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IL LIBRO

Baronchelli, quei 12 secondi guadagnati per il Cielo

Il ritratto di un ciclista dal talento immenso, ma che per appena 12 secondi non potè vincere il Giro davanti a Eddy Merckx. In Gibì Baronchelli, Dodici secondi il campione racconta la sua carriera di sportivo, ma anche il suo cammino di fede. Da comprendere anche alla luce di quella sconfitta che invece fu la sua vera vittoria.

Sport 01_06_2018

“Ero un cattolico come tanti, marginale. Sai, l’educazione di andare a messa l’abbiamo avuta ed è già una bella cosa, ma la conversione è un’altra cosa”. Lo raccontava, celebrando la sua vittoria più bella, un uomo buono, e schivo di carattere, che da giovane era stato tra i più forti sportivi italiani della sua epoca. Per gli amici, “Tista”. Per i tifosi, “Gibì”. Per tutti, Gianbattista Baronchelli, uno di quei nomi lunghi che impongono diminutivi ma che Adriano De Zan, storica voce del ciclismo nelle telecronache Rai, amava scandire per intero, come se la durata della pronuncia potesse restituire in qualche modo la fatica e la grinta del corridore. Intervistato dalla Nuova Bussola Quotidiana nell’autunno del 2014, Baronchelli raccontava della sua riscoperta della fede, attraverso la semplicità della vita ordinaria, e gli eventi occorsi nella sua storia di uomo, una volta che l’atleta aveva appeso la bici al chiodo.

Per la prima volta, con la stessa discrezione che l’ha tenuto sempre lontano dai riflettori ma con un nuovo sguardo – più sereno – all’indietro sulla propria carriera, Baronchelli si racconta in un libro, pensato e scritto non da un tecnico o un giornalista ma da un tifoso, Gian Carlo Iannella, particolare che fa di Gibì Baronchelli, Dodici secondi (Lyasis Edizioni, pp. 200, € 14,00) una pubblicazione praticamente unica nel suo genere. L’autore evoca la nascita della passione per il ciclismo quando, da bambino, iniziò a seguire in televisione le imprese di Baronchelli. Anno per anno, quasi gara per gara, Iannella ripercorre tutta la carriera di Gibì. Il ritratto, naturalmente, è di parte (Baronchelli è sempre l’eroe e non tutti i suoi antagonisti, in uno sport sanguigno come il ciclismo, fanno una bella figura) ma non per questo è inattendibile. Non esiste un racconto, infatti, che non sia costretto a eleggere un punto di vista e Iannella, con la gratuità del tifoso, sceglie il suo protagonista e gli fa compiere un arco narrativo del tutto coerente, in cui compaiono maestri, alleati, nemici, scelte cruciali, colpi di scena. Il libro, pertanto, si legge come un romanzo, costellato di aneddoti, ricordi, citazioni dei giornali dell’epoca, interviste ai protagonisti (su tutte spiccano quelle a Eddy Merckx e al francese Bernard Hinault, 10 Tour de France in due…) e tentativi di sciogliere alcuni gialli della storia del ciclismo, come il famoso Mondiale di Praga del 1981 (quello in cui gli azzurri persero perché si fecero la guerra tra di loro), una sorta di Rashomon a pedali, in cui – come nel capolavoro di Akira Kurosawa – ognuno racconta una versione diversa della stessa vicenda…

Baronchelli, nella stessa maniera di ciclisti come Franco Bitossi o Claudio Chiappucci, è entrato nel cuore dei tifosi più per le sconfitte che per le vittorie. Sono le prime, infatti, a generare la simpatia umana, a siglare il patto tra chi corre e chi tifa. Non è facile la vita del tifoso quando le delusioni si accumulano ma il legame con l’eroe si stringe per ogni crisi, ogni caduta, ogni kilometro macinato nelle retrovie, e per ogni secondo posto passato alla storia. Il titolo del libro si deve proprio a uno di questi famosi piazzamenti: la fama di un enorme talento circondò Baronchelli all’epoca del passaggio al professionismo, che ebbe una prima conferma quando, da matricola, rischiò di vincere il Giro d’Italia del 1974 duellando con il belga Eddy Merckx – il più forte dei suoi tempi e forse di sempre – e perdendolo per soli dodici secondi. Dodici secondi sono un soffio, un battito di ciglia, se paragonati alle oltre 113 ore di gara occorse per percorrere nell’arco di tre settimane i 4000km del Giro di quell’anno.

