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LA SOLENNITA' DI MARIA MADRE DI DIO

“Verginità feconda”, così attiri i cristiani ai frutti di Bene

Oggi è la grande festa di Maria Madre di Dio, ma la prevalenza del capodanno e la giornata mondiale della pace, ne offuscano la solennità. Se si aggiunge che “Madre di Dio” suona malissimo, per ebrei e musulmani verso i quali bisogna evitare ciò che crea contrasto. Invece bisogna liberare questa luce dalle nebbie che l'avvolgono. Partendo proprio dal concetto di verginità feconda, senza la quale la Chiesa smette di attirare nuovi credenti, le chiese si svuotano, le vocazioni diminuiscono e la denatalità cresce.

Ecclesia 01_01_2018

Il 1° gennaio dovrebbe essere una grande festa: Maria Madre di Dio. In realtà altri fattori contribuiscono ad oscurare la centralità dell’indicazione liturgica: i pochi anni trascorsi dal suo ripristino, frutto della riforma postconciliare, insufficienti per dare vita a una tradizione popolare; la prevalenza del capodanno; la tematica della pace, di cui il 1° gennaio è giornata mondiale a partire dal 1967 su iniziativa di Paolo VI. Se si aggiunge che “Madre di Dio” suona male, anzi malissimo, per ebrei e musulmani verso i quali bisogna evitare ciò che crea contrasto, il gioco è fatto e Maria Madre di Dio quasi sparisce.

Cerchiamo invece di liberare questa luce dalle tante nebbie che l’avvolgono facendoci aiutare dalla storia, dal catechismo, dalla liturgia, dalla vocazione di cristiani nel nostro “oggi”.

UNA STORIA DI SPOSTAMENTI E UNA CONSUETUDINE RECENTE

Dopo il Concilio di Efeso del 431, che dichiarò ortodossa la locuzione “Maria Madre di Dio”, nacque la relativa celebrazione liturgica prima in oriente, poi a Milano la domenica precedente il Natale, poi in Spagna. La celebrazione è documentata a Roma nella seconda metà del secolo VI, ma nei libri liturgici convive con il formulario di una messa penitenziale precedente «Ad prohibendum ad idolis / Per non contaminarsi con gli idoli», cioè con i bagordi paganeggianti del capodanno che, in antico previsto a marzo, era stato spostato a gennaio.

Poi i bagordi di capodanno si attenuarono e una celebrazione dell’ottava di Natale prese il sopravvento. Un libro liturgico del sec. VII (Gelasiano) ha una Messa con un Prefazio che menziona la Madonna e, caso raro, si rivolge direttamente a lei dicendo: «Allatta, o madre, il nostro cibo, allatta il pane che viene dal cielo, posto nella mangiatoia come cibo dei pii giumenti», cioè dei fedeli. Le espressioni sono prese quasi di sana pianta dal Sermone 369,1 di sant’Agostino, il quale, subito prima e subito dopo queste parole introduce il tema del parto verginale: «C’è ancora di che ammirare: chi lo ha generato è madre ed è vergine (...). Allatta, o madre, Colui che ti ha fatto tale da poter farsi lui stesso in te; che, concepito, ti ha dato il dono della fecondità e nato non ti tolse l’onore della verginità». E qui risuona già la tematica completa della nostra celebrazione.

Tuttavia per complesse ragioni, dal secolo XI l’attenzione si spostò sulla Circoncisione di Gesù Cristo e questo è il titolo della celebrazione nel Messale tridentino di san Pio V del 1570 (ma non della edizione ultima del 1962, che si limita alla “Ottava della Natività del Signore”). Per contraccolpo, una celebrazione della “Maternità della beata Vergine Maria” collocata all’11 ottobre fu introdotta da Pio XI nel 1931, XV° centenario del Concilio di Efeso.

L’attuale riforma liturgica postconciliare ha soppresso la festa dell’11 ottobre e rimodellato la celebrazione del 1° gennaio come “Solennità di Maria Santa Genitrice di Dio”.

Invece la liturgia ambrosiana è rimasta come prima: ciò che i cattolici “romani” celebrano oggi è collocato alla sesta domenica di Avvento, cioè alla domenica prima di Natale, e oggi è semplicemente l’Ottavo giorno del Natale del Signore, dove la presenza di Maria è più discreta e dove il Prefazio, che dà il tono alla celebrazione, è centrato sul tema della Circoncisione. Questa scelta, se da una parte è una perla di varietà liturgica, dall’altra in Italia - e in Italia Milano... conta! - non favorisce di certo il consolidarsi di una tradizione del 1° gennaio dedicato alla Madre di Dio.

