Amoris Laetitia letta alla luce di Amoris Laetitia
Il Papa scrive a Stephen Walford, autore di un prossimo libro su Amoris Laetitia. Dopo aver esortato a leggerla nella sua interezza ribadisce l'assenza di rotture. Una forma che denota la volontà di evitare di rispondere direttamente ai dubbi suscitati dalla pubblicazione dell’esortazione, scegliendo invece la strada delle lettere agli amici. Ma asserisce una continuità che di fatto poi non si riesce o non si vuole dimostrare.
Il prossimo 28 agosto verrà data alle stampe una nuova pubblicazione sull’Esortazione apostolica Amoris Laetitia. Si tratta del libro Pope Francis, The Family and Divorce: In Defense of Truth and Mercy di Stephen Walford.
Walford era già intervenuto nel gennaio di quest’anno sulle colonne della versione inglese di Vatican Insider (vedi qui), bacchettando i “dissenters”, che in quell’articolo venivano identificati soprattutto con Raymond Arroyo, direttore e conduttore di EWTN News e in particolare della trasmissione settimanale di informazione The World Over Live, con il sacerdote canonista P. Gerald E. Murray, e con Joseph Shaw. La notizia sta però non tanto nella pubblicazione di Walford, quanto nel fatto che Papa Francesco abbia deciso di scrivergli una lettera, che figurerà come prefazione del libro.
In questa lettera, il Papa, dopo aver esortato a leggere AL nella sua interezza, fa un’importante affermazione. Nell’Esortazione vengono affrontate diverse problematiche inerenti alla famiglia, all’educazione, al matrimonio, le quali – spiega il Papa - “devono essere affrontate con un’ermeneutica che proviene dall’intero documento, che è l’ermeneutica magisteriale della Chiesa, sempre in continuità (senza rotture), ma che va sempre maturando. A questo proposito nella sua lettera, lei [Walford] menziona San Vincenzo di Lerins nel suo Commonitorium Primum: ut annis scilicet consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate”. Il Papa ribadisce, dunque, l’assenza di una rottura nell’insegnamento di AL, indicando invece nell’espressione di San Vincenzo di Lerins, secondo cui il dogma “si consolida con gli anni, si sviluppa col tempo, si approfondisce con l'età”, la giusta chiave ermeneutica.
Prima triste annotazione: il Santo Padre continua ad evitare di rispondere direttamente ai dubbi e alle domande suscitate dalla pubblicazione dell’Esortazione, scegliendo invece la strada delle lettere agli amici e agli amici degli amici. E’ chiaro che, così facendo, diventa inevitabile il sorgere della domanda del perché il Papa trovi il tempo per ricevere Walford e la sua famiglia (vedi qui), per scrivergli una lettera, mentre non lo trova per rispondere a dei cardinali e a migliaia di fedeli che in ogni parte del mondo hanno sollevato delle serie difficoltà.
Secondo problema: ogni documento del Magistero dev’essere interpretato certamente a partire dall’insieme del documento stesso, ma anche e soprattutto all’interno dell’insegnamento magisteriale nel suo insieme, nel confronto costante con le fonti della Rivelazione. AL non può essere interpretata solo a partire da AL. Ma non appena si esce dal recinto di AL e si va ad attingere ai documenti precedenti, alcune domande continuano a porsi, e bisognerebbe che il Papa non rinvii di continuo le risposte, semplicemente asserendo una continuità che di fatto poi non si riesce o non si vuole dimostrare.
Tanto per ricordare alcune perplessità: come si fa a dire che l’affermazione secondo cui la condizione per ricevere l’assoluzione sacramentale e quindi l’Eucaristia per chi vive in una situazione irregolare è la piena continenza (cf. FC 84), sia in continuità con quella che sostiene che in certi casi può anche non essere così? Come si può considerare l’enunciazione contenuta nella lettera del Papa del 2016 ai vescovi argentini, secondo la quale “se si giunge a riconoscere che in casi concreti vi siano limitazioni che attenuano la responsabilità e la colpevolezza, in particolare quando una persona ritenga di poter cadere in ulteriore peccato facendo del male ai figli della nuova unione, l'AL apre la possibilità di accedere ai sacramenti della riconciliazione e dell'eucaristia”, come uno sviluppo dell’affermazione di FC, 84, che invece asserisce che “la riconciliazione nel sacramento della penitenza - che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico - può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio”? Notare l’espressione “solo a quelli che” (illis unis), che indica l’esclusione degli “altri che non”.
