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DERIVE DELLA NEO CHIESA

Al Credo non ci credo: il prete ora è libero di non avere fede

Cronache dalla neo Chiesa. A Torino il parroco - rigorosamente di strada - annuncia alla messa di Natale: «Non dico il Credo perchè non ci credo». A Genova, un altro prete “ribelle” cancella le messe della Natività e di Maria Madre di Dio. Libertà di una cattiva teologia che sta avvelenando la fede dei semplici. E alla quale nessuno porrà freni. Invece, per i sacerdoti che esprimono dubbi su alcune derive recenti scatta la sospensione a divinis...

Ecclesia 30_12_2017
Don Fredo durante la messa di Natale

Cronache dalla neo Chiesa: «Io al Credo non ci credo». I fedeli della chiesa di San Rocco di Torino, radunati per la messa di mezzanotte si sono lasciati sfuggire una risatina di complicità. E così il parroco, don Fredo Olivero, ha annunciato in sostituzione il canto Dolce sentire. Insomma: un canto ispirato al Cantico delle creature come sostitutivo del Credo, che rappresenta l’ossatura fondante della fede di ogni battezzato. 

Ora, si potrebbe anche alzare le mani e dire: bè, con queste premesse, ha vinto lui. Anni e anni a tentare di camuffare articoli scomodi o parti della messa troppo farraginose e poi arriva lui con la soluzione gordiana: perché non toglierlo del tutto? Chapeau, effettivamente… La cattiva teologia che si mangia la dottrina ha toccato vette sublimi l’altra sera durante una messa che definire show è eufemistico: liturgia eucaristica modificata alla bisogna, comunione distribuita solo da ministri straordinari, anzi, fatta prendere in mano dai fedeli che l’hanno intinta personalmente nel calice, un Padre nostro condiviso con il più profano canto spagnoleggiante ricalcato da Sound of silence di Simon & Garfunkel. Liturgia anni ’70 allo stato puro, mancavano solo i cantori con zampa d’elefante. 

Invece è l’anno del Signore 2017 che ci consegna l’ultima frontiera della messa fai da te, presentata con il viso pacioso e rassicurante di un parroco con 50 anni di messa alle spalle che si dice molto attivo nel sociale e che a quelle latitudini viene chiamato con terminologia ecclesialmente corretta “un prete di strada”, perché si occupa di migranti e perché anche recentemente ha detto di voler modificare il concetto di transustanziazione.

Ovviamente criticarlo non si può, un po’ perché non si possono criticare i preti che si spendono nel sociale, anche se nel toccare le cose divine utilizzano zappa e vanga, e poi perché oggi, nella neo Chiesa, non si può prendere di mira chi attenta alla dottrina. Semmai, bisogna punire chi sommessamente fa notare che qualche cosa non va, come testimoniano i provvedimenti presi nei confronti di don Minutella o che c’è una verità di Dio sull’uomo che non cambia, come don Pusceddu. 

La sorpresa arriva al minuto 26,50 dopo un’omelia giocata ad invitare i genitori a trasmettere la fede ai figli, ma «smettendo di parlare loro dell’inferno che non serve a nessuno e fa male». 

Il cantore annuncia il canto del Credo: «Dolce sentire, pagina 39». Don Fredo attacca per primo: «Sapete perché non dico il Credo? Perché non ci credo». Risate dei fedeli. Poi riprende: Se qualcuno lo capisce…, ma io dopo tanti anni ho capito che era una cosa che non capivo e che non potevo accettare. Cantiamo qualche cos’altro che dica le cose essenziali della fede». 

A Torino non è andata poi così male. A Genova ad esempio un altro prete di frontiera, ma con rubrica fissa su Repubblica, don Paolo Farinella, ha annunciato dalle colonne del giornale di aver cancellato per quest’anno la celebrazione del Natale, del 1 gennaio (Maria Madre di Dio) e del 6 gennaio, l’Epifania. In pratica ha detto no alle feste comandate. Perché? Perché il Natale è diventata «una favoletta da presepe con ninne-nanne e zampogne, esclusivo supporto di un'economia capitalista e consumista, trasformando l'intero Cristianesimo in “religione civile”». 

Curioso. Anche solo dieci anni fa, non un passato lontanissimo, un prete che si opponeva di affermare le verità principali della fede cattolica o ad abolire a piacere le feste comandate sarebbe stato sospeso a divinis, oggi invece quasi quasi lo fanno monsignore. O comunque non gli succederà nulla. Magari il suo vescovo allargherà le braccia e sospirerà: «Vabbè, lo conosciamo, l'ho richiamato venti volte, ma lui fa così. In fondo è un mio figlio anche lui». Umanamente comprensibile, ma sicuri che non ci sia dell'altro? Invece il problema è tremendamente serio e non solo per questo povero sacerdote che ammettendo di non accettare le verità della fede cattolica semplicemente ammette di non avere fede. 

Ma anche per le pecorelle che gli sono affidate: che cosa insegnare ai bambini del catechismo se lui per primo questa fede ammette di non averla? E quale fede poi? Di che cosa stiamo parlando? Di un sentimento vago e mellifluo all’insegna del vogliamoci bene? 

La questione del Credo è invece strettamente connessa con la fede. E non è un caso che il Catechismo della Chiesa Cattolica dedichi la sua primissima parte proprio a questo. Perché il Credo è “la risposta dell’uomo a Dio”. Una risposta che è la fede e con la quale l’uomo si sottomette pienamente a Dio. E’ quella che il primo articolo del Catechismo chiama l’obbedienza della fede sull’esempio di Abramo e Maria. Credere in un solo Dio, in Gesù Cristo figlio di Dio, nello Spirito Santo. E poi credere in tutte le altre verità sotto forma di professione di fede, dall’Incarnazione alla Resurrezione fino alla comunione dei santi e la vita eterna. 

Don Fredo e don Farinella voglino rinunciare a tutta questa raccolta organica di verità che va sotto il nome di simbolo? Facciano, ma perché utilizzare il loro ruolo che gli consente di essere pastori per le anime che sono loro affidate? Una volta si sarebbe detto ciechi che guidano altri ciechi. Che cosa resta a un sacerdote che pubblicamente disconosce tutto questo? Resta probabilmente soltanto la sua narcisistica volontà di potenza di imporre una religione in forma ideologica, che è però tremendamente umana, ma con il candore e la pacifica verve del buon parroco tanto engagé. E’ da lupi di questo tenore travestiti da candidi agnelli che il fedele dovrebbe guardarsi. Perché stanno lentamente segando il ramo sul quale si sono seduti con loro.