Chiamami col tuo nome: cioè noioso e furbo
La storia gay, diretta da Luca Guadagnino, acclamata negli Usa, è di una noia indicibile. Ecco la trovata: di questi tempi Hollywood è molto sensibile alle tematiche lgbt. Da qui la «delicata e sensibile» storia d’amore. Tra due maschi. Infatti, Hollywood ha subito plaudito.
«Sarà delicata e sensibile questa storia gay, diretta da Luca Guadagnino, acclamata negli Usa, ma è di una noia indicibile». Così scrive il maggior critico de «Il Giornale», Massimo Bertarelli. Il quale, non essendo Mollica, quando qualcosa non gli piace non lo manda a dire. «Quattro nomination e mille sbadigli», conclude caustico. La domanda, però, è: ma negli Usa non sbadigliano? Certo che sì, solo che colà il politicamente corretto prevale. D’altra parte, qual è il regista che non sogna l’Oscar?
Qui da noi in Italia i soli che non ci pensano neppure sono quelli che fanno cinepanettoni e Checco Zalone. Tutti gli altri ci pensano eccome. «Respice finem», dicevano gli antichi. Tradotto in registrese italico significa: gira pensando a Hollywood, e tralascia senz’altro il pubblico; quest’ultimo, se vinci, verrà, semmai, dopo. Gli esempi nostrani non mancano e sono tutti univoci. Nel 1997 fu Roberto Benigni a risolvere che, essendo Hollywood piena di ebrei, la Shoà era un tema potenzialmente vincente. E infatti ci azzeccò. Ci riprovò qualche tempo dopo con Pinocchio, sapendo che il romanzo di Collodi è il più tradotto nel mondo.
Ma gli americani non gradirono: avevano già avuto la versione di Walt Disney e, poi, quella fantascientifica di Steven Spielberg (A.I. Intelligenza artificiale). La critica statunitense decretò, infine, che Pinocchio doveva essere un bambino, non un quarantenne stempiato. Da allora Benigni ripiegò su attività terze, in attesa di idee migliori. Occorse aspettare il 2013 e La grande bellezza di Paolo Sorrentino perché un film italiano rivedesse l’Oscar. Il tema era di (quasi) sicuro impatto per gli americani, che avevano nella memoria La dolce vita di Federico Fellini, film che vinse l’Oscar (ma solo per i costumi) nel 1960 e anche la Palma d’Oro a Cannes. Il film di Sorrentino ne era praticamente la continuazione, e tanto bastò.
Agli americani ricordò l’epoca aurea della cosiddetta «Hollywood sul Tevere», quando loro i film venivano a girarseli a Cinecittà (che costava meno) e il celeberrimo Vacanze romane (con Gregory Peck e Audrey Hepburn) aveva costituito per loro un’eccezionale cartolina turistica. Il punto è che per ingolosire il red carpet di Los Angeles e aspirare agli awards non si hanno più, per ora almeno, spunti geniali, come quelli che vennero forniti dalla ahimè irripetibile stagione del neorealismo. Perciò, ecco la trovata: di questi tempi Hollywood è molto sensibile alle tematiche lgbt. Da qui la «delicata e sensibile» storia d’amore. Tra due maschi. Infatti, Hollywood ha subito plaudito. Quattro nomination.
Se vi interessa la trama di Chiamami col tuo nome, il film di Guadagnino (plurintervistato nei tiggì all’annuncio delle nomination), ecco qua: estate 1983, il bel tenebroso ricercatore americano (il protagonista deve essere per forza americano, sennò a Hollywood non piace) è ospite nella villa di campagna (lombarda) del connazionale archeologo; le ragazze se lo mangiano con gli occhi, ma lui, i suoi occhi, li mette addosso al figlio adolescente del padrone di casa. Ricambiato.
Niente scene esplicite, ma quel che si vede basta e avanza. Si potrà, tra un maggiorenne e un minorenne? Boh. Non ha importanza. Quel che ci fa fremere di orgoglio nazionale è la candidatura. Certo, avremmo preferito un tema diverso, noi che siamo bacchettoni e che, per giunta, sappiamo esserci già stato I segreti di Brokeback Mountain con i suoi cowboys omo. Compatiteci, apparteniamo a una generazione che fatica ad aprirsi al «nuovo» e continua a preferire de Sica e Fellini.