O ancora, come si fa a conciliare l’apertura del Papa ai casi concreti, appena menzionata, con la seguente affermazione della Congregazione della Dottrina della Fede: “Nello stesso tempo [Familiaris Consortio] ribadisce la prassi costante e universale, «fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla Comunione eucaristica i divorziati risposati», indicandone i motivi. La struttura dell'Esortazione e il tenore delle sue parole fanno capire chiaramente che tale prassi, presentata come vincolante, non può essere modificata in base alle differenti situazioni”? Da un lato abbiamo la conditio sine qua non della piena continenza, escludendo espressamente la possibilità di modificarla in singoli casi in base a delle circostanze e dall’altra abbiamo l’affermazione che la piena continenza è raccomandata ma non vincolante, e che le concrete situazioni possono in certi casi sconsigliarla. Qualcuno illustri dove si trovi l’evocata continuità…
Le domande rimangono sempre quelle e temiamo che non ci sia la volontà di darvi una risposta, probabilmente perché bisognerebbe ammettere che forse il fiume è uscito dal suo letto e sta seminando confusione e morte. Per rientrare negli argini, bisognerebbe porre attenzione anche alle altre chiare affermazioni contenute nel Commonitorim Primum; bene lo sviluppo, ma “bisognerà tuttavia stare bene attenti che si tratti di un vero progresso della fede e non di un cambiamento […]. Devono rimanere sempre uguali il genere della dottrina, la dottrina stessa, il suo significato e il suo contenuto”. San Vincenzo propone il parallelo tra lo sviluppo della dottrina e quella dell’essere umano: “Se coll'andar del tempo la specie umana si cambiasse talmente da avere una struttura diversa oppure si arricchisse di qualche membro oltre a quelli ordinari di prima, oppure ne perdesse qualcuno, ne verrebbe di conseguenza che tutto l'organismo ne risulterebbe profondamente alterato o menomato. In ogni caso non sarebbe più lo stesso”. Siamo sicuri che con AL non ci siamo persi qualche pezzo?
Il Santo Padre ha poi aggiunto nella lettera: “Circa le problematiche che riguardano situazioni etiche, l’Esortazione segue la dottrina classica di San Tommaso d’Aquino”. Avevamo già dedicato una riflessione (vedi qui) sul travisamento dell’etica di San Tommaso, soprattutto per quanto riguarda il ricorso al principio dell’epicheia e alla virtù di prudenza. Qui poniamo ancora una volta una domanda: come si può ritenere che sostenere che “quando una persona ritenga di poter cadere in ulteriore peccato facendo del male ai figli della nuova unione, l'AL apre la possibilità di accedere ai sacramenti della riconciliazione e dell'eucaristia”, sia in armonia con il seguente principio presente nel Commento alla Lettera ai Romani (c. 13, l. 2) di San Tommaso: “i precetti negativi obbligano semper ad semper (sempre e in ogni circostanza). In nessuna circostanza infatti si deve rubare o commettere adulterio”? Il Doctor Communis insegna che in nessuna circostanza si può compiere un male morale, anche qualora da tale rifiuto possano derivare presunte o reali conseguenze negative: questo è Tommaso. In qualche circostanza, specie se ne può derivare un male per altri, si può, senza commettere peccato, compiere atti adulteri: questo è il contenuto della lettera del Papa ai vescovi argentini. Quale “dottrina classica” si sta seguendo qui?