LA LUCE DEL CATECHISMO

Nelle Scritture del Nuovo Testamento Maria è nominata come Madre (ovviamente di Gesù e talvolta con aggiunto il nome di Maria) (Mt 1,18; 2.11.13-4.20-21; 12,46-50; 13,55; Mc 3,31-35; Lc 2,34.48.51; 8,19-21; Gv 2,5.12: 6,42: 19,25-27). Con più precisione si parla di Madre di Gesù (con san Giuseppe: Lc 2,33; solo Maria: Gv 2,1.3; At 1,14). Elisabetta nel mistero della Visitazione collega discretamente il titolo alla sfera divina con l’espressione Madre del mio Signore (Lc 1,43). Per concludere poi con una espressione misteriosa che evoca molto di più di una semplice figura femminile: Donna (Gv 2,4; 19,26; Gal 4,4). Essendo queste espressioni nelle Scritture, è superfluo precisare che sono esatte e convenienti.

Molto presto però nella tradizione cristiana si affermò il titolo di “Madre/Genitrice di Dio” e a seguito della polemica/eresia nestoriana si volle proibire questo titolo prescrivendo di doversi limitare ai titoli sopra riportati del NT. Il CCC 495, citando il Concilio di Efeso del 431, dichiara invece che Gesù Cristo è veramente figlio di Maria «secondo la carne», per cui «Maria è veramente Madre di Dio (Theotokos)».

Il Concilio di Efeso spiega che dicendo Maria “Madre di Dio” non si intende che abbia generato il Verbo nell’eternità e nella natura divina, ma che il Verbo eterno trasse da Maria un corpo perfetto e dotato di anima intelligente, il quale non fu generato solo come corpo ma come corpo “personale” dell’unica persona di Cristo (D 251). Al di là delle sottigliezze, ancora oggi nessuno dice che “Caterina è madre del corpo di Mario”, ma si dice semplicemente che “Caterina è madre di Mario”, cioè della persona che ha un corpo.

Il CCC integra l’esposizione della fede spiegando che Maria fu ed è non solo vergine (496-498), ma “sempre vergine”, quindi anche nel parto e dopo il parto (499).

Sviluppando poi il rapporto con l’Incarnazione, come Gesù si fece uomo per la Redenzione degli uomini, così Maria ha una «maternità spirituale» che si estende a tutti gli uomini, alla cui nascita e formazione in Cristo «ella coopera con amore di madre» (CCC 501).

LA PREGHIERA DELLA FEDE E LA GRAZIA DELLA LITURGIA

Il Vangelo di oggi ha quasi due fuochi: Maria che presenta Gesù (con san Giuseppe) e custodisce nel cuore il mistero, poi l’imposizione del nome a Gesù.

Anche se il Messale italiano parla della «divina Maternità di Maria», il testo latino non usa mai questa espressione, ma preferisce invitarci alla preghiera ricordando la «santa Genitrice di Dio / santa Genitrice del tuo Figlio / santa Partoriente», unita al dono e alla gloria della verginità: «la beata sempre vergine Maria Genitrice del tuo Figlio / la verginità feconda di Maria beata». Soprattutto l’ultima espressione “verginità feconda” (Colletta, per miracolo tradotta alla lettera!) è preziosa e ci ritorneremo.

Preghiamo con gioia perché da Maria abbiamo ricevuto l’autore della vita e speriamo di sperimentarne l’intercessione (Colletta); con lei nella celebrazione gustiamo “le primizie e i compimenti della grazia” (Messale italiano: le primizie del tuo amore misericordioso) (Sulle offerte); infine speriamo di gustare un giorno la gioia senza fine con lei che veneriamo “Genitrice del Figlio tuo” (Messale italiano: madre del Cristo) “e Madre della Chiesa” (Dopo la comunione).

E con quest’ultimo titolo la liturgia riprende lo sviluppo conciliare da Maria Madre di Dio e di Cristo sino a Maria Madre della Chiesa, proclamata tale da Paolo VI in pieno concilio Vaticano II il 21 novembre 1964, in un giorno che, nei rispettivi diari, mons. Pericle Felici segretario del Concilio valutò “trionfo del Papa e della Madonna”, mentre il teologo Congar se ne dolse per la “pessima impressione” degli osservatori circa “quest’ultimo gesto”, solidarizzando con Culmann secondo il quale “ci vorranno due generazioni per cancellare e far dimenticare questo”...