È come se una squadra neopromossa in serie A arrivasse a giocarsi il campionato di calcio all’ultima giornata contro la blasonata campionessa uscente, perdendolo per un punto in classifica. Arrivare secondi dietro Merckx era già una vittoria. Arrivarci così vicini, era una vittoria morale e una sorta di acconto su un futuro quasi certamente da numero uno. Le aspettative sul giovanissimo Baronchelli, appena ventunenne, si fecero comprensibilmente molto alte e forse non giovarono psicologicamente all’atleta, che avrebbe avuto bisogno del suo tempo per crescere in maniera progressiva. Negli anni successivi Baronchelli vinse tanto, conquistando corse importanti, e salì altre due volte sul podio del Giro d’Italia. Mai, però, gli riuscì di aggiudicarsi la “corsa rosa”, cui sembrava predestinato, né le altre grandi corse a tappe o il titolo mondiale che, da soli, valgono una carriera intera. Quei dodici secondi, lo spazio breve ma interminabile tra l’anonimato e l’apoteosi, rimasero proverbiali. Baronchelli, giustamente, li aveva sepolti insieme a molti altri ricordi, finché Qualcuno di molto più importante di un commissario tecnico lo ha chiamato per una convocazione molto speciale.

Dodici secondi non racconta della conversione di Baronchelli ma “l’uomo nuovo” traspare dalle righe del libro, soprattutto nelle ultime venti pagine in cui Iannella passa il testimone allo stesso Gibì che si racconta in prima persona, con la serenità degli anni, come dice lui. “I nostri genitori” – scrive – “ci hanno educato ai valori veri propri di una cultura chiaramente cristiana. Mia madre, scomparsa il 4 aprile 2011, ci ha lasciato un documento nel quale si raccomandava di restare sempre uniti e di volerci bene l’un l’altro. Posso affermare, con orgoglio, che quello che ci ha scritto vale molto di più di tutte le vittorie ciclistiche che ho ottenuto”. Vittorie che pure sono ricordate, insieme alle tante sconfitte, e Gibì non censura niente, neanche delle delusioni patite. “Adesso ci rido”, commenta alcuni torti subiti ingiustamente, ma fida di ottenere un giorno quanto gli è stato sottratto, quando esclama: “Meno male che c’è l’Aldilà!”

“Misi su famiglia” – racconta del suo matrimonio a 33 anni – “la cosa più importante della vita terrena, di un uomo, e di una donna. Davanti anche al lavoro, ma sempre dietro a Colui che ci ha creato, e alle Sue leggi”. Parole sante, è il caso di dirlo. Alla luce della fede ritrovata, anche alcuni dettagli della sua carriera agonistica possono essere letti come parte di un disegno perfetto, come il tracciato di una gara pensata apposta per lui. Il famoso Giro perso per dodici secondi, per esempio, partì dalla Città del Vaticano con la benedizione di Paolo VI. Una delle vittorie più belle degli ultimi anni, una tappa alla Vuelta del 1985, fu siglata davanti alla Cattedrale di Santiago de Compostela. “Un altro fatto che mi invogliò a continuare” – racconta infine dei suoi ultimi due anni da professionista – “fu l’iniziativa di Ivano Fanini. Alla presentazione della squadra, portava i suoi atleti in Vaticano. Fui io, capitano della squadra, a consegnare la coppa a Giovanni Paolo II. Confesso che quando mi trovai a tu per tu con il Santo Padre provai un’emozione indescrivibile: un ricordo bellissimo!”. Meglio che battere Eddy Merckx.

Con il volume in mano, durante una presentazione milanese nel marzo 2018, Baronchelli si diceva stupito per primo di aver avuto la libertà di raccontarsi apertamente in queste pagine: “Ritengo di essere cambiato parecchio negli ultimi tre, quattro anni. Credo che questo libro mi abbia anche aiutato a uscire da un tunnel, perché vedevo la mia carriera come un periodo negativo e invece, assolutamente, la gente non può dimenticare le cose belle che ho fatto e neanch’io devo dimenticarlo”. Dodici secondi sono un tempo ragionevole di attesa per chi sa a quanto ammonta il premio finale dopo l’ultimo traguardo. Dodici secondi sono anche quelli che separano la terra dal cielo.