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ALFIE

Una morte che disorienta

La morte di Alfie disorienta perché non ci lascia nemmeno un minuto per piangere. Perché rovescia tutto il nostro modo di affrontare la vita. Perché non si riesce a pregare per lui. Pensare a lui, significa pensarlo nella gloria, mentre riposa sul seno della Vergine Maria, mentre si compiace del volto di Dio.

Editoriali 29_04_2018

La morte di Alfie disorienta. Non per l’ingiustizia, che è spettacolo doloroso e ormai troppo comune ad ogni uomo mortale che abbia conservato un po’ di fame e di sete per la giustizia. Non per l’accanita volontà di morte da parte dei medici che esistono per custodire la vita e che, nel delirio della loro presunta onniscienza, hanno dato la morte. Non per il Ponzio Pilato di turno, che si nasconde dietro l’applicazione di protocolli e si abbiglia del “best interest”, mentre la sua coscienza è già da tempo in putrefazione. Nemmeno per gli Anna e Caifa in versione british, e per tutto il Sinedrio che da Roma all’Inghilterra ha fatto dichiarazioni polically correct, nella paura che «verranno i Romani e distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra nazione» (Gv. 11, 48), senza accorgersi che Dio li ha già rovesciati dai loro troni e che le pecore non li ascoltano più, perché non sono pastori, ma mercenari.

La morte di Alfie disorienta perché non ci lascia nemmeno un minuto per piangere. Perché rovescia tutto il nostro modo di affrontare la vita. Perché non si riesce a pregare per lui. Pensare a lui, significa pensarlo nella gloria, mentre riposa sul seno della Vergine Maria, mentre si compiace del volto di Dio ed è compiacimento del Suo sguardo, mentre sta giocando con le corone dei martiri, insieme ai Santi Innocenti, come scriveva Péguy, nel suo Il Mistero dei Santi Innocenti:

«Questi semplici bimbi giocano con la loro palma e le loro corone di martiri.
Ecco quello che accade nel mio paradiso.
A che si potrà mai giocare
con una palma e delle corone di martiri?
Penso che giochino al cerchio, dice Dio,
e forse ai cerchietti (almeno lo penso, perché non crediate
che mai mi si chieda il permesso)
E la palma sempre verde serve loro,
a quanto sembra, di bacchetta».

Cosa si può chiedere ormai per Alfie, che vive in Dio e può giocare a qualunque cosa, senza chiedere il permesso? Semmai, ora, si chiede ad Alfie; si chiede a lui, tra un gioco e l’altro, di pregare per i suoi genitori, per i suoi familiari, perché abbiano pace e gioia piena nel saperlo beato. Si chiede di pregare per i suoi persecutori, medici, giudici ed ecclesiastici, perché si convertano, si pentano e siano così strappati dal fuoco eterno che divora tutti gli operatori di iniquità. Si chiede di pregare per noi, che in questo mondo completamente nelle mani del Maligno dobbiamo continuare a vivere. E dobbiamo, vogliamo continuare a vivere come Alfie, il quale, mentre attorno a lui si ordiva una congiura di morte, di ingiustizia, di menzogna, mentre il suo papà e la sua mamma lottavano come dei leoni e tutte le anime buone si attivavano come potevano, lui dormiva, riposava e persino sorrideva.

Non parliamo qui del riposo dell’accidioso, o del sonno di chi invece deve vegliare e pregare per non cadere in tentazione, ma del riposo dell’abbandono in Dio. Sembra impossibile, in un mondo così, dove i rei diventano giudici che condannano gli innocenti. Eppure anche questa è la lezione di Alfie: la sua vita, inutile per quelli che credono di essere i soli “utili”, è il compiacimento di Dio, perché è stata una vita vissuta nell’abbandono fiducioso, il tratto che più la conforma all’Agnello condotto al macello. Alfie – beato lui! – non è più in questo mondo e Dio cerca qualche altro bimbo che lo sostituisca, per continuare a guardare il mondo con pietà. Qualche bimbo per anagrafe, ma anche qualche bimbo divenuto tale per la speranza.

Qualcuno – scrive sempre Péguy –

«che acconsenta…, che si arrenda un po’ a me.
Che distenda un po’ le sue povere membra stanche su un letto di riposo […]
Ma colui che la sera andando a letto fa piani per l’indomani.
Costui non mi piace, dice Dio.
Lo sciocco, non sa neanche come sarà fatto domani […]
Colui che è nella mia mano come il bastone nella mano del viaggiatore, costui mi è gradito, dice Dio.

Colui che è nelle mie braccia come un neonato che ride,
E che non si preoccupa di niente,
E che vede il mondo negli occhi di sua madre, e della sua balia,
E che non lo vede e non lo guarda che lì,
Costui mi è gradito, dice Dio.

Ma colui che fa dei calcoli, colui che in se stesso, nella sua testa, per l’indomani,
Lavora come un mercenario.
Lavora spaventosamente come uno schiavo che gira una ruota in eterno.
(E detto tra noi come un imbecille)
Ebbene costui non mi è gradito affatto, dice Dio.

Colui che si abbandona mi piace. Colui che non si abbandona non mi piace, è così semplice».

Caro Alfie, santo Alfie, intercedi per noi.