Un genio della Tradizione nella melassa musicale
A cento anni dalla nascita di Domenico Bartolucci, genio assoluto nel campo della musica liturgica. Sfortunatamente trovatosi un incompreso nel panorama della melassa musicale post conciliare.
L'anno 2017 ci ha visto raccoglierci intorno a vari anniversari: Fatima, la rivoluzione russa, la riforma luterana e molti altri grandi e piccoli. Ce ne è uno che riguarda tutti coloro che hanno a cuore la bellezza, la dignità e l'importanza dell'uso della musica nella liturgia e sono i 100 anni dalla nascita di Domenico Bartolucci, per più di 40 anni maestro della Cappella Musicale Pontificia detta Sistina, compositore e direttore di coro e anche Cardinale, per decisione di Papa Benedetto XVI che lo elevò a questa dignità nel 2010, quando il Maestro aveva 93 anni, a tre anni dalla sua morte che avverrà nel 2013.
Io che l'ho avuto come insegnante posso dire che in lui si è fatto carne uno dei clichè più abusati: quello del genio incompreso. Egli fu incompreso in un senso tutto proprio, in quanto si trovò ad operare per buona parte della sua vita in un'atmosfera liturgica e musicale stravolta dal post concilio, un post concilio che come possiamo osservare non passa mai. Sarebbe come dire che una persona ha una degenza post operatoria che dura per decenni e decenni. Non ci si dovrà fare qualche domanda?
Ecco, lui che era stato maestro nelle cappelle musicali più illustre a Roma, si trovava a dover difendere la dignità della musica nella liturgia contro le chitarre, le messe beat, la miseria musicale e liturgica che purtroppo non ci ha più abbandonato. Quindi uno come lui, un musicista di enormi capacità, era improvvisamente divenuto ridondante, non più adatto a portare avanti le nuove istanze musicali e liturgiche che ci hanno condotto alla situazione attuale che veramente pochi possono definire come un compimento di quello che il Concilio aveva chiesto, quando è piuttosto il compimento di quello che al Concilio si è voluto far chiedere.
Poi il genio: lo era senz'altro, un compositore di una spiritualità profondamente cattolica e non sentimentalistica, un compositore che produceva musica che si sposava con estrema naturalezza al rito liturgico, non lo forzava, ma ci si adagiava come se fra la sua musica e il rito ci fosse una complementarità fatta in cielo. Aveva anche un'idea del coro bene precisa, riconoscevi subito i suoi cori dalle sonorità italiane stupendamente trasfigurate dalla luce soprannaturale di una ispirazione che solo un'anima intrisa di fede salda e antica può provare. Egli aveva le sue asprezze, non era certo un tipo accomodante.
Nato nel 1917 in una cittadina toscana, Borgo San Lorenzo, aveva visto tante cose nella sua vita, nella società e nella Chiesa. Si era comunque speso come musicista per portare avanti la grande Tradizione musicale della Chiesa stessa, una Tradizione che non è un optional ma è una urgenza che non avremmo mai dovuto dimenticare. Abbiamo vissuto fra i due estremi di coloro che hanno buttato al vento la Tradizione, a quelli che hanno creduto di scorgerla nella museizzazione e cristallizzazione di forme e linguaggi, quando le stesse forme e linguaggi non erano che piattaforme di lancio per trasmettere (tradere) questa sapienza sempre più in là.
Ricordo come ci insegnasse che la Tradizione è cosa viva, cosa che apprendi quando sai immergerti in essa. Ma, egli aggiungeva, come è possibile oggi acquisire questa sapienza quando si è distrutto tutto in nome di una malsana idea di progresso liturgico? Certo la sua domanda non ha una risposta facile, forse non ha proprio una risposta se non dire: non è possibile. Il Maestro è stato blandito come un emblema del passatismo, della conservazione, del tradizionalismo. Questo è stato possibile proprio perché gran parte dei suoi oppositori non ha mai avuto gli strumenti culturali, sapienziali e musicali per capire la grandezza della sua figura e della sua opera.
Ricordo che lo frequentavo molto negli ultimi anni, nei periodi 2 o 3 volte l'anno in cui tornavo dalla Cina (dove lavoravo) a Roma. Certo piano piano il corpo cominciava a dare segni di decadimento, quando è morto aveva 96 anni, cosa ci si poteva aspettare? Ma la mente era sempre lucida, sempre pronta a ripetere quelle cose che lo avevano ossessionato per tutta la vita, cose che ripeteva con una monotonia che forse solo ora posso capire nella sua insistenza. Ripeteva che non ci rendevamo conto di quanto avevamo perso, di come la Chiesa fosse stata la più grande patrona della cultura della civiltà occidentale e oggi si era ridotta a rincorrere le miserie del mondo, ripeteva di come gli sembrasse che si fosse giunti alla fine di tutto. Era certamente molto preoccupato per la situazione in cui oggi la Chiesa e la sua liturgia vivono, una situazione che a viste umane non ha una soluzione semplice. Si è inferto un colpo tremendo alla bellezza della liturgia, con musiche smielate (nei casi migliori, figuratevi i peggiori). Coloro che combattono per la dignità della musica nella liturgia (anche nella cosiddetta Messa di Paolo VI) vengono emarginati, esclusi, rigettati.
Cosa poteva aspettarsi lui? Speriamo ci sarà un tempo, purtroppo non sarà vicino, in cui questa caligine potrà diradarsi e, fra le tante cose, si riscoprirà la grandezza della sua vita artistica e della sua testimonianza.