IL NOSTRO OGGI

Anzitutto “Madre di Dio” è un linguaggio al quale non dobbiamo rinunciare per accondiscendere chi ha difficoltà nel dialogo interreligioso. Spiegata secondo le precisazioni di Efeso e del CCC, l’espressione non dice ciò per cui ebrei, musulmani e altri dovrebbero scandalizzarsi. Anche perché in fondo la difficoltà è legata al mistero dell’Incarnazione, al coesistere della natura divina e umana all’interno dell’unica persona di Cristo. Si tratta anche di coltivare la stima del linguaggio della tradizione, che non spiega il mistero, ma permette di esprimerlo in comunione con quanti ci hanno preceduto e di viverlo correttamente.

La storia della celebrazione ha mostrato che la ricostituzione della solennità odierna è recente, per cui lo sforzo del cristiano è di accoglierla, viverla sempre meglio di anno in anno, generando a poco a poco una nuova consuetudine, che è un modo di... attuare il Concilio! Non si tratta di dimenticare il capodanno, al quale si può riferire la prima lettura della Messa, ma di porre la Madre di Dio al di sopra di esso e come suo orientamento.

L’espressione “verginità feconda” usata dalla liturgia, va ben oltre la liturgia e interpella la vita di oggi perché la cultura mondana - e dei cristiani mondanizzati - sta perdendo proprio la verginità e la fecondità, nonché la loro connessione. Chiaro che non si tratta di ripetere il miracolo di un parto verginale, ma di perseguire alcuni valori o stili. Anzitutto nella Chiesa ci devono essere vergini e celibi insieme a sposi consacrati da una grazia sacramentale per realizzare tutto il mistero di Cristo, dalla creazione alla redenzione. Poi ognuno e la Chiesa tutta deve conservare la verginità della fede, senza contaminarsi con il mondo e le sue dottrine, se vuole essere feconda. Ognuno infine deve conservare la castità del proprio corpo e nella propria condizione per produrre buoni frutti di vita cristiana e anche umana. Quando questi legami con la verginità vengono rescissi, cessa la fecondità: senza dottrina “vergine” e sana, senza rifuggire dai compromessi con il mondo, senza la pratica di una vita casta nella propria condizione, la Chiesa smette di attirare nuovi credenti, le chiese si svuotano, le vocazioni diminuiscono, la denatalità cresce..: è l’infecondità! All’inizio del nuovo anno Maria invece ci orienta verso una “verginità feconda”.

La preghiera infine: “Madre di Dio” entra nell’Ave Maria quando dal saluto e dalla lode si passa alla richiesta. Ma attenzione: entra non come “mamma”, ma come “madre”, che è qualcosa di più nobile e che arricchisce un semplice rapporto confidenziale. Dobbiamo abituarci a rivolgerci a Maria anche con l’amoroso rispetto al quale ci induce il titolo di “Madre di Dio”.

UN COLPO DI CODA FINALE... MILANESE

Nel Messale ambrosiano di oggi l’orazione Dopo la comunione è sconcertante: «O Dio forte ed eterno, tu non vuoi che i convitati alla tua mensa indulgano alle orge sfrenate del demonio; dona dunque al tuo popolo di perdere ogni gusto per i piaceri che danno la morte e di volgersi con animo puro al banchetto della vita senza fine». In latino le orge sfrenate sono un “diabolico convito” opposto alla “mensa celeste”. Ahimè, non è la solita Chiesa bacchettona postridentina e ottocentesca che se la prende con la gioia innocente del capodanno: l’orazione è il residuo della tematica di quella antica messa del periodo patristico “per non contaminarsi con gli idoli” nella festa di capodanno.

E prima ancora di questa orazione, sant’Agostino nel Sermone 198,2 di inizio d’anno così parlava ai suoi fedeli: «I pagani si scambiano le strenne: voi fate le elemosine. I pagani sono richiamati da canti lussuriosi: voi lasciatevi richiamare dalle Scritture. I pagani corrono al teatro: voi correte alla chiesa. I pagani si ubriacano: voi digiunate». Oggi si direbbe che un atteggiamento del genere tende a costruire un’umanità dentro l’umanità, che non è condivisivo, che invece di costruire ponti alza steccati ecc. Comunque chi ci crede (e con un po’ di moderazione) può tenerne conto. Non oggi, quando ormai la festa è quasi passata, ma il prossimo 31 dicembre.