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L'INCHIESTA

All'Accademia per la Vita una "esperta" pericolosa

Nominata recentemente alla Pontificia Accademia per la Vita, la professoressa Katarina Le Blanc ha partecipato ad uno studio sulle cellule fetali. Il "materiale" è stato fornito da un'azienda a contratto con la Planned Parenthood. In un articolo scientifico di cui il nuovo membro della Pav è coautrice le prove del coinvolgimento in ricerche condannate dalla Chiesa.

Vita e bioetica 05_07_2017

Torniamo a parlare delle recenti nomine alla Pontificia Accademia per la Vita. Nei giorni scorsi abbiamo parlato delle affermazioni “pericolose” sull’aborto di uno dei nuovi membri entrati nell’organismo vaticano, Nigel Biggar. Ma c’è un altro nome sul quale si possono avanzare fondati sospetti. E’ quello della professoressa del Karolinska Institutet Katarina Le Blanc. Si tratta di una dei 6 autori di un articolo pubblicato nel gennaio 2013 sulla rivista PLoS ONE dove veniva utilizzata la linea cellulare hES-MP002.5 dell’azienda svedese Cellartis. Quelle cellule erano state ottenute mediante soppressione di embrioni sovranumerari ottenuti durante procedure di fecondazione in vitro e donati, come spiegava nel 2004 Nico Heins, ricercatore alla Cellartis, in un articolo pubblicato sulla rivista Stem Cells. Piccolo particolare: fare questo genere di ricerche era stato dichiarato moralmente disordinato dalla stessa Pontificia Accademia per la Vita nel 2000. Alla domanda se fosse lecito usare le cellule staminali embrionali fornite da altri ricercatori o reperibili in commercio rispondeva: “«La risposta è negativa» poiché: al di là della condivisione, formale o meno, dell’intenzione moralmente illecita dell’agente principale, nel caso in esame, c’è una cooperazione materiale prossima da parte del produttore o fornitore”.

Stessa posizione negativa era stata espressa dalla Congregazione per la Dottrina della Fede dopo approvazione di papa Benedetto XVI nel 2008. Quel documento, a proposito dell’impiego di materiale biologico di origine illecita, al n. 35 ricordava “il dovere di rifiutare quel “materiale biologico” – anche in assenza di una qualche connessione prossima dei ricercatori con le azioni dei tecnici della procreazione artificiale o con quella di quanti hanno procurato l’aborto” chiarendo che tale dovere, pur “in assenza di un previo accordo con i centri di procreazione artificiale – scaturisce dal dovere di separarsi, nell’esercizio della propria attività di ricerca, da un quadro legislativo gravemente ingiusto e di affermare con chiarezza il valore della vita umana”.

Di questo abbiamo scritto già sul quotidiano La Verità e sulla NBQ. La novità di oggi deriva dalla lettura di un articolo pubblicato online nel luglio 2016 sulla rivista Scientific Reports di cui la professoressa Le Blanc è uno dei 10 autori. Si tratta di uno studio di confronto di cellule mesenchimali derivanti da polmoni adulti e fetali. Le cellule fetali, si legge nei metodi di quello studio, erano derivate da feti di età stimata compresa tra le 16 e le 17 settimane e mezzo fornite dall’azienda californiana Novogenix Laboratories, LLC. Secondo il portale Bloomberg l’azienda, che ha sede a Los Angeles, è stata fondata nel 2009 e risulta essere fornitrice di materiale tissutale e cellulare. Dopo lo scandalo dei tessuti ottenuti dai bambini abortiti presso le sue cliniche dalla Planned Parenthood venuto a galla grazie all’inchiesta segreta del Center for Medical Progress, il Senato degli Stati Uniti ha avviato un’inchiesta che nel dicembre 2016 ha prodotto un rapporto di maggioranza di ben 541 pagine.

A pagina 43-44 del documento viene analizzata la posizione proprio della Novogenix: “L’avvocato della società”, vi si legge, “ha informato il comitato che dalla sua fondazione fino al 2015 ha avuto contratti con 102 clienti dei quali tutti, tranne tre, erano laboratori o istituzioni accademiche. A partire dal marzo 2010 Novogenix aveva un contratto con Planned Parenthood di Los Angeles (PPLA) per ottenere tessuto fetale. Quel contratto stabiliva: "Planned Parenthood Los Angeles accetta di fornire a Novogenix tessuto da gravidanza abortita che consiste di materiale biologico/cellulare grezzo, non manipolato, inalterato […] da clienti di Planned Parenthood di Los Angeles che si sono sottoposte ad un aborto in elezione durante il primo o secondo trimestre […] Novogenix rimborserà Planned Parenthood di Los Angeles per i costi amministrativi ragionevoli associati all’identificazione dei potenziali donatori, così come all’acquisizione del consenso informato. Questa cifra sarà di 45 dollari per ogni campione donato”.

Secondo il rapporto del Center for Medical Progress, la Novogenix è l’organizzazione fornitrice di tessuti “servita dal direttore anziano dei servizi medici di Planned Parenthood Federation America, la dottoressa Deborah Nucatola”, la stessa che nei video registrati segretamente, con tranquillità, gustando un’insalata e sorseggiando un calice di vino, descriveva nei dettagli la perizia posta dagli operatori di Planned Parenthood per non rovinare durante l’aborto le parti del bambino da consegnare agli acquirenti di organi e tessuti.

Rivolgo una semplice domanda che richiede un’altrettanto semplice e franca risposta: il nuovo membro della Pontificia Accademia per la Vita è in grado di smentire di avere collaborato a ricerche che hanno impiegato cellule ottenute non solo da procedure di fecondazione in vitro con successiva soppressione di embrioni, ma anche da bambini abortiti volontariamente nel secondo trimestre nelle cliniche della più grande organizzazione abortista per 45 dollari a campione? Se così fosse ne saremmo enormemente sollevati. Se invece malauguratamente così non fosse, allora saremmo in presenza non di qualcosa di segreto appartenente ad un passato sepolto, ma scritto nero su bianco nei metodi spiegati in alcune pubblicazioni della professoressa Le Blanc che si darebbe per scontato siano state vagliate per proporla come una dei 45 membri ordinari della Pontificia Accademia per la Vita.

Se il  professor Biggar è stato suggerito dal primate della chiesa anglicana, come ha rivelato lo stesso monsignor Paglia, non sappiamo chi abbia segnalato la professoressa Le Blanc, anche se a questo punto sarebbe interessante venisse comunicato, magari dallo stesso Paglia e anche questa volta grazie al prezioso intervento di Vatican Insider, insieme alla spiegazione di come tali nomine siano rispettose del nuovo statuto della PAV, quantunque depurato dall’obbligo di sottoscrivere la “Attestazione di Servitori della Vita” .  A giudicare dai commenti e dalle reazioni, una cosa pare a molti evidente: il sistema e le procedure di scrutinio dei possibili candidati alla Pontificia Accademia per la Vita, di cui ovviamente il presidente ha la responsabilità ultima, pare risultare semplicemente catastrofico.  Lo vogliamo chiamare “infortunio numero due”?

Il numero uno è quello di Biggar, docente di teologia fresco di nomina all’Accademia presieduta dal vescovo Vincenzo Paglia, beccato dal National Catholic Register mentre in una conversazione del 2011 col filosofo Peter Singer, quello che ha scritto che “né un neonato, né un pesce sono persone, uccidere  questi esseri non è così moralmente negativo come uccidere una persona”, si opponeva con un vigore ben celato sostenendo: “Sarei incline a tirare la riga per l’aborto a 18 settimane dal concepimento”. Non era stato un colpo di sole, improbabile in Inghilterra, perché nel maggio 2013 ancora Biggar rispose a David Edmunds che lo intervistava per la BBC: “Non penso che l’infanticidio dovrebbe essere permesso, penso che l’aborto dovrebbe essere permesso fino ad un certo punto”. Vi domandate fino a quando? “Fino alla 18° settimana dal concepimento”, fu la risposta del docente di Oxford. “Non solo non ha mai pubblicato nulla sul tema dell’aborto […] ma ha anche assicurato che non intende entrare in futuro nel dibattito su questo tema”, è stata la vibrante replica di monsignor Paglia al vaticanista Andrea Tornielli.

Contrariamente a quanto affermato, Il professor Biggar aveva invece pubblicato il proprio pensiero. Nel marzo 2015 sulla rivista Journal of Medical Ethics aveva simpatizzato con i deboli e vulnerabili. Ma chi sono i deboli per Biggar lo aveva precisato lui stesso: “Certamente i bambini e in maniera discutibile i feti, almeno al di là di un certo punto del loro sviluppo”.  “La sua specializzazione è sui temi di fine vita, dove ha una posizione assolutamente coincidente con quella cattolica”, ha assicurato monsignor Paglia nella stessa intervista. Ma le posizioni del professor Biggar non coincidono  con quelle della Chiesa, almeno a leggere quanto egli afferma nel suo libro del 2006 “Aiming to kill”, dove il teologo inglese distingue la vita “biologica” da quella “biografica”, quest’ultima identificata come quella “responsabile”, riconoscendo solo alla seconda la “santità”. Biggar afferma che la vita biologica può essere sottratta intenzionalmente e se necessario, anche contro la volontà del soggetto (pp. 142-143).

La contrarietà alla legalizzazione dell’eutanasia non consiste nel giudizio negativo sull’atto in sé, ma nel timore di possibili abusi e di una china scivolosa che potrebbe innescare anche l’uccisione di esseri “responsabili” e dunque aventi una vita biografica. “E se trovassimo chiari, cristallini, efficaci ed ampiamente condivisi criteri per distinguere la vita biografica da quella biologica?” Si domandava nel 2007 sul Journal of Religious Ethics Theo Boer, docente all’università di Utrecht, pentito del suo passato sostegno alla legge sull’eutanasia in Olanda. “In quel caso, se intendo correttamente Biggar, queste  vite non meriterebbero più la protezione legale”, fu la sua considerazione.