provincia di Bari, ma il sacerdote non è incardinato in quella diocesi. Sarà anche lui in vacanza lì con i ragazzi. Poco importa. Il problema non è tanto lui (se la vedrà col suo confessore o il suo vescovo), quanto l’andazzo generale che sta prendendo il culto divino, ridotto ad un happening da svolgere ovunque tranne che in chiesa e da accomodare non secondo le esigenze di Dio, ma del capriccioso di turno. Il fatto che le specie transustanziate siano in acqua non sembra destare problemi a nessuno. Basterebbe riaffermare il capitolo V dell’istruzione Redemptionis Sacramentum circa il luogo della celebrazione della santa messa: “La celebrazione eucaristica venga compiuta nel luogo sacro, a meno che in un caso particolare la necessità non richieda altro. Nel qual caso la celebrazione deve essere compiuta in un luogo decoroso”. Ora, non risulta che i ragazzi fossero soldati sul Carso pronti all’assalto finale. Così come sono disattese tutte le prescrizioni e le raccomandazioni previste dal Messale. A cominciare dall’abbigliamento utilizzato dai fedeli, non proprio decoroso e per proseguire con il fatto che è evidente che la scelta di celebrare in acqua era voluta e non di necessità. E’ stato fatto così perché era più figo, diciamocelo.

Il punto è proprio questo: che non crei problema alcuno il fatto di celebrare il santo sacrificio in quelle condizioni, perché prima di tutto arriva la pretesa, egoista e ignorante dei preti, di soddisfare prima di tutto le proprie necessità e i propri sentimentalismi.

Se si trattasse di alcuni casi sporadici, pazienza. Il fatto è che la smania di celebrare messa dappertutto tranne che in chiesa rischia di far perdere il sacro che invece in chiesa dovrebbe essere garantito. Ci sono sacerdoti che celebrano ad alta quota, vero. Ma un conto è farlo consapevoli della dignità del momento che si sta vivendo, un conto è inventarsi ogni volta qualcosa di nuovo nella speranza che i giovani recuperino la fede proprio grazie a questi “famolo strano”. Il passo è breve e perdere il controllo è facile, anche quando le intenzioni sono le migliori.

Ma come dimostra la lunga inchiesta della Nuova BQ #salviamolechiese il problema è più complesso. E ha a che fare con la perdita del sacro che ha trascinato con sé anche la mancanza di fede eucaristica.

Una perdita del sacro che stanno vivendo le chiese perché se i preti se la spassano celebrando messa in acqua, le chiese nel frattempo stanno chiudendo a ritmi vertiginosi. Chiuse per disuso, per terremoto, per mancanza di fedeli. Chiuse per crisi di “iniziative pastorali”. Quante belle scuse le gerarchie si inventano per rispondere ad un fenomeno che sta diventando endemico. Le chiamano “chiese dismesse” e l’espressione dovrebbe già far tremare i polsi pensando a quella frase del santo curato d’Ars: “Togliete le messe dalle chiese e i diavoli balleranno sugli altari”. Invece, sicuramente non si parlerà del santo curato d’Ars e nemmeno della crisi della fede, vero motore dello svuotamento delle chiese e conseguente dismissione del culto al convegno internazionale che si svolgerà a novembre in vaticano.

Perché – certo - quello delle chiese dismesse è un problema che tocca anzitutto i Paesi ormai scristianizzati influenzati dalla cultura protestante e si avvicina velocemente anche da noi. Pontificio Consiglio della cultura, Cei e Pontificia Università Gregoriana si occuperanno dunque del tema “Dio non abita più qui? Dismissione di luoghi di culto e gestione integrata dei beni culturali ecclesiastici”. Si tratta di un convegno che nelle intenzioni degli organizzatori dovrà elaborare e partorire delle linee guida sull’argomento. Linee guida, meno male. Ci stavamo allarmando. Infatti dalle premesse sembra proprio che l’argomento verrà affrontato dal punto di vista prettamente burocratico pastorale.

Impedire la trasformazione delle chiese in centri commerciali. Questo l’obiettivo di fondo dell’evento al quale parteciperà anche il neo presidente dell’Aps monsignor Nunzio Galantino. Il quale ha ben chiaro qual è il problema: “Crisi economica, la diminuzione dei fondi pubblici per la gestione del patrimonio, la ridotta pratica religiosa e le attività pastorali in diminuzione per la crescente scarsità di clero sono criticità che non giustificano più la presenza di diverse chiese”. Perfetto. Peccato che a cotanta capacità di analisi non si accompagni anche una domanda: ma perché la gente non ha più fede e in chiesa non ci viene più? Non sarà che forse servirebbe un convegno ad esempio su come le chiese, anche quelle non dismesse, vengono utilizzate? Per pranzi e happening di vario genere, come abbiamo visto. Chissà perché non ci si chiede mai se non siano state proprio le novità pastorali e le "linee guida" ad averle svuotate irrimediabilmente? 

Un suggerimento controcorrente in vista dell’importante convegno: avere il coraggio, e l'ardire!, di ribadire che le chiese dismesse devono recuperare la loro dignità sacrale e la loro specificità liturgica esclusiva. Non sarebbe inopportuno: visto che ci si sbraccia per le linee guida, perché non scriverne una chiara e semplice: favorire a livello ecclesiale e normativo il più possibile, stimolare e incoraggiare in tutti i modi una riapertura al culto invece di allargare le braccia in segno di resa e accontentarsi almeno di non ridurle a saune e night club pensando così di aver lmitato i danni. 

Vediamo se tra 40 anni le cose cambierebbero o no. Noi scommettiamo di sì perché quando una chiesa è aperta e il tabernacolo presente, c’è anche qualcun Altro che chiama e non serve inventarsi messe cool in spiaggia per attirare l'attenzione. Serve fede, è vero, ma anche meno smania pastorale di scaricare sulle chiese le sciagure dei bilanci in rosso di parrocchie e istituti. Leccarsi le ferite per le chiese dismesse è solo una parte, secondaria, di un problema molto più grave e urgente, che ha a che fare prima di tutto con la scomparsa della fede eucaristica di un popolo.