Un copione Radicale per un film già visto
La vicenda del Dj Fabo sembra un copione di un film scritto dalle consuete mani dei Radicali. Alla regia Marco Cappato. Tempismo, scelta dei personaggi, battute cult come "Fabo è libero, la politica ha perso", servizi televisi, appelli: comprensione massima per lui, le cui responsabilità morali possono essere giudicate solo da Dio, ma mai nessuna giustificazione per l’eutanasia e il suicidio assistito. Il resto è solo un film già visto.
Ieri alle 11.40 Fabiano Antoniani, in arte Dj Fabo, si è tolto la vita in una clinica di Zurigo all’età di 40 anni. La vicenda è stata raccontata anche su queste colonne. Fabiano faceva il dj in giro per il mondo, una vita spinta al limite e, come è noto, gli eccessi spesso si pagano ed anche duramente. A lui è capitato di finire fuori strada mentre guidava per aver cercato di raccogliere il suo cellulare, quando anche le sue condizioni, a parere della fidanzata, non gli avrebbero permesso di mettersi al volante. Si risvegliò tetraplegico e cieco. Tentò la riabilitazione ma con scarsi risultati. E alla fine scelse la via tutta in discesa dell’eutanasia che da noi conduce sempre dritti dritti alla solita clinica svizzera Dignitas, che di dignitoso ha solo il nome. Un morso ad un pulsante – unico movimento a lui possibile – e la luce della vita si è spenta per sempre.
La vicenda del Dj Fabo sembra un copione di un film scritto dalle consuete mani dei Radicali. Attore protagonista il Dj Fabo che viene dipinto come amante della vita (se lo sballo è vita), pieno di energie e progetti che in una frazione di secondo si sbriciolano nell’impatto della sua auto contro un’altra in corsia di emergenza. Attrice non protagonista, la fidanzata Valeria: accanto a lui nei giorni di festa e in quelli funesti, e pure in quel dì fatale di ieri. Comprimari: le istituzioni a cui Fabo si è rivolto per morire ben sapendo che nulla sarebbe accaduto. E nulla doveva accadere perché Fabo non solo doveva essere vittima del destino – il quale come è noto può venire ammansito da una guida prudente e da guidatori lucidi – ma anche delle istituzioni italiane. Queste nella sceneggiatura dovevano comparire come insensibili, poco democratiche, ciniche e spietate. E di contro Fabo, la fidanzata, gli amici e parenti dovevano comporre un quadretto tutto cuori e baci. Quindi ben venga che il Presidente Mattarella, interpellato dal morituro, abbia taciuto, perché in tal modo è entrato perfettamente nella parte a lui designata.
Alla regia poi abbiamo il radicale Marco Cappato che in realtà ha scritto un copione un po’ vecchiotto, non molto originale perchè già visto altre volte. Si prende un caso pietoso (Welby, Eluana), lo si fa diventare caso mediatico (vedi servizio delle Iene ripetuto uguale uguale anche domenica sera e vedi ieri i notiziari e gli approfondimenti a pioggia su questa vicenda), poi caso politico (anche Welby scrisse a Napolitano che però rispose con pieno assenso), poi caso giudiziario: il dott. Riccio che staccò il respiratore a Welby venne prosciolto, i giudici di Milano condannarono a morte con sentenza capitale Eluana ed ora Cappato, in modo teatrale, offre i polsi alla manette di Stato perché ha aiutato a suicidarsi una persona portandola in Svizzera, ben consapevole che nulla gli capiterà. "Al mio rientro in Italia nella giornata di domani – ha dichiarato ieri con tono drammatico il leader radicale - andrò ad autodenunciarmi, dando conto dei miei atti e assumendomene tutte le responsabilità". Ricorda Pannella quando distribuì marijuana al termine di un comizio. Provocare la legge sapendo che questa è resa mansueta da giudici compiacenti.
Notevole poi il tempismo: calibrare la sopravvivenza di Fabo e la relativa morte per farla cadere giusto giusto quando alla Camera si sta discutendo sul Ddl che concerne le Dichiarazioni anticipate di trattamento che introdurranno l’eutanasia anche nel nostro Paese. Cappato spinge sull’acceleratore non tanto perché il Ddl passi – questo è un evento certo – ma perché passi il prima possibile e nella sua forma dura e pura: morte per tutti come e quando si vuole.
Nel copione radicale poi sono state cesellate alcune battute ormai cult, vero distillato del radical-pensiero. Scrive Cappato su Twitter: “Fabo è morto alle 11.40: ha scelto di andarsene rispettando le regole di un paese che non è il suo”. Italia patria ingrata che non uccidi i tuoi figli. Gli fa eco lo stesso Fabo: “Sono finalmente arrivato in Svizzera e ci sono arrivato, purtroppo, con le mie forze e non con l’aiuto del mio Stato”. Poi il doveroso ringraziamento a Cappato, precursore di quello che da qui a poco verrà qualificato come un vero e proprio diritto a morire: “Volevo ringraziare una persona che ha potuto sollevarmi da questo inferno di dolore, di dolore, di dolore. Questa persona si chiama Marco Cappato e lo ringrazierò fino alla morte. Grazie Marco. Grazie mille».
"Fabo è libero, la politica ha perso", hanno detto Marco Cappato e Filomena Gallo della Associazione Luca Coscioni. "L'esilio della morte è una condanna incivile. Compito dello Stato è assistere i cittadini, non costringerli a rifugiarsi in soluzioni illegali per affrontare una disperazione data dall'impossibilità di decidere della propria vita morte. E’ triste che un italiano debba andare all'estero per affermare la propria libertà”. Stessa musica funebre viene intonata dall’immancabile Saviano: “Anche per morire con dignità bisogna emigrare dall'Italia.". Si chiede in buona sostanza la morte a km zero. Perché c’è chi emigra per scampare alla morte e chi emigra per cercarla. Si vuole dunque una morte sostenibile, pulita e asettica in cliniche specializzate, una green death.
Il copione ovviamente – cadendo nell’inevitabile stereotipo – non poteva che riservare anche una particina alla Chiesa. “Perdonaci – continua Saviano - per aver reso la religione che crediamo di osservare talmente vuota da non saper più riconoscere un Cristo quando lo abbiano di fronte".
Comprensione massima per Fabiano, le cui responsabilità morali possono essere giudicate solo da Dio e il cui ultimo tratto di vita è stato segnato da una condizione di vita terribilmente dolorosa, ma mai nessuna giustificazione per l’eutanasia e il suicidio assistito. Il resto è solo un film già visto.