Altra considerazione etica: torniamo ancora una volta alla lettera ai vescovi argentini, in cui il Papa richiama a “limitazioni che attenuano la responsabilità e la colpevolezza”, le quali aprirebbero la strada all’assoluzione sacramentale e quindi alla Comunione. E’ vero che San Tommaso dichiara che un peccato mortale quanto al genere, può diventare veniale da parte dell’agente quanto all’imperfezione della causa, ma l’Aquinate specifica che ciò avviene “per il fatto che l’azione è imperfetta, ossia non deliberata dalla ragione” (S.T., I-II, q. 88, a. 2); e specifica che solo “i moti della sensualità che prevengono la ragione sono peccati veniali” (q. 74, a. 4 ad. 3) e non le inclinazioni o le fragilità umane, perché “questa corruzione del fomite non toglie all’uomo la capacità di reprimere i singoli moti disordinati della sensualità quando li prevede” (ibid, ad. 2). Perciò Tommaso si riferisce ai “moti improvvisi” (q. 88, a. 2) e non alla difficoltà, alla fragilità, alla previsione di conseguenze negative, etc. Quanto all’ignoranza nella fornicazione, l’Aquinate spiega che se essa “è tale da scusare totalmente il peccato, come nel caso di un pazzo furioso o demente”, allora evidentemente non c’è peccato. “Se però l’ignoranza non è invincibile, allora essa stessa è un peccato, e implica una mancanza d’amore verso Dio, in quanto uno ha trascurato di imparare le cose atte a conservarlo nell’amicizia di Dio” (q. 88, a. 6, ad. 2). In pratica, seguendo l’etica di San Tommaso, si arriva a conclusione opposte a quelle di AL: il percorso di discernimento per chi vive in una situazione irregolare, previsto da AL, porterebbe, infatti, come conseguenza, che eventuali successivi atti di adulterio (e quindi la mancata piena continenza richiesta da FC) non possono essere considerati peccati veniali, ammesso e non concesso che quelli precedenti lo siano stati. Perché in questa nuova situazione “post-discernimento”, una persona si trova infine ad essere consapevole della propria condizione, di ciò che è gradito o non a Dio, del fatto che davanti a sé si potrà riconfigurare l’occasione di ricadere in ciò che oggettivamente Dio non vuole, etc. Come pensare che questa condizione sia catalogabile come quella di una persona sorpresa da moti improvvisi o afflitta da ignoranza invincibile?
Ancora una considerazione: il Papa rinvia all’etica di San Tommaso per giustificare un cambiamento nella disciplina sacramentale. Per quale ragione? Non si sarebbe dovuto attingere all’insegnamento più propriamente teologico-sacramentale dell’Aquinate? Se si vanno a leggere gli articoli della Summa Theologiae dedicati al sacramento della Penitenza, ci si rende conto dell’enorme divergenza tra Al e l’Aquinate. San Tommaso, infatti, insegna che parte imprescindibile di tale sacramento è la contrizione; e spiega: “poiché per la remissione dei peccati si richiede che uno abbandoni totalmente l’affetto del peccato, per cui conservava una certa coerenza e solidità nel suo sentire, così l’atto col quale viene rimesso il peccato viene detto in senso figurato contrizione [ossia sbriciolamento]” (S. T., Suppl, q. 1, a.1); ed aggiunge poco dopo che “ogni colpa attuale è dovuta al fatto che la volontà non cede di fronte alla legge di Dio, o trasgredendola, od omettendone i precetti, oppure prescindendo da essa. E poiché ciò che ha la capacità di non subire facilmente l’influsso altrui è denominato duro, in ogni peccato attuale si riscontra una certa durezza. Se quindi un peccato dev’essere sanato, è necessario che venga rimesso mediante la contrizione, capace di infrangere tale durezza” (q. 2, a. 3). Per Tommaso, dunque, è fondamentale che la volontà che resiste a Dio, compiendo ciò che lui proibisce, si “sgretoli” (da qui il termine contrizione), perché solo mediante questo sgretolamento l’anima esce dalla sua durezza e si apre al perdono. Ora, è chiaro che questo significa in concreto non portare più affetto verso il peccato, che, ancora più nel concreto, si traduce nel non volerlo più commettere. Qualcuno può spiegare come si possa invece ottenere il perdono sacramentale, mettendo già in conto di continuare una relazione adultera? Come si può chiedere a Dio il perdono, mentre di fatto si vuole continuare ad ignorare la sua volontà, continuando a vive more uxorio con una persona che non è il proprio marito o la propria moglie?
Noi restiamo ad attendere che finalmente il Santo Padre possa dare ascolto a queste e altre domande, dando un chiarimento preciso ai dubbi su AL che ovunque sorgono, senza per questo essere catalogati come clericalisti, farisei o quant’altro, indegni di ricevere una risposta.