Cattolici Lgbt, ciò che vìola diritto naturale e Rivelazione
L’espressione “cattolici LGBT” è un non-senso e rende impossibile la Dottrina sociale della Chiesa. Se l’ideologia gender è una forma di colonizzazione della natura umana essere “cattolico LGBT” vuol dire collaborare alla colonizzazione della natura umana. Se la Chiesa ha deciso di non fare più riferimento dogmatico, morale e politico alla creazione, e quindi all’ordine finalistico del creato come base della sua Dottrina sociale, almeno non ce lo dica con una misera foto.
“Una foto che vale un’enciclica” scriveva ieri la Nuova BQ a proposito dell’incontro di Papa Francesco con i “cattolici LGBT” della diocesi di Westminster. L’espressione è incisiva: oggi le encicliche non si scrivono più, ma si fanno? Se, come sembra da tanti segni dopo la conclamata “conversione pastorale”, la pastorale è la nuova dogmatica, si deve rispondere di sì. Mi chiedo però anche: “Una foto vale un’enciclica anche sociale?”. Pure a questa domanda viene da rispondere di sì, da cui conseguirebbe che anche i documenti di Dottrina sociale della Chiesa oggi non vengono più scritti, ma fatti.
L’espressione “cattolici LGBT”, dal punto di vista della Dottrina sociale della Chiesa, è un non-senso e, accolta nella pienezza del suo significato anche sociale e politico, rende impossibile la Dottrina sociale della Chiesa. Se l’ideologia gender è una forma di colonizzazione della natura umana, come ha detto in altra occasione papa Francesco, essere “cattolico LGBT” vuol dire collaborare alla colonizzazione della natura umana. Se è legittimo essere “cattolici LGBT” allora è anche doveroso e i cattolici non dovrebbero più combattere la colonizzazione della natura umana insita nell’ideologia gender. Non dovrebbero più lottare contro le leggi omosessualiste o transessualiste, non dovrebbero più fare le marce nella pubblica piazza, non dovrebbero più opporsi alla genderizzazione della scuola e della cultura diffusa.
Se l’ideologia gender è una ideologia sbagliata, distruttiva dell’ordine del creato, ingiusta e dannosa non solo per le persone coinvolte, ma anche per la comunità sociale e soprattutto per la famiglia, non può esistere il “cattolico LGBT”. Anche i cattolici possono essere soggetti a tendenze disordinate, non solo in questo campo ma anche in altri. Anche i cattolici possono cedere a certe tendenze disordinate e chiedere perdono in confessionale. Ma non possono identificarsi come cattolici in queste tendenze disordinate, ancor più se vengono messe in pratica e se si chiede che la comunità le convalidi giuridicamente e politicamente. Ci sono stati e ci sono i “cattolici per l’aborto” e i “cattolici per il divorzio” ma erano e sono espressioni altrettanto contraddittorie.
La Dottrina sociale della Chiesa ha sempre affermato di fondarsi su due basi: il diritto naturale e la rivelazione. Convalidare la possibilità di “cattolici LGBT” e la legittimità delle loro campagne sociali e politiche, significa minare alla base ambedue le fonti della Dottrina sociale della Chiesa. Il diritto naturale permette di fondare in modo oggettivo – e quindi sottratto a ogni potere di parte – il legame morale che tiene insieme i cittadini. Esso rimanda al concetto di ordine naturale il quale fonda il legame sociale e politico in quanto ordine finalistico. In altri termini indica i fini prossimi cui ogni realtà sociale – dalla persona, alla famiglia, alla nazione – deve tendere, assieme al fine ultimo – che è Dio – senza del quale i fini intermedi perdono di consistenza. L‘ideologia LGBT ritiene non esserci un ordine naturale finalistico e quindi si contrappone al fondamento della Dottrina sociale della Chiesa.
Una volta negato l’ordine finalistico naturale, su che cosa fonderemo il collante che tiene insieme i cittadini? Se la Chiesa accetta che si possano legittimamente dare “cattolici LGBT” così confermando la inesistenza di un ordine naturale e sociale, su cosa fonderà poi le motivazioni ultime dello stare insieme nella società politica? Lo scivolamento verso i diritti soggettivi sarà inevitabile, ma i diritti soggettivi, in quanto soggettivi, non fondano per niente lo stare insieme nel bene comune: dalla diversità non deriverà mai l’unità, perché il più non viene dal meno. Allora si tenderà a dire che bisogna partire sì dai diritti, ma collocati nell’ambito dei doveri. Però i doveri su cosa si fondano? Non c’è altro modo di fondarli se non derivandoli da un ordine finalistico delle realtà sociali, e così si torna da capo.
La Dottrina sociale della Chiesa non può rinunciare all’ordine del creato come fonte finalistica del diritto e, quindi, dei doveri e dei diritti. Quindi non può accettare che l’autorità politica ponga sullo stesso piano, considerandoli egualmente aspetti del bene comune, atteggiamenti contrari e atteggiamenti conformi a quell’ordine. Sarebbe come giustificare politicamente l’ingiustizia. Avvalorando la legittimità di essere “cattolici LGBT” si fa proprio questo.
Scriveva Benedetto XVI nella Caritas in veritate: “La Chiesa ha una responsabilità per il creato e deve far valere questa responsabilità anche in pubblico. E facendolo deve difendere non solo la terra, l’acqua e l’aria come doni della creazione appartenente a tutti. Deve proteggere soprattutto l’uomo contro la distruzione di se stesso”.
Se la Chiesa ha deciso di non fare più riferimento dogmatico, morale e politico alla creazione, e quindi all’ordine finalistico del creato come base della sua Dottrina sociale della Chiesa, almeno non ce lo dica con una misera